i barbari della lingua
Ribattezzare l'arte per renderla moralmente "presentabile", l'ultima del pol. corr.
Dallo “Scipione negro” di Cézanne al “moro” di Rubens, si cambiano nomi alle opere che devono "essere inclusive e non discriminatorie"
Scipione, un ragazzo di colore, era un modello all’Académie Suisse, la scuola di pittura frequentata dal da Paul Cézanne a Parigi tra il 1865 e il 1870. Fu lui a ispirare “The Negro Scipio”, capolavoro giovanile dell’artista francese, che Monet acquistò e teneva in camera da letto. Ospitato dalla Tate Gallery di Londra per la più grande mostra di Cézanne che si terrà nel 2023, il dipinto ora cambia nome. Si chiamerà “Scipio”. A febbraio il famoso quadro di Rubens al Musées Royaux des Beaux-Arts di Bruxelles “Quattro studi di una testa di moro” è stato ribattezzato (via la parola “moro”). “La responsabilità dei musei di essere inclusivi e non discriminatori è cresciuta sempre più a seguito di movimenti sociali come Me Too o Black Lives Matter” si giustifica il museo belga.
Negli stessi giorni, le famose Collezioni statali d’arte di Dresda hanno deciso di rinominare 143 opere con titoli “discriminatori”. Il tabloid Bild ha pubblicato un articolo che descrive i musei di Dresda come la “polizia del linguaggio”.
Via termini che potrebbero recare offesa – tra cui “negro”, “moro” e “zingara” – sostituiti con asterischi. Ma via anche parole come “Eskimo”. Una di queste opere è il famoso “Moro con grappolo di smeraldi” (1724) nel museo Green Vault. Ora è chiamato “**** con grappolo di smeraldi”. Eliminata la parola “Negress” da un disegno di Rembrandt nel Kupferstichkabinett. “I barbari della lingua hanno trasformato la ‘donna nera africana con uno specchio’, nota anche come ‘Venere nera’, in una ‘donna africana con uno specchio’” commenta il magazine Tychis. “Tutto questo a prescindere dal fatto che i titoli delle opere d’arte fossero stati scelti dai loro creatori. Cosa c’è dietro? Molto semplicemente, questa falsificazione della storia e barbarie linguistica hanno uno sfondo: dietro ci sono deficit educativi abissali accoppiati con un’ideologia testarda”.
Un’altra fra le principali gallerie d’arte europee, il Rijksmuseum di Amsterdam, è stata accusata di assecondare il politicamente corretto dopo aver rimosso termini come “Negro” e “Maometto” dai titoli delle opere d’arte per evitare di offendere. “Young Negro-Girl” di Simon Maris è stata ribattezzata “Young Girl”. Martine Gosselink, del Rijksmuseum, ha dichiarato al New York Times che anche parole come “Maometto” sono state rimosse. Julian Spalding, storico dell’arte, ha replicato: “Penso che sia assolutamente sbagliato rimuovere parole come ‘negro’. Da un lato è disonesto, perché riscrive la storia. A livello artistico è censura”. Un ritratto di John Simpson esposto per la prima volta nel 1827 come “Head of a Black” è diventato “Head of a Man”. L’“Olympia” di Edouard Manet dipinta nel 1863 è ora intitolata “Laure after the maid”. Capolavori di Manet, Picasso e Cézanne sono stati, infatti, rinominati in onore dei soggetti di colore presenti nei quadri al d’Orsay. L’Olympia di Manet raffigura una prostituta nuda sdraiata ed è stata ribattezzata Laure in onore della donna che si atteggiava a sua domestica. La National Gallery di Londra ha appena cambiato il nome di un dipinto di Edgar Degas, da “ballerini russi” a “ballerini ucraini”. Edvard Munch non poteva ignorare i pregiudizi del suo tempo e riconoscere la tragedia e il crimine contro l’uomo africano. Così, il Museo Munch di Oslo ha cambiato nome ai quadri dell’autore dell’Urlo con un soggetto africano. Ma se la Tate Gallery di Londra ha appena rinominato il dipinto di Cézanne, cosa si aspetta in Italia a cambiare nome a “Il negro del Narciso” di Joseph Conrad?