La Germania e i masochisti verdi
Effetto Schröder. Ecco chi ha spinto la Germania ad abbandonare il nucleare e consegnarsi mani e piedi alla Russia. Un’indagine
Il 26 febbraio, mentre i carri armati russi si dirigevano verso Kiev, la Germania stava combattendo… per cercare di tenere le luci accese. Dal 2000, la Germania ha speso cinquecento miliardi per il suo programma “Energiewende”, la campagna per sostituire i combustibili fossili e l’energia nucleare con quella eolica e solare. Ma quel giorno di febbraio le vaste distese di turbine eoliche e pannelli solari hanno funzionato esattamente come hanno fatto spesso in passato: male. Il carbone e il gas russi sopperivano al fabbisogno. L’utopia tedesca di una una società industriale senza CO2 aveva reso indispensabili le consegne di gas e petrolio della Russia.
Quando la Germania ha lanciato la “Energiewende” sperava di diventare il leader mondiale nello sviluppo di un’economia a zero emissioni di carbonio e Angela Merkel, l’ex ministro dell’Ambiente che nel 1995 aveva lanciato la prima Conferenza delle Nazioni Unite sul clima a Berlino e che porrà la Germania in prima linea nel movimento globale per la riduzione della Co2, verrà soprannomina “Klimakanzlerin” (cancelliere del clima). Per anni, la Germania si è crogiolata nell’elogio degli attivisti per il clima e delle ong ambientaliste. Il New Yorker ha chiesto: “Può la Germania mostrarci come lasciarsi la Co2 alle spalle?”. Ma già alla fine del 2021 era ovvio che la “Energiewende” stava vacillando e l’uso del carbone era aumentato del 18 per cento. Il 1 gennaio, mentre la Russia stava ammassando truppe al confine ucraino, la Germania era impegnata a chiudere tre delle sue ultime sei centrali nucleari, promettendo di spegnere le ultime tre entro la fine dell’anno. E oggi eccoci qua, con la Germania che guida la resistenza che non vuole rinunciare ai fossili russi. Come ci siamo arrivati?
Il 1 gennaio 2000 è salito al potere un nuovo leader russo: Vladimir Putin. I leader occidentali lo salutarono a braccia aperte. Il primo ministro britannico Tony Blair lo avrebbe definito un “riformatore” e Gerhard Schröder, allora cancelliere della Germania, accorse da Putin, politicamente e personalmente.
Eletto nel 1998 per guidare una coalizione con i Verdi, Schröder rinunciò al vecchio slogan “Wachstum, Wachstum, über alles” (crescita, crescita, sopratutto) e annunciò un grande piano per eliminare l’energia nucleare che forniva un terzo del fabbisogno energetico tedesco, un’idea politicamente popolare in Germania sintetizzata da uno slogan: “Atomkraft? Nein Danke” (Energia nucleare? No grazie). Dopo anni di trattative, nel giugno 2000 venne annunciato un accordo con le compagnie energetiche: l’abbandono del nucleare. Un deputato verde, Reinhard Loske, disse che la Germania avrebbe potuto essere libera dal nucleare entro il 2019. Il suo partito festeggiò la “fine della mafia dell’atomo”. “L’abbandono del nucleare non può essere un tabù”, notava un editoriale del quotidiano liberal di Monaco Suddeutsche Zeitung. E così lanciarono un altro slogan: “Atomkraft — Nein danke! Merkel allein im Land”. Energia nucleare? No grazie. Merkel sola nel paese. Perché la leader della Cdu era la sostenitrice del nucleare.
Il giorno dopo l’annuncio della fine del nucleare, Putin avrebbe fatto il suo primo grande viaggio per incontrare un leader straniero: Schröder, ovviamente, insieme agli imprenditori tedeschi che erano stati incoraggiati a investire in Russia. Per la prima volta un presidente russo parlò al Bundestag, all’interno dello stesso edificio dove i soldati dell’Armata Rossa issarono nel 1945 la bandiera con la falce e il martello.
Putin iniziò il suo discorso in russo per passare disinvoltamente al tedesco, che parla correntemente, tra gli applausi dei parlamentari tedeschi, non abituati ad ascoltare la propria lingua sulla bocca di un capo di stato straniero. Putin disse che “la Guerra fredda è chiusa in modo definitivo”. Intanto era in preparazione un gasdotto russo che portava energia a basso costo per le aziende tedesche, in seguito chiamato Nordstream. Il progetto era gestito dalla compagnia russa Gazprom e guidato da Matthias Warnig, un ex ufficiale della Stasi. Alcuni giorni dopo che Schröder ha lasciato l’incarico nel 2005 sarebbe andato a lavorare per la Russia.
Ma in segno che la sicurezza energetica veniva presa più sul serio, Merkel avrebbe promesso nel 2010 di prolungare la vita delle centrali nucleari tedesche fino al 2036. Poi ci fu l’incidente nucleare di Fukushima e Merkel capitolò al ricatto ambientalista. Atomkraft? Nein Danke. Un altro gasdotto russo, Nordstream 2, era intanto stato approvato dalla Germania, perché dopo l’uscita dal nucleare e visto che le rinnovabili erano meteopatiche, serviva energia per far funzionare le industrie tedesche. Così la Russia ottenne sempre più influenza sulla Germania. “Il pubblico deve capire che la Russia non avrebbe potuto prendere l’Ucraina se l’occidente avesse ampliato la produzione di energia anziché limitarla chiudendo gli impianti nucleari e riducendo la produzione di petrolio e gas”, dice Michael Shellenberger, ambientalista e attivista del clima autore di “L’apocalisse può attendere” (Marsilio), fondatore di Environmental Progress, nominato “Eroe dell’Ambiente” da Time poi diventato ecologista pragmatico. “Le élite occidentali sono gli utili idioti di Putin”.
Nel suo primo viaggio all’estero, il cancelliere Olaf Scholz si è seduto con Emmanuel Macron all’Eliseo. Quando un giornalista ha chiesto perché la Germania, a differenza della Francia, si fosse opposta alla decisione della UE di etichettare il nucleare fra le fonti di energia pulita nella lotta ai cambiamenti climatici, Scholz ha risposto: “Ogni paese persegue la propria strategia per combattere il cambiamento climatico”. Scrive il Wall Street Journal che “è difficile pensare a una politica più controproducente per motivi economici, climatici e geopolitici”.
Con le sanzioni contro la Russia che potrebbero interrompere l’approvvigionamento energetico della Germania, perché, ha chiesto il parlamentare tedesco Marc Bernhard, Berlino non potrebbe semplicemente riavviare le sue centrali nucleari? “Se riattiviamo i tre impianti che sono stati spenti lo scorso dicembre, questi potrebbero, insieme ai tre ancora in funzione, sostituire tutto il carbone che importiamo dalla Russia o il trenta per cento del gas russo”, ha detto il parlamentare al cancelliere Scholz. Scholz gli ha risposto: “Se il mondo fosse così semplice come dici tu, avremmo una vita molto bella”. “Sarebbe un suicidio per i Verdi dire che ci sbagliavamo sull’energia nucleare”, ha affermato al Financial Times Thomas O’Donnell, analista energetico e fisico nucleare. “Quindi sono costretti a continuare con il vecchio piano di battaglia”.
“La Germania è fortemente dipendente da gas, petrolio e carbone, che rappresentano il 66 per cento del suo consumo di energia” racconta questa settimana un dossier di Le Figaro. “Inoltre, il 47 per cento della sua elettricità è prodotta da combustibili fossili. Insomma, il nostro vicino è particolarmente avido di gas e di carbone molto inquinante”. A marzo Robert Habeck, ministro tedesco dell’Economia, aveva preso in considerazione il rinvio dell’uscita dal nucleare, ma la coalizione di governo, che comprende i Verdi, ha messo il veto. “La Germania, che aveva già il limite massimo in Europa per le emissioni record di gas serra, sarà uno dei principali attori in Europa nel degrado climatico” scrive il Figaro. “E sono i cosiddetti ecologisti a sostenere questo modello, a dir poco disastroso per il pianeta”. La Germania ha nominato Jennifer Morgan, un’americana naturalizzata tedesca patron di Greenpeace, Segretario di Stato per la politica climatica. Il 13 maggio la Germania votava ancora contro la decisione della Commissione Europea di inserire il nucleare fra le energie pulite.
E se le campagne green contro il nucleare fossero state eterodirette dai Russi? “Il colosso statale del gas russo Gazprom ha finanziato movimenti ambientalisti che contrastano l’energia nucleare in Europa”, dice il politologo Dominique Reynié, professore di scienze politiche all’Institut d’Etudes Politiques di Parigi, in un’intervista al canale di informazione CNews. “Abbiamo scoperto che Gazprom ha finanziato Ong ambientaliste che facevano da consulenti a ministri a vari governi, come il Belgio, che poi ha sostenuto l’abbandono del nucleare”.
L’accusa era già stata mossa dal quotidiano polacco Gazeta Wyborcza, secondo cui i responsabili di organizzazioni ambientaliste tedesche all’inizio fortemente contrarie al gasdotto Nord Stream avevano ricevuto incarichi dirigenziali nella Fondazione per la tutela ambientale del Baltico tedesco, sponsorizzata da Nord Stream. WWF Deutschland, Bund (Gli amici della Terra) e Nabu (Associazione per la tutela ambientale e la biodiversità) sarebbero stati finanziati dal consorzio controllato da Gazprom. Questi ambientalisti erano tra i più acerrimi detrattori di Nord Stream in Germania. Poi hanno smesso di protestare…
Anche una fondazione ambientale tedesca che ha ricevuto più di 17 milioni di euro da Gazprom è stata accusata di essere un fantoccio finanziato da Mosca. La Fondazione per la protezione del clima e dell’ambiente è stata istituita nel Meclemburgo-Pomerania da parte di Manuela Schwesig, la premier socialdemocratica dello stato, alleata di Schröder, e dove avrebbe dovuto terminare Nord Stream 2.
Poi c’è l’inchiesta di Die Welt: “La guerra in Ucraina ha rivelato con sconvolgente chiarezza quanto l’Europa sia dipendente dal petrolio e dal gas russi. I tentativi di produrre da soli il gas naturale sono spesso falliti a causa delle proteste dei protezionisti del clima. Le prove suggeriscono che Mosca potrebbe avergli dato una mano”. In particolare alla campagna contro il fracking, un metodo di estrazione del gas nel sottosuolo tabù secondo i Grüne al governo in Germania. Va da sé che il fracking è stato dichiarato una tecnologia ad alto rischio e bandito in Germania nel 2014, nell’anno dell’annessione della Crimea alla Russia.
Ma l’apice dell’ipocrisia climatica la si raggiungerà leggendo un reportage del Washington Post: “La Germania si presenta come leader del clima. Ma sta radendo al suolo i villaggi per le miniere di carbone. La miniera di carbone di Garzweiler ha già inghiottito più di una dozzina di villaggi. Chiese e case di famiglia sono state rase al suolo, i terreni agricoli sono scomparsi e i cimiteri sono stati svuotati”. La sola miniera di Lützerath è il doppio di Manhattan. Soltanto l’anno scorso la Germania ha aperto una nuova mega centrale a carbone, la Datteln 4. E così la Germania è diventato il paese più inquinante d’Europa.
Ma non c’è soltanto il carbone. Il giornalista francese Fabien Bouglé ha appena scritto “Nucléaire, les vérités cachées”. Racconta che la Germania a Bruxelles ha intrapreso una guerra economica contro l’energia nucleare in combutta con ong ambientaliste favorevoli all’eolico. Un esercito di lobbisti tedeschi sta lavorando con la Commissione europea per impedire all’industria nucleare di entrare nell’elenco delle attività considerate “verdi” a causa della sua natura priva di carbonio e che potrebbero così ricevere finanziamenti europei. Va da sè che il 65 per cento delle turbine eoliche installate in Francia sono tedesche.
Si chiede il giornalista tedesco Jochen Bittner sul New York Times: “I tedeschi sono irrazionali? Steven Pinker sembra pensarla così. Pinker, uno psicologo di Harvard, ha dichiarato alla rivista tedesca Der Spiegel che se l’umanità vuole fermare il cambiamento climatico senza fermare anche la crescita economica ha bisogno di più energia nucleare, non di meno. La decisione della Germania di uscire dal nucleare è ‘paranoica’. Secondo i calcoli ufficiali, sono necessarie quasi 3.700 chilometri di nuove linee elettriche per far funzionare la ‘Energiewende’ o rivoluzione energetica. Sono stati costruiti solo 93 chilometri”.
Con tre centrali nucleari sarebbe stato possibile interrompere la dipendenza dal gas russo, evitare di inquinare i cieli con nuove miniere di carbone e distruggere il paesaggio con i mostri rotanti. Ma gli ecologisti avrebbero dovuto ammettere di essersi sbagliati. L’ex segretario di Stato americano John Kerry, inviato di Joe Biden per il clima, alla Bbc si è detto preoccupato per le “massicce conseguenze sulle emissioni” della guerra in Ucraina, oltre a essere una “distrazione dalla lotta ai cambiamenti climatici”. Greta Thunberg, i “protezionisti del clima” della Pomerania e il capo del Cremlino non potrebbero essere più d’accordo.