(foto di Ansa)

fantasie dei grandi

Le letture dei ricchissimi

Ginevra Leganza

Realizzare la più grande libreria dell’universo era il sogno di Bezos. Musk si ispira a Tolkien  per portare l’uomo in mondi sconosciuti, Zuckerberg vuole trasformare il nostro. La fantasia alle spalle dei profitti

Amati, dannati, irraggiungibili. Esistono uomini sulle cui dita ruota il mondo. Elon Musk, Mark Zuckerberg, Jeff Bezos. Ma insomma, tipetti del genere sono uomini o superuomini? Questi fanciulli sconvolgono i costumi occidentali. Hanno cervelloni che reinventano la vita, il lavoro. Finanche il pensiero. Ecco, meglio adottare lo slang nicciano: e superomismo sia. Tanto si è scritto di loro. Di tutto e di più. Ma forse non ancora abbastanza. Cos’hanno letto, infatti, e cosa leggono oggi i figli del futuro? Danzano con le stelle, giocano coi fuochi di universi paralleli. Ma pare non rinuncino ai libri.

 

Come Steve Jobs e Bill Gates prima di loro, i nuovi miliardari voltano pagina alla velocità della luce. Il padre di Microsoft, per dire, tiene una rubrica di recensioni in costante aggiornamento. La trovate sul suo sito: gatesnotes.com. Avete capito bene: recensioni. I baci della morte che nei giornali filano dritti in un ghetto. Vuoi perché in aria di compitino vuoi perché i libri tirano sempre meno. Le recensioni piacciono tanto a Gates, invece. La sua shopper bag trabocca di libri. E se ne scrive mica si può gridare alla marchetta. Insomma, fra i nostri pc, i Mac, fra gli account Amazon Prime e Whatsapp, siamo tutti topini di coltissimi pifferai. Siamo seguaci di cantastorie che in lessico e sintassi cercano il filo di mondi nuovi.

 

C’è una bellissima pagina su Internet, si chiama “Most recommended books”. Raccoglie i libri più amati dagli azionisti dell’avvenire. Qui, nella convinzione che scienza e fantasia compongano la mistura del futuro, parliamo dei tre fanciulli sulle cui dita ruota il mondo. Ma non pensiate sia una chiesa di fanatici nerd: su questo sito c’è di tutto. Dalla politica a stelle e strisce (Barack Obama, Hillary Clinton, Donald Trump) a Hollywood e musica pop (Emma Watson, Selena Gomez, Taylor Swift)…

 

Venendo al triumvirato tecno-ottimista, Elon Musk sembra il più compulsivo. Ad attestarlo sono anzitutto i social. Su Twitter l’uomo più ricco del mondo spesso ci rallegra. Specialmente adesso, in vena com’è di investimenti esplosivi. Si vociferava di coefficienti iperbolici. 40 miliardi per comprare Twitter. Obiettivo: mutarlo in principato libertario. Ma tra zuffe e intemerate racconta anche dei titoli del cuore. Ci sono libri che nel corso dell’esistenza cambiano sguardo sul mondo. E sarà un cliché – lo ammette – ma Tolkien è il numero uno. “Non vedo l’ora di andare in Nuova Zelanda”, risponde a un cinguettante fan nel 2017. Correvano gli anni Zero e sulle sue isole Peter Jackson orchestrava il capolavoro dello scrittore inglese. Laggiù, sul set, il ceo dei ceo vuole portare in scena la sua privata Compagnia dell’anello. Musk vagheggia avventure come un Gandalf con gli hobbit al seguito. Nel suo caso i piccoletti sarebbero non quattro ma sette. I suoi sette figli.

 

Si sa che l’amore per la Terra di mezzo è spesso associato a destri un po’ nerd. Se Musk sia più o meno destro, lasciamo perdere. Ma certo il giovane Elon un po’ nerd lo sarà stato. Nato a Pretoria nel ’71, da ragazzino vive nel loop della sua libreria. Così dice la madre, Maye Haldeman. Supermodella, nutrizionista e scrittrice (quando mai il frutto cade lontano dall’albero?). Il bambino – figlio di cotanta grazia – era una bestiola tutta presa da viaggi tolkieniani. Poco considerato dai coetanei, si rifugiava nella magia. E chissà se il caposaldo muskiano della produzione sostenibile non derivi dal Signore degli anelli. Chissà se l’attenzione per l’ambiente non sia figlia della verdeggiante Hobbiville. Elon Musk trascorre l’infanzia in Sudafrica. Diventa grande e reinventa il sogno americano. Secondo alcuni è il rampollo dei robber barons. Figlio diretto di Jobs e Gates, ma ancor prima di Rockefeller, Carnegie, Vanderbilt.

 

Sulle punte dell’albero genealogico, però, più in su della Standard Oil, troviamo il Primo americano. “Sto leggendo una grandiosa biografia di Ben Franklin”, twitta. La prima radice di Tesla e Space X si chiama Ben (col nomignolo da partner in crime). “Fortemente consigliata”, dice di American Life. Si tratta della vita spericolata di Benjamin Franklin, narrata da Walter Isaacson. In effetti Ben è il prototipo di una lunga serie. Inventore, editore, focoso amatore, filantropo, politico e self-made man. Franklin è il pioniere di una schiatta affamata e folle. Ma il cibo intellettuale di Musk è variegatissimo. Si va da autori diffidenti nei confronti dell’intelligenza artificiale a sciamani della fiducia in se stessi. C’è il fondamentale Zero a uno di Peter Thiel, l’amico co-fondatore di PayPal, che spiega per filo e per segno come avviare startup; c’è il teatro assurdo di Samuel Beckett; ci sono Isaac Asimov e Douglas Adams. Quest’ultimo con la sua Guida galattica per autostoppisti (“un testo di filosofia travestito da sciocco libro umoristico”).

 

Storie al di là dell’atmosfera e prontuari per sopravvivere sulla Terra. Musk impara da Carl von Clausewitz che la vita è un perenne conflitto. E con Sun Tzu si addottrina sulle linee per vincerlo: “Ho letto L’arte della guerra molte volte”. A proposito di battaglie, spicca un’altra segnalazione: “Ho quasi terminato Nelle tempeste d’acciaio. Libro intenso. Grandioso”. Ernst Jünger lo cattura per lo stile crudo, la fredda visione, la distanza dal patriottismo esaltato. Non da ultimo, lo scuote per quell’idea della tecnica al servizio della strage: stesso pericolo posto oggi dall’intelligenza artificiale. E, ancora in tema pericoli, vengono i libri degli avversari. Anche questa, in fondo, è un’ovvia strategia. Degna di Sun Tzu. Per vincere i propri nemici bisogna prima conoscerli. A quattordici anni legge Karl Marx. Parallelamente si inocula Adam Smith quale antidoto al Capitale. Oggi il pazzerello inscena duelli con Vladimir Putin, motteggia i capi di Twitter, rei di imbavagliare l’utenza. Si impegna nel sogno della parresìa. La libertà di parola, dopo l’auto sicura e il Pianeta rosso, è l’ultima chimera promessa da Musk. Forse, in questo nostro tempo, più lontana di Marte. Ma quasi certamente venutagli cara a furia di letture, nella sua sete di sapere.

 

 

A proposito di franchezza, di tutt’altro avviso è il gruppo Meta. “A cosa stai pensando?”, chiede Facebook da quasi vent’anni. Ma la regola è: solo se non pensi niente puoi dire davvero quello che vuoi. In caso contrario – in ottemperanza agli “standard della community” – scatta l’interdizione. Il temutissimo “ban”. Mark Zuckerberg alla libertà di espressione antepone il bavaglio dell’algoritmo. Tutto quel che non gradisce finisce nel setaccio della policy aziendale. Ma insomma, cosa legge l’imperialista che ha unito il popolo di Facebook, Instagram, Whatsapp? Già nel 2010 sul New York Times, dipingendo l’allora ventiseienne, si diceva: è “il nostro nuovo Cesare”. Dallo stesso articolo veniva fuori il ritratto di un anomalo geek, lettore e cultore dell’Eneide. Intellettuale, sì, e però eccentrico fra gli eccentrici. Timido, arrogante. E comunque seducente. Certo non disertava le feste universitarie. Conosceva bene i dionisismi delle confraternite studentesche. Ma gli studi classici gli avevano lasciato in dote un’altra vocazione.

 

“Era davvero interessato alle odissee greche e a tutta quella roba”, diceva di lui l’amico Sean Parker. Eppure, a distanza di anni, la maggior fissazione è ancora Virgilio. Sovente lo cita in riunione. Insomma, quando fonda l’urbe digitale, Zuckerberg rivive in sé il desiderio di Enea. Ha l’animo fermo nell’ambizione e dal primo giorno tesse trame di espansionismo. Nella sezione “libri preferiti” del suo account si trova pure la Repubblica di Platone. Ma tutti gli antichi a tema “potere” non sono ossessioni da filologo. La sua biblioteca non difetta di saggi contemporanei: analisi su come conciliare dominio e prosperità. Idee sullo sviluppo economico e – udite udite – programmi per eliminare povertà. Si parlava di tecno-ottimisti. Ecco, lui sì che è un vero ottimista. In confronto Elon Musk è super-super dark.

 

Zuckerberg, dal canto suo, sfocia quasi nel misticismo. Si dice sia il riccone più povero al mondo per via dei vestiti tapini. Jeans e magliette bigie sono la sua divisa. E’ una specie di manicheo, e con le sue letture dichiara di voler estirpare il male dal mondo. A ben vedere, la censura di Meta segue questo principio: annullare i malefici. Costi quel che costi. Ma una catara foga rischia sempre di tirare giù tutto. Nell’intento di sgominare i pedofili online, per esempio, il sire dei social finisce che ci cancella putti e pisellini del Bronzino. O qualsivoglia altra immagine discinta postiamo in copertina Facebook. Manicheismo, appunto. La libreria di Zuckerberg è zeppa di buoni propositi. Ordine mondiale di Henry Kissinger è un libro giusto per intendere come “costruire relazioni pacifiche in tutto il mondo”. Viene poi Steven Pinker, lo scienziato cognitivo che spiega come scacciare la violenza dalla galassia. Ci sono i più prevedibili Yuval Noah Harari e Neal Stephenson. Quest’ultimo, caro amico di Bezos – è tutta una combriccola – scrive Snow Crash, romanzo di culto cyber-punk, e negli anni Novanta conia il termine “metaverso”. Tutto il resto è storia che continua.

 

E’ il turno dell’ultimo imperdibile semidio: il re del mercato digitale. In principio venne il libro. Amazon prima di Amazon si chiamava Cadabra.com. Fu fondata nel garage di casa Bezos a Seattle, nel ’94. Voleva essere la più grande libreria dell’universo. Anche oggi, che pure vende tutto, Amazon mantiene un rapporto infungibile con la carta stampata. E non solo perché lì trovi l’oggetto e in meno di ventiquattr’ore arriva. Si parlava dello spazio recensioni quale pulpito marchettaro. Ecco, da questo punto di vista Amazon è assai più verace. Non sapete se comprare un libro? In tal caso l’emporio globale è efficacissimo. Forse più della critica (se esiste). Come su Tripadvisor, anche qui gli utenti si sbracano nel commento. Ma non fioccano sempre solo corone d’alloro. Il bello è che non ci sono troppi amici costretti a far contenti gli autori. E se ci sono, comunque, non manca il giusto contrappeso. La gente con sincerità scrive se ha amato o odiato un libro. Lo scrive spesso con lingua veloce. Prima clicca e poi pensa. Dal male, però, bisogna trarre il bene. In fondo – lo diceva Aristotele nella Poetica – un’opera si giudica tenendo a mente il suo pubblico naturale. Sulla piattaforma capite subito se un libro fa per voi.

 

Ma andiamo ai gusti libreschi del signor Bezos. Nella Jeff’s reading list compare il Cigno nero di Nassim Taleb. Il fondatore è convinto che i cigni neri – ossia gli imprevisti – presiedano agli scossoni della storia, alle grandi svolte di cui lui stesso è protagonista. Vengono i saggi incentrati sui metodi per mantenere il successo; le traiettorie per sventare fallimenti e migliorarsi di continuo. Sono più o meno questi i suoi chiodi fissi. Come per i colleghi, scienza e fantascienza si aggrovigliano. Il bandolo di Blue Origin – la società tecnologica che ha fondato, impegnata nella progettazione di voli spaziali – ha nomi ben precisi. Uno di questi è Dune, il romanzo di Frank Herbert. Astronavi, tesori interstellari, ecologia, evoluzione, sopravvivenza umana: il solito cocktail fantascientifico. Non è un caso che questo stesso romanzo sia fortemente consigliato dal ceo dei ceo, Elon Musk. Ricapitolando Jeff Bezos: prima di tutto, Nassim Taleb; secondo, saggi motivazionali; terzo, epica fantastica.

 

Ma c’è rimasto ancora spazio per romanzi meno avveniristici. Quel che resta del giorno di Kazuo Ishiguro “insegna il dolore del rimpianto così bene che penserai di averlo vissuto”, scrive su Twitter nel 2017. E aggiunge: “E’ il mio romanzo preferito”. Bezos sembra possedere tutto fuorché il rimpianto. Ma chissà cosa non vediamo, cosa non sappiamo, cosa spinge un uomo a tener testa alla sorte al punto di fabbricare la sua fortuna. E che fortuna se parliamo di 177,5 miliardi di dollari. Certo, la vita è una catena: 264,6 sono i miliardi che secondo Forbes rendono Musk il regnante più ricco al mondo.

 

Produzioni snelle, profitti massicci, calcoli, strategia. Quasi conforta sapere che dietro tutto questo c’è un’abbuffata di fantasia. La letteratura semina sogni, fa sbocciare ambizioni, affila la hybris e l’amore del rischio. Gli ambasciatori del progresso hanno visi buffi, smorfie enigmatiche. Odiarli non è un’impresa, le ragioni non mancano. Amarli è folle, tanto sono irraggiungibili. Tentare un identikit letterario? Una spassosa via di mezzo.

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