Carlo Fruttero e Franco Lucentini (LaPresse) 

La trilogia

Gli archetipi attualissimi di Fruttero & Lucentini

Marco Archetti

Sempre attivo a dispetto della realtà. È il cretino, che torna sempre, uguale a trent’anni fa. E liberarsene è un'impresa (se riesce)

Basterebbe la prefazione, ma perché fermarsi sulla soglia e togliersi il gusto di leggerseli tutti, magari uno dopo l’altro, questi ottantotto pezzi perfetti? Carlo Fruttero e Franco Lucentini – dieci e vent’anni dalla loro morte – trent’anni fa pubblicavano Il ritorno del Cretino, una “Like A rolling Stone” di squisita percussione, la raccolta più bella tra quelle che compongono la “Trilogia del Cretino”, proposta unitariamente da Mondadori nel 2012 (933 pp., 13 euro).

 

Cominciamo col dramma nei suoi termini reali: il Cretino torna sempre. Dal Cretino non ti liberi, è attivissimo e stentoreo, e se non lo è, c’è poco da stare allegri: in Francia si chiama “recouler pour mieux sauter” – sta solo prendendo la rincorsa. Del salto con l’asta dei Cretini siamo ormai spettatori quotidiani e consola il minimo sapere che è sempre stato così e che a ogni epoca corrisponde un tipo di Cretino. Il fatto è che, come osservavano F&L, talvolta uno si fa vincere dalla volonterosa ingenuità di sperare. Cosa? Semplicissimo: che ciò che accade, mentre accade, ossia gli eventi, il cosiddetto quadro internazionale, o per esempio la guerra, la morte, la distruzione, i crimini, lo sterminio, insomma, uno si augura che, assodata la tragica e cubitale gravità dei fatti, assodate le sue proporzioni angoscianti, la situazione “lasci sperabilmente tutti senza fiato, senza voce per un bel po’”.

E sulla falsariga fruttero&lucentiniana si può arrivare a supporre che “ci sarà una congrua pausa di riflessione e meditazione sulle vicende umane. Cenere alla cenere, polvere alla polvere, e via considerando in uno sbigottito silenzio”. Un silenzio gravido di consapevolezza, e di una lucidità capace di espungere da sé le più riprovevoli tentazioni narcisistiche. “L’apodittico dubiterà, il pontificante scenderà dal pulpito, l’agitatore si siederà su una panchina, il gonfiato si sgonfierà”. Macché. Tempo di finire questa frase e il Cretino è già là, ad agitarsi al centro del palco, carico a pallettoni, pronto per la pugna o il collegamento. 

 

Ma qual è il contrario di cretino? Fruttero e Lucentini rispondono: “Il contrario di cretino è sobrio, nel senso di non ubriaco”. Certo. Il cretino, di fatto, è un ubriaco: ne ha tutte le pose. Ne ha la ridicola improntitudine, la grottesca propensione al vaniloquio, la nota patetica e stridulante, l’ebete torpore logico e la più straziante inconsapevolezza di sé mentre “caracolla da un lampione all’altro nella sua notte avvinazzata” – o di teatro in teatro col monologo sulle verità nascoste o sulla pace proibita. Il Cretino ha orizzonti vasti e aspirazioni alate, non si concede limiti e vola di liana in liana nella jungla del dicibile, infatti dice tutto e qualsiasi cosa, nei suoi deliri tutto è uguale a tutto e a qualsiasi cosa, così che alla fine il quadro sbiadisce e controvento si staglia solo lui, il Cretino sul podio di se stesso, tosto affumicatore di realtà, ottuso, alcolizzato e triumphans mentre si dondola sui rami inferiori di qualunque metafisica.

I pezzi di questa raccolta sono uno più bello dell’altro, esemplari per ironia e perfidia noncurante, barlumi di vera intelligenza nell’opaco minestrone del mondo. Il mondo piccolo, diciamo, il mondo della tv coi suoi stuntman della stupidaggine e i solerti barellieri per ogni vincitore. Ma F&L castigano anche il mondo della scuola e le sue liturgie fesse, le ossessioni antiscientifiche e i refrain del nascente ecologismo (“e adesso dobbiamo anche avere paura del radon”, recita un incipit strepitoso), il linguaggio demenziale dei militanti dell’Intelligenza e l’interminabile crisi del Pci (“la godibilità di una farsa dipende dal ritmo, qui il ritmo è da coda al casello”). Poi, nell’ultimo pezzo – “Addio Reagan” – ecco saltar fuori la lista dei peggiori cretini loro contemporanei. Vale la pena riportarla per intero. “Gente con le ginocchia ancora sbucciate per il culto di Giuseppe Stalin”, cominciano a sgranare. Poi giù: “Ex adoratori di Mao, sbavatori da saloon per Castro e per il Che, estatici inghiottitori dell’ostia di Ho Chi Min, riluttantissimi disapprovatori di Tupamaros e delle Br, di Abu Nidal, Arafat e Gheddafi”. Il ritorno del cretino: sempre lo stesso.

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