Quanto era folle Balzac
Le spezie da Mille e una notte borghese nell’antibiografia scritta da Peter Brooks sullo scrittore ottocentesco francese
Verso la fine del secolo scorso, la concezione austera e formalista della letteratura ci è venuta a noia. Avevamo di nuovo bisogno di storie, eccessi, melodrammi. Allora abbiamo riscoperto Balzac; non più un Balzac ridotto a funzioni narratologiche, ma gustato con tutte le sue spezie da Mille e una notte borghese. Oggi Peter Brooks, pensando alle “stagioni”, ai prequel e agli spin-off della “Commedia umana”, ne fa l’antenata delle serie. Su questo paragone si apre il suo Vite di Balzac (Carocci), dall’autore definito “un’antibiografia”. Non si tratta cioè di un libro che, sulla scia del Sainte-Beuve avversario di Balzac, collega l’opera con la biografia; ma non è neanche un’algida analisi strutturale. L’idea è invece quella di seguire le storie dei personaggi balzachiani senza schiacciarli sotto il peso della teoria, e prendendo sul serio le esperienze che ci propongono.
Una particolare attenzione viene dedicata ai caratteri femminili: ad esempio alla Henriette del Giglio della valle, i cui impulsi repressi esplodono strazianti e osceni sul letto di morte; o alla Duchessa di Langeais, che può sottrarsi alla violenza implicita delle relazioni aristocratiche solo tramite la violenza aperta del suo corteggiatore. Nella galleria ci sono anche i due giovani per eccellenza, che dalla provincia vanno a conquistare Parigi: il virile Rastignac, destinato a farcela, e l’androgino Lucien, destinato a soccombere perché troppo volubile. Ma a Brooks interessano di più le controfigure del romanziere, i tipi demiurgici che stanno dietro le quinte e muovono gli altri come pedine. La definizione si adatta in primo luogo a Vautrin. Questo hegeliano sui generis insegna ai suoi protetti che si può passare con indifferenza dalla malavita alla polizia, così come i giornalisti insegnano a Lucien che “le idee sono bifronti”, e che bisogna imparare a scrivere un articolo pro e uno contro lo stesso libro.
Parole e denaro diventano qui mezzi di scambio formidabili. Non a caso un altro demiurgo, nel mondo protocapitalista di Balzac, è l’usuraio Gobseck, che sfrutta i desideri altrui restando impassibile. Ha la saggezza compendiata dall’antiquario della Pelle di zigrino: il desiderio accorcia l’esistenza, quindi è meglio dedicarsi al “sapere”. Ma in Balzac anche la conoscenza, essendo faustiana, somiglia a un tentativo di dominio erotico e politico. I suoi intellettuali, anticipando quelli veri di fine ’800, inseguono l’Assoluto fino all’afasia e all’autodistruzione. Ogni loro progetto sfocia in un gioco a somma zero: l’istinto vitale è annullato dall’istinto di morte.
Brooks cita spesso Freud. Ma non è solo l’opera più filosofica dello psicanalista a ricordare la “Commedia umana”: è anche la sua maniera d’interpretare i minimi atti quotidiani. In una società non più divisa in caste come quella post napoleonica, per capire chi si ha davanti occorre fondare una nuova semiotica: e Balzac lo fa analizzando i modi di camminare, di parlare, d’indossare i guanti. Se tutte le sue narrazioni hanno qualcosa del giallo, è perché sono storie di decifrazione. Una decifrazione che l’autore, non meno folle di coloro che ha inventato, vorrebbe totale. In vent’anni Balzac scrive più di 90 tra romanzi e racconti, e crea 2.472 personaggi. Come i ciclisti, si regge solo se non si ferma. E forse, anche, solo se vive “nelle sue creazioni come uno dei suoi personaggi”, se resta cavia tra le cavie.
In questo è lontano dalla nostra epoca: a noi manca la sua energia desiderante, la sua fiducia in una visione organica dell’universo. E mancava già nel ’900, se è vero che un secolo fa, a descrivere dall’interno i sogni illusori di grandezza, è stato un narratore scarno come Fitzgerald. A proposito della confusione tra letteratura e vita, è significativo che Balzac si sia fidanzato con una sua fan, la contessa polacca Hanska. La sposò nel 1850 a Berdichev, in Ucraina, e poco dopo morì. La leggenda vuole che nell’agonia abbia chiesto l’aiuto del dottor Bianchon, una sua creatura.