una comunicazione emozionale
Quanta povertà di argomenti nascondono i demagoghi della complessità
Chi si barrica nella complessità, spesso, non vuole comunicare nulla ma solo farsi autorevole col pubblico. Gli appelli alle emozioni e le false dicotomie dei complessisti alla Orsini
La complessità va di moda. In realtà, va di moda già da diverso tempo, ma la guerra in Ucraina ha dato l’abbrivio a un florilegio di lezioni sul tema. Si tratta, per lo più, di semplificazioni. La ragione è, anch’essa, piuttosto semplice: è impossibile sviscerare la complessità di qualsiasi fenomeno in un talk-show televisivo o negli articoli di giornale di complemento. Lo impediscono i tempi, il contesto e il pubblico. I tempi, perché sono contingentati e quindi non funzionali a un discorso complesso. Il contesto, perché è essenzialmente quello di una controversia nella quale è più importante vincere l’avversario che analizzare un fenomeno in maniera ponderata. Il pubblico, perché non è recettivo a un discorso complesso come quello che sarebbe richiesto in questi casi. Non perché sia un pubblico necessariamente ignorante, ma perché non va in cerca di quel tipo di discorso guardando un talk-show o leggendo un articolo di giornale.
Il contesto, insomma, non è comunicativo – non si vogliono comunicare informazioni, possibilmente verificate ed esaurienti – ma persuasivo, e l’obiettivo finale è persuadere non l’avversario, ma il pubblico. Le strategie richieste in questo caso sono varie: non si tratta solo di tener desta l’attenzione di ascoltatori o lettori, ma anche di prevalere con rapidità e (possibilmente) efficacia sugli argomenti dell’avversario. Si guadagnano tempo e risorse facendo sostenere la propria tesi non dalla solidità degli argomenti ma dalla propria – putativa – autorevolezza di professori universitari o direttori di giornale. Oppure attaccando non l’argomento dell’avversario ma direttamente la credibilità dell’avversario. O, ancora, caricaturando l’argomento dell’avversario così da renderne più agevole la presunta confutazione. Sono le fallacie dell’argomento d’autorità, dell’argomento ad hominem e del cosiddetto “uomo di paglia”, che abbondano nei dibattiti di ogni genere. Insomma, c’è molta ciarlataneria nella pretesa di vendere un discorso complesso a un talk-show.
Ma nelle performance degli alfieri nostrani della complessità si segnala un repertorio di argomenti piuttosto banale, un arsenale molto povero. Abbondano le false dicotomie e gli appelli all’emozione. La prima, è una strategia immediata ed efficace di semplificazione della realtà. Il suo uso da parte di chi predica la complessità è particolarmente rivelatore anche perché si tratta di un’inversione, dal momento che la usa chi in generale pretenderebbe di criticare l’altrui manicheismo. L’essenziale è ridurre la realtà a due alternative nette: ad esempio vivere sotto una dittatura o in uno stato di guerra.
Messa così la scelta potrebbe anche essere semplice: per quanto sia miserabile vivere sotto un regime autocratico, sarà sempre meglio che vivere nello stato di guerra di tutti contro tutti. Il problema è che questa non è un’alternativa reale, ma fittizia, utile solo a polarizzare le posizioni e sostenere una domanda retorica (“preferisci vivere o rischiare di morire?”). Tra l’altro, le due situazioni possono benissimo non essere alternative, non essendoci incompatibilità tra il vivere soggetti a una dittatura e il vivere in uno stato di guerra: le dittature, meno dipendenti dal consenso popolare, sono più propense a sacrificare la vita dei loro sudditi. L’assenza di incompatibilità o il carattere artificiale della dicotomia devono essere surrettiziamente nascoste. Magari aggiungendo altre condizioni (“una dittatura che garantisca la pace sociale”), che però rendono ancor meno plausibile la dicotomia.
Il professor Orsini, che recentemente ha fatto ricorso a questa strategia, ha pensato bene di gabellarla associandole un appello alle emozioni. E’ uno dei suoi leitmotiv preferiti: i bambini. Usato in un dibattito, ha la forza di un ricatto: chi può criticare una difesa dei bambini? Ma proprio per questo motivo è una mossa che dice più della debolezza dell’argomentazione che della sua forza. L’appello alle emozioni è l’ultima ridotta dei demagoghi. Max Weber diceva che la cattedra non è fatta per il profeta e per il demagogo. Ma il talk-show gli casca a pennello.