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opposizioni

Quando Thomas Bernhard si metteva di traverso. Una pièce con musica e Wittgenstein

Elisa Veronica Zucchi

Bernhard è uno scrittore e un drammaturgo impegnato in uno scontro perenne con le convenzioni, in contrasto con sè stesso e la natura

Lo scrittore austriaco Thomas Bernhard, fra i più grandi del Novecento, si oppone, sceglie sempre la via opposta, che è anche la strada più insolita. E’ tredicenne quando Salisburgo viene bombardata dagli Alleati. Si oppone al nazionalsocialismo, al cattolicesimo e allo “spirito degenere” (Autobiografia, Adelphi, 2011, a cura di L. Reitani) della città natale di Mozart e dell’intera Austria, tanto da sognarla incenerita da un incendio nel racconto Andata a fuoco (in Goethe muore, Adelphi, 2013). Si oppone al ginnasio e diviene apprendista commerciante. Si oppone allo studio tecnicistico del violino per non perdere, del violino, la qualità di “strumento di melanconia”. Suonando nella “stanza delle scarpe”, dove giacciono ammucchiate le calzature degli allievi, la consacra a luogo salvifico di riflessione, divagazione e fuga dall’orrore del mondo. Divenuto scrittore, si oppone al linguaggio, così come l’eccentrico pianista Glenn Gould, non a caso protagonista de Il soccombente, si sottrae all’esecuzione pedissequa. Entrambi interpretano. Se Gould ricrea la partitura, manipolandola, Bernhard ricrea il linguaggio su uno spartito, orchestrando contrappunti, note e sprezzature, che lo trascinano costantemente verso una paradossale iperbole.

 

Essendo in contrasto anzitutto con sé stesso e con la natura, mette in scena a porte chiuse la sua precipua ossessione, quella della grandezza, scontrandosi con l’inevitabile aporia a cui conduce ogni acume spinto alla sua massima tensione, che è sempre soggetto al crollo e, data la natura intrinsecamente oppositiva, necessariamente fallisce. Così il linguaggio non dice mai la verità ma, nel dire la verità, mente. Thomas Bernhard non poteva che essere anche drammaturgo: la polifonia delle voci dei personaggi rispecchia la natura  frammentaria del linguaggio. Non per caso, Ludwig Wittgenstein, il filosofo del Tractatus, è una figura centrale, assieme a Montaigne, nelle opere di Bernhard.

 

Sappiamo che anche l’amatissimo nonno materno Johannes Freumbichler è scrittore e che introduce il nipote alla musica e a Schopenhauer. “Un pezzo di strada me lo sono fatto con Schopenhauer / un pezzo con Nietzsche”, afferma Voss in Ritter, Dene, Voss (Quodlibet, 2022, trad. di L. Reitani, per l’adattamento drammaturgico di Elena Sbardella). Come ricorda Martin Huber nel suo saggio in Thomas Bernhard e la musica (Carocci, 2006), la musica per Schopenhauer, in quanto “immediata oggettivazione e riproduzione della volontà”, è l’arte “più potente, più penetrante”. In Nietzsche, lo spirito dionisiaco si manifesta per un impulso musicale.

 

Voss è il nome sia del personaggio che dell’attore che lo impersona. Ma le sorelle, la materna Dene e la provocatoria Ritter – anch’esse derivano il nome dalle interpreti reali – lo chiamano Ludwig. Il personaggio è infatti ispirato a Paul e a Ludwig Wittgenstein. Lo scrittore, affetto da una malattia polmonare, conosce Paul, il nipote di  Wittgenstein (protagonista del romanzo eponimo), sofferente per disturbi psichiatrici, presso l’ospedale Steinhof di Vienna. I due, disgustati dalla borghesia viennese e appassionati di musica, diventano amici. Voss/Ludwig è uscito dal manicomio Steinhof e fa ritorno alla casa di famiglia. La musica – è ricorrente quella di Mozart – costituisce un elemento al tempo stesso demoniaco e salvifico nell’opera di Bernhard, ma soprattutto intride le fondamenta della struttura linguistica non solo come suono, ma come impulso all’esecuzione. Voss è Ludwig e non è Ludwig, proprio come Roithamer, protagonista di Correzione (Einaudi, 2013). Il personaggio si maschera per dire la verità mentendo.

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