Paradossi
Com'è pericolosamente facile convincere qualcuno della bontà della censura
Esiste la prova storica che la censura di stato non solo non ha ostacolato ma addirittura ha favorito la produzione editoriale. Uno strano dibattito giunto fino al brivido dei roghi di libri
Una società di dibattiti mi ha invitato a partecipare a un confronto sulla censura ma con un caveat: si trattava di un dibattito in cui le posizioni da sostenere venivano sorteggiate indipendentemente dalle effettive convinzioni del proponente. Mi sono così ritrovato a sostenere la posizione diametralmente opposta alla mia, dovendo dimostrare che la censura di libri e giornali fosse benefica per la società. Sforzandomi di argomentare contro il mio istinto, ho dovuto mimetizzare il mio pensiero e individuare quali punti potessero essere esposti a vantaggio della censura editoriale, dal rogo dei libri osceni alla cancel culture sulle fiabe non woke.
E’ triste dire che ne ho trovati molti, a partire dal più banale: il freno a diffamazione e disinformazione. Se avessi aggiornato su Wikipedia la pagina dedicata al mio opponente anti censura, foss’anche solo attribuendogli pubblicazioni farlocche, sarebbe stato lui stesso a invocare la cancellazione delle informazioni erronee che veicolavo, indipendentemente dalla sua posizione libertaria nel dibattito. E se per bieca malvagità avessi fondato una testata online all’unico scopo di diffondere fake news infamanti, magari decorate da illustrazioni sconce, ogni singolo articolo sarebbe stato censurato automaticamente dai social che tutti utilizzano ogni due minuti.
In entrambi i casi si sarebbe trattato di una censura che sarebbe stata accolta come benvenuta e discreta, poiché la attribuiamo al potere sovrumano di un numinoso algoritmo che si nasconde dietro gli schermi e giudica della nostra correttezza; oppure a quello di un’astratta legislazione. Ma non meno difficile è stato dimostrare l’utilità della censura più odiosa, quella effettuata non solo dagli uomini in carne e ossa ma proprio da uno stato non democratico, individuabile in specifiche persone che attuano il potere di controllo e cancellazione.
Ebbene, abbiamo la prova storica che la censura di stato non solo non ha ostacolato ma addirittura favorito la produzione editoriale: nella Francia di Luigi XIV si erano instaurati tre livelli di censura (del re a livello nazionale, dei parlamenti a livello locale, della Sorbona a livello religioso), lasciando presagire una produzione editoriale ridotta e mediocre come neanche in Corea del Nord. Quello invece di Luigi XIV ha finito per essere il grand siècle della parola scritta, il secolo di Molière, di Perrault, di Racine, e poi ancora Boileau, Bossuet, Fénélon, Saint-Pierre…
Questo paradosso è possibile perché la censura si è affermata come necessità sociale in quanto esercita un vaglio morale. Se la censura di stato approva un testo, vuol dire che costituisce un bene per la società così com’è, risultando opera edificante per i contemporanei. Se la censura invece lo disapprova, vuol dire che quel testo viene sottoposto al rischio di circolare clandestinamente, inguaiando autore lettore ed editore, solo e soltanto nel caso in cui si è certi che possa garantire un beneficio sociale in prospettiva, costituendo una nuova frontiera etica e risultando quindi edificante per i posteri. In entrambi i casi, il beneficio sociale pare proprio passare dalla presenza del setaccio spietato della censura.
Del resto, ho concluso, tutti chiamano censura il sistema di norme a cui non aderiscono però chiamano legge (contro la diffamazione, contro l’oscenità, contro la disinformazione) il sistema di norme a cui aderiscono. Finito il dibattito, si è votato: la mia mozione pro-censura, che partiva dall’8 per cento dei voti, con quest’argomentazione in un’oretta era arrivata al 34 per cento. Chissà se avessimo continuato fino al mattino dopo. A quel punto ho rivelato di non condividere una sola parola di quanto avevo detto, essendo in realtà favorevole alla totale assenza di censura editoriale. Troppo tardi, purtroppo: un buon quarto del pubblico si era effettivamente persuaso grazie alla mia recita. E non è questo il sublime paradosso della serata, per cui onde evitare simili danni la mia mozione avrebbe meritato di venire censurata?