L'intervista
Cosa ne facciamo del passato, lo abbattiamo tutto? La risposta in un libro
Pierre vesperini parla al Foglio della cancel culture: "Se si deve togliere dagli edifici pubblici ciò che è testimone di un’ingiustizia, allora si deve togliere tutto, perché ogni opera d’arte era a servizio del potere, che non era per niente democratico"
Parigi. La “cancel culture”, in occidente, non ha risparmiato nessuno: dalle statue abbattute in nome del Black Lives Matter ai libri riscritti per non urtare la sensibilità delle minoranze, dalla rimozione di quadri considerati “razzisti” agli avvisi di contenuto (trigger warning) prima di un film, di uno spettacolo o a teatro per le opere di Shakespeare. Si può uscire da questa furia iconoclasta e trovare un equilibrio nel modo in cui affrontiamo il nostro passato e ci rapportiamo a esso, sfuggendo al manicheismo? Si deve, secondo il filosofo francese Pierre Vesperini, esperto di storia antica e ricercatore presso il Cnrs, che ha appena pubblicato “Que faire du passé? Réflexions sur la cancel culture” (Fayard). “Il movimento della ‘cancel culture’, che sta sfidando la nostra ‘storia sacra’, oleografica, parte da premesse giuste. E’ vero che la civiltà occidentale veicola pregiudizi orrendi: razzisti, misogini, antisemiti. Ma la soluzione proposta, quella della cancellazione o, a volte, della redenzione attraverso la riscrittura, mi sembra assurda e pericolosa. Occorre guardare in faccia il passato e decidere, caso per caso, come comportarsi”, dice al Foglio Vesperini.
Formatosi all’École normale supérieure e autore di un libro molto apprezzato su Lucrezio, “Lucrèce. Archéologie d’un classique européen” (Fayard), Vesperini, dal 2009 al 2012, è stato un allievo dell’École française di Roma, istituto d’eccellenza che si occupa di storia, archeologia e scienze sociali, e ha sede a Palazzo Farnese, residenza dell’ambasciatore francese in Italia. A due chilometri di distanza, a Villa Medici, sede dell’Accademia di Francia a Roma, è scoppiata lo scorso autunno una polemica molto aspra con tema la “cancel culture”. Alcuni borsisti dell’istituzione artistica francese hanno chiesto al direttore Sam Stourdzé di rimuovere i magnifici arazzi della “Teinture des Indes” perché “segnati dall’immaginario coloniale”, scatenando la protesta, sotto forma di lettera aperta (titolo: “Contre l’épuration”), di illustri storici dell’arte, curatori, scrittori e filosofi. “Non ho seguito da vicino questo episodio, ma in maniera generale: se si deve togliere dagli edifici pubblici ciò che è testimone di un’ingiustizia, allora si deve togliere tutto, perché ogni opera d’arte, nel passato, era a servizio del potere, e questo potere non era per niente, come si sa, democratico, progressista, etc”, spiega al Foglio Vesperini, prima di aggiungere: “Andando fino in fondo in questa logica, si dovrebbero anche distruggere gli stessi edifici, monumenti di un ordine profondamente ingiusto: antisemita, coloniale, sessista, etc. Ogni opera di cultura è un documento di barbarie, diceva Walter Benjamin. Si pensi alla ‘Tortura dell’ebreo’ di Piero della Francesca, che ognuno può ammirare negli affreschi delle Storie della Vera Croce nella basilica di San Francesco ad Arezzo. O ancora all’allegoria della Sinagoga sul portone di Notre Dame. Cosa si fa con queste opere? E’ importante, ribadisco, guardare in faccia il passato, ed accettare anche il fatto che la bellezza non debba per forza essere morale. La ‘Tortura dell’ebreo’ di Piero della Francesca fa ribrezzo, eppure è bella”.
Alcune inchieste apparse negli ultimi tempi sulla stampa parigina hanno mostrato che anche le università e i templi dell’eccellenza francese come Sciences Po sono permeabili alla cancel culture e all’ideologia woke in voga nei campus liberali americani. L’Express, in particolare, in un articolo pubblicato nel marzo dello scorso anno, ha messo in luce fino a che punto queste nuove radicalità militanti, che mettono in discussione le libertà occidentali, si siano radicate nelle scuole dell’élite. “Sono certamente preoccupato dall’idea secondo cui la libertà di espressione sarebbe un valore da gettare nella pattumiera della storia, in quanto elemento dell’ordine ‘bianco’, maschilista, etc. – dice al Foglio Vesperini – Gli eccessi vanno combattuti e la libertà di espressione non si tocca”.