I viaggi di Vicky
L'arte, le rose, l'India, i libri: un ricordo delle tante vite di Vittorio Ducrot
E' scomparso all'età di 89 anni, il grande imprenditore multiforme, lettore e viaggiatore vorace, che con i suoi "Viaggi dell'Elefante" ha contribuito a scrivere una pagina importante del turismo organizzato
Dicevi Vittorio Ducrot, Vicky per gli amici, e ti si apriva un mondo nel vero senso della parola, “una meraviglia da amare, da scoprire e da percorrere in lungo e in largo”, come lo definiva lui, “ma soprattutto da condividere” con chi potesse permetterselo grazie ai suoi Viaggi dell’Elefante, il famoso tour operator da lui fondato, specializzato “in itinerari e soggiorni di alto profilo, i migliori voli di linea, alberghi, ristoranti, servizi”, come recitava e recita il claim dell’azienda. Il lusso che non disdegna l’avventura e viceversa, la sostenibilità come rispetto di terre e di popoli. Oggi che Vicky non c’è più, in un’epoca dilaniata dal Covid e dalla guerra e, prima ancora, dal low cost e da un brutale appiattimento del tutto, fa ancora più effetto, anche se a pensarci lui ci inviterebbe a non meravigliarci più di tanto, “perché il vero lusso e l’eleganza innata, restano. Accada ciò che accada”. Ce lo disse a casa sua l’ultima volta che lo abbiamo incontrato.
A San Lorenzo, invece, poco più di un mese fa, nella nuova galleria Zweigstelle inaugurata con la mostra di sua moglie Isabelle, pittrice e autrice – maestra assieme a lui di un’eleganza che a Roma (e non solo) sono davvero in pochi a possedere – non c’era per ovvi motivi. Insieme condividevano tante cose e passioni (oltre all’amore per i figli e i nipoti), tra cui quella per le rose che nella villa a Corbara, piccola frazione di Orvieto, coltivava personalmente possedendone oltre tremila varietà. “Tutti legano il nome di mio padre ai Viaggi dell’Elefante e fa piacere, ma in realtà lui nasce come artista”, ricorda al Foglio suo figlio Giuseppe, noto scultore.
“Creava ceramiche straordinarie, piatti decorati, vasi e altri oggetti che sono nelle case di Roma e Palermo, realizzati con una grande influenza visiva sull’architettura e sul grottesco. Ne ho una ventina e con mio fratello Enrico abbiamo pensato di farne prima o poi una mostra e un catalogo, vedremo”. “Una passione che coltivò dai 20 ai 30 anni, poi si sposò con nostra madre e decise di fare altro”. Perché ha smesso? Gli chiediamo. “Un giorno ho voluto chiederglielo anche io – dice – ma la sua risposta non mi diede soddisfazione. Mi disse che ‘ogni cosa ha il suo tempo’, e che lui, con il matrimonio, avrebbe iniziato a occuparsi di altro, cominciando proprio da noi che siamo nati poco dopo”. Non è, quindi, un caso se oggi Giuseppe fa con successo lo scultore e l’artista, quasi a continuare quella passione volutamente interrotta dal padre. “Collezionava tante cose – aggiunge – anche la pittura barocca, miniature indiane e stampe antiche. Amava le barche, le navi da guerra e la botanica. Piantò alberi, restaurò la casa in campagna e scrisse diversi libri sulle sue passioni”. Tra questi, che firmava Vicky, la sua indimenticabile Introduzione all’India, una pubblicazione-gioiello che fu “il risultato – lo citiamo – di un amore per l’India alimentato da 48 viaggi compiuti da Isabella (mia moglie) e da me dal 1967 al 2005, assieme a cari amici che hanno fatto da cavia a itinerari spesso assurdi”.
I viaggi, poi, negli anni, sono arrivati a 66, come ci disse l’ultima sera che lo abbiamo visto. Tra il terrazzo e il gran salone, in un continuo via vai di gente per la cena organizzata dalla casa editrice Guanda in onore dell’autrice americana Nicole Krauss, lo trovammo seduto sulla poltrona del suo studio circondato da libri, vicino a una scrivania piena di oggetti, tra cui gli immancabili elefanti. Davanti a noi c’era un grande uomo, imparentato con Victor, progettista del canale di Suez, il generale Auguste che combatté con Napoleone III nella battaglia di Sedan e nipote di Enrico, che a Palermo progettò gli interni dei transatlantici Rex e Duilio. “Viaggiare mi ha aperto l’anima”, ci disse “e io l’ho aperta a chi ha voluto ascoltarmi, a chi si è fidato di me”. “Papà, aggiunge suo figlio, era indefinibile, ma ha ragione mia madre quando dice che era ‘un vero originale’, un uomo fuori dagli schemi. Quando gli piaceva una cosa, non guardava in faccia a nessuno: la faceva e basta. E’ stata anche questa la sua forza. Ci mancherà”. Anche a noi.
Universalismo individualistico