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La tanto bistrattata memoria è uno specchio che porta a riconoscere noi stessi

Lina Bolzoni

Spesso ci è parsa come una forma di passività, associata al nozionismo. Ma invece ha una dimensione creativa che facciamo fatica a comprendere. Alcuni esempi tratti dalla grande letteratura

Sulla memoria ci sono molte cose che abbiamo dimenticato: l’ha notato Paolo Rossi che, con Frances Yates, ha riscoperto l’antica tradizione dell’arte della memoria, un’arte che insegnava a controllare gli spazi della mente per costruirvi palazzi, giardini, percorsi cui affidare i ricordi, un’arte che conosceva il potere delle immagini e delle emozioni. 

Faccio parte di una generazione che si è ribellata all’idea di imparare qualcosa a memoria, perché ha visto in questo una forma di passività, perché l’ha associato al nozionismo. Non ci rendevamo infatti conto che esiste una dimensione creativa della memoria, legata al modo in cui assimiliamo e trasformiamo le parole che leggiamo o che sentiamo raccontare. Possiamo vedere come la memoria, in diversi momenti della storia, e in modi diversi, abbia agito come uno specchio, come un dispositivo cioè in cui, rispecchiandoci in un altro (appunto nelle parole di uno scrittore o di un poeta), noi riconosciamo noi stessi, costruiamo dunque il nostro io e diamo vita alla nostra narrazione.

Fin dalle origini il rapporto fra memoria e poesia è molto forte: in una società orale, che non conosce la scrittura, la memoria, Mnemosyne, è una dea. Essa si unisce a Giove, ci dice Esiodo, nella Teogonia, e genera la Muse, che cantano gli eroi e gli dei e offrono “oblio dei mali, sollievo agli affanni”. Le Muse costruiscono dunque la memoria della comunità;  nello stesso tempo, con una specie di magia, danno l’oblio, fanno dimenticare ciò che turba e angoscia. E’ una magia simile a quella dell’amore, un incantesimo che penetra nell’animo. Con la scrittura questa forza magica della poesia sembra venir meno.

La parola scritta, dice Socrate nel Fedro di Platone, non è viva, non dialoga, non risponde. In realtà c’è una lunga tradizione per cui anche la parola scritta dialoga, risponde; il libro è specchio dell’anima dell’autore, l’altro a cui diamo ospitalità dentro di noi mentre leggiamo. Marcel Proust ha parlato di “quel meraviglioso miracolo della lettura che è la comunicazione nel cuore della solitudine”, una solitudine popolata dalle voci degli scrittori che stiamo leggendo, che ci aiutano a riconoscere noi stessi, a trovare il nostro “ritmo segreto”. E così fa Proust: sta traducendo le pagine di Ruskin sulla funzione democratica della lettura e in polemica con lui ricorda il piacere intenso e proibito delle letture dell’infanzia. Queste pagine, ha scritto Compagnon, preannunciano Combray, e quindi la Recherche, sono le prime che trovano il tono giusto del romanzo che verrà, ci mostrano come, proprio nel momento in cui prende nettamente le distanze dalle idee di Ruskin sulla lettura, Proust sia sollecitato dal suo testo, spinto dall’amore e dall’ammirazione che nutre per lui a scavare dentro di sé per trovare la propria voce.

Ma andando indietro nel tempo c’è un classico che ci dà dal vivo un esempio straordinario di come la lettura aiuti a narrare se stessi, è il Dante del canto V dell’Inferno, quello di Paolo e Francesca. Francesca è il primo spirito che parla con lui ed è interessante che sia una donna che legge e che usa le sue letture per raccontare la propria storia. E’ una storia di amore e di morte tutta scandita, all’inizio delle terzine,  dalla parola “Amore”: l’“Amor, ch’al cor gentil ratto s’apprende”, come avevano cantato Guinizzelli, i poeti dello Stil novo, e lo stesso Dante giovane; l’“Amor, ch’a nullo amato amar perdona”, come lei legge, con una certa forzatura, in Cavalcanti,  ed infine “Amor condusse noi ad una morte”. E’ davvero affascinante quello che Dante fa fare alla sua eroina: condannata all’Inferno, travolta dalla bufera che mai non cessa, lei racconta la propria storia usando il linguaggio con cui Dante e i suoi amici avevano parlato dell’amore. Ma Francesca non si ferma qui. Prima di raccontare la famosa scena in cui lei e Paolo si baciano dopo aver letto di Lancillotto che bacia Ginevra, fa una premessa: Nessun maggior dolore / che ricordarsi del tempo felice / ne la miseria; e ciò sa ’l tuo dottore.

Ancora una volta lei cita, e chiama direttamente in gioco Dante entro lo specchio magico che sta creando fra lettura e narrazione. Il “tuo dottore”, colui che conosce bene come sia doloroso ricordare il tempo felice quando si è infelici, è Virgilio, il poeta maestro di Dante, la sua guida, che nell’Eneide fa dire le stesse parole a Enea quando Didone, che si sta innamorando di lui, lo invita a raccontare la propria storia. E così anche noi lettori siamo invitati a collaborare, a ricordare appunto l’Eneide, a rievocare, sullo sfondo della storia di Francesca, un’altra storia di amore e morte, quella appunto di Didone. Possiamo naturalmente non farlo, ma perderemmo così una delle dimensioni in qualche modo teatrali che il testo di Dante crea, saremmo esclusi da quella specie di complicità fra lettura e vita che Francesca mette in scena.

E’ questo aspetto che Luis Borges rilegge e interpreta nella poesia dedicata a Paolo e Francesca, dove i libri trasmettono i sogni di cui la vita ha bisogno.
Lasciano in un canto il libro perché sanno / che sono i personaggi di quel libro, / (lo saranno di un altro, il più grande, /  ma non se ne curano).
Sono, adesso, Paolo e Francesca / … E insieme la regina e il suo amante / e tutti gli amanti che sono vissuti / dopo il primo Adamo e la sua Eva / nei pascoli del Paradiso. / Un libro, un sogno loro rivela / ch’essi sono le forme di un sogno che fu sognato / in terra di Bretagna. / Un altro libro concederà agli uomini, / sogni anch’essi, / di sognarli.
 


“Lo specchio della memoria e la narrazione” è il titolo dell’incontro che la storica della letteratura Lina Bolzoni terrà venerdì 27 maggio (ore 19.00, Teatro Bolognini) nell’ambito della tredicesima edizione di “Dialoghi di Pistoia”, festival di antropologia (dal 27 al 29 maggio), ideato e diretto da Giulia Cogoli, e promosso dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Pistoia e Pescia e dal Comune di Pistoia. Quest’anno il tema è “Narrare humanum est. La vita come intreccio di storie e immaginari”. Info: dialoghidipistoia.it

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