Intendersi su cosa è (e cosa sarà) questa nostra letteratura
Da dove si estrae la materia per raccontare? Impegnata o no, negli ultimi tempi la letteratura contemporanea è una specie di canna secca che nessuno può permettersi di riempire
Disimpegnata, d’intrattenimento, intellettualoide quanto basta, oggetto di culto da bolla, una volta si sarebbe detto risacca, povera se non vuota di ogni elemento lontanamente riconducibile a una relazione degna di questo nome.
Da più parti, ideologicamente e culturalmente anche molto distanti, quindi ugualissime il più delle volte, da parecchio tempo si ergono critici e scrittori nel dettagliare la letteratura per come è e per come dovrà essere. Non manifesti di una letteratura nuova, ma elementi residuali di tutte le vecchie messe assieme, o, meglio, il peggio del peggio.
Ecco un quadro della letteratura contemporanea. Secondo loro. A fronte dell’impegno civile sbandierato da molti, il più delle volte serio e severo come quelle pubblicità che tentano di invitarci a fare carità ma che per quanto brutte stimolano l’esatto opposto, i nuovi critici-censori si sono immolati nel congegnare una letteratura totalmente priva di qualsivoglia impegno.
La letteratura non serve. Non salva. Non aiuta. Niente. Niente di tutto questo. Scemi quelli che ne hanno tratto fonte di sapere utile alle loro esistenze. Scemi, il doppio, quelli che l’hanno trattata da approdo per le loro vite, traendo da essa parole in grado di risollevarli dalle tante crisi che riguardano l’umano.
Il giovamento che questi suggestionabili scemi hanno avuto in dono non è da riferirsi alla letteratura, ma alla loro suggestionabilità, appunto.
Non scemi, ma pazzi, quei lettori e scrittori che hanno affidato alle lettere le più alte preghiere laiche. Cosa dire di quel tale che arrivò a dire che la bellezza salverà il mondo? Un povero matto. In fondo, da un russo cosa aspettarsi.
Nel nuovo canone letterario, oltre all’impegno è fatta fuori la portata politica del gesto. Chi scrive nel migliore dei casi si rivolge ai suoi pari livello. Pari per intelletto e 730, e quartiere, città, mondo. Dunque, non un gesto capace di ricordare a tutti che esiste un popolo, comunità, capace di accogliere tutti perché tutti ne facciamo parte, no, non questo. Ma una specie di liturgia borghese che serve essenzialmente a condividere la noia del vivere. Dentro scritture piccole, al servizio di storie altrettanto piccole. Nulla che sia maestoso è ammesso, ma questo oramai dovrebbe essere chiaro.
Come sopra. Chi ha sempre concepito la letteratura come gesto politico, politico anche quando parla dell’amore per una madre, o un figlio, o la propria terra, o la città, questi soggetti sono invitati a dedicarsi ad altro.
Perché la vera letteratura nell’anno del Signore 2022 è questa specie di canna secca che nessuno può permettersi di riempire.
Altri guai, molto seri, li passeranno quelli che pensano al proprio vissuto come materia da cui estrarre letteratura. Su questo non si scherza. I critici-censori a riguardo diventano violenti, verbalmente violenti, pur sempre violenti. Non è più stagione di internamenti, o guanti di sfida, ma a tutti quelli che, dotati dell’arte della scrittura, vogliano approcciare partendo dalla propria biografia (si deve temere quando si pronuncia questa parola), sappiano costoro che il rischio è quello massimo. Uscire dalla bolla, risacca, della letteratura, dove mai nessuno litiga veramente perché i colti non arrivano all’ira, meno che mai alla rabbia.
Perché la letteratura, questa nuova messa a punto sia chiaro, non fa incazzare, né la si deve difendere a costo della vita.
Perché non è riflesso di nulla che si ami per davvero.
Il tempo resta l’unico galantuomo nei paraggi.