sale piene e cinema vuoti
Gabriele Lavia: "Il teatro è l'uomo, ecco perchè le platee sono colme"
"Gli attori sono cottimisti, è un problema" ha spiegato il regista al Foglio, "Il ministero della cultura deve fare di più". Il teatro è l'azione più importante compiuta dall'umanità per questo, a differenza del cinema, non morirà mai
Gabriele Lavia al teatro seguita a dedicare la sua vita. In questi giorni è a Bologna per le prove dell’“Otello” di Giuseppe Verdi, di cui cura la regia e che debutterà il 24 giugno al Teatro comunale. Gli chiediamo di spiegarci il senso del teatro nell’èra dei talk e dei reality, con il mondo è diventato un’orgia di teatranti. “Il teatro non ha bisogno di teatranti, vecchi o nuovi che siano – ci dice – perché è antico quanto l’uomo. Il cinema è bellissimo, ma è morto. Il teatro, che esiste ufficialmente dal sesto secolo avanti Cristo, ma sicuramente anche da prima, non è morto perché non può morire. Anzi, sta vivendo l’ennesimo ritorno di fiamma. Sono andato a teatro poche settimane fa. Era pieno. I teatri sono pieni. E’ molto bello e importante. Ho due soli crucci. Il Teatro Valle è stato occupato per liberarlo. Ed è lì, sbarrato e chissà se e quando riaprirà. Un altro tempio sacro, come l’Eliseo, si trova nella stessa deprecabile situazione di abbandono. La verità è che bisogna guardarsi dai liberatori e dai salvatori della patria”.
E’ vero che i teatri pubblici, restando chiusi per la pandemia, si sono arricchiti? “Sono illazioni, ma potrebbero avere un fondo di verità – spiega Lavia –. Le sovvenzioni le hanno prese e gli spettacoli non li hanno fatti, perché non potevano”. Molti attori, che non avevano le spalle sufficientemente coperte, durante la pandemia hanno, invece, cambiato mestiere. “Nel teatro italiano, che faccio da 60 anni e, quindi, anche se fossi di coccio, come dicono a Roma, qualche cosa devo averla capita, l’anello debole sono proprio gli attori. Gli attori sono generalmente considerati dai gestori dei teatri pubblici alla stregua di un manipolo di rompicoglioni. Lei mi dirà, ma perché? In fondo, senza gli attori il teatro non si può fare. Sì, ma anche senza gli attori, gli impiegati le loro quindici mensilità le prendono ugualmente. Il dietro le quinte non rimane mai all’asciutto”. Quindici mensilità? “Almeno a Roma ne prendono quindici. Lo so per certo”. Gli attori invece? “Gli attori sono trattati come dei cottimisti. Sono ai margini di quella strana cosa che è il teatro. E’ fuori da qualunque logica e filosofia, ma è così”.
Che rapporto ha con i critici? Sono tuttora una casta? “La critica teatrale è sparita dalla pagine della Repubblica e credo che sia, nonostante tutto, un male. Io non mi sono mai offeso per i loro giudizi, anche se nella mia vita ho avuto critiche negativissime. Se si fosse dato retta ai critici, io avrei dovuto abbandonare le scene da molto tempo e, invece, dopo 60 anni di teatro sono ancora qui e i miei spettacoli non sono pieni, ma stracolmi. Evidentemente c’è un gusto diverso fra la critica e il pubblico. Se con una pistola puntata alla tempia mi chiedessero se preferisco una bella critica o un teatro pieno, io risponderei che è molto meglio il pubblico entusiasta di una buona parola. Meglio un pubblico tacciato di incompetenza che un teatro vuoto”.
Il teatro rientra nelle competenze del ministero della Cultura, che è di per sé un ambito vago. Non pensa che, dal momento che è antico quasi come l’uomo, il teatro meriterebbe invece un ministero esclusivo? “Assolutamente sì. La cultura ha un ministero dedicato, ma è un’illustre sconosciuta. Senza cultura non è possibile neppure pensare che il teatro è forse la più importante azione compiuta dall’uomo. L’uomo ha capito di essere l’uomo che è, nel momento in cui si è visto rappresentato. Il teatro non morirà mai. Il cinema è morto. Se qualcuno non se ne è accorto, lo informo io. Le sale sono vuote e tristi. Quando vado al cinema con mia moglie, lei mi fotografa sempre perché sono l’unico presente in platea. Anzi, siamo in due, io e lei”. Perché auspica un ministero intitolato al teatro? “Il teatro non è la cultura, ma molto di più. Il teatro è l’uomo e c’è bisogno di un ministro che se ne occupi in esclusiva. Sarebbe un segno straordinario di civiltà, che purtroppo non mi aspetto dal mio paese”. Le piacerebbe essere il primo ministro del Teatro? “No per carità. Vede. Io devo lavorare. Ho ancora tanti progetti e tanti sogni da inseguire. E poi non sarei imparziale. Sarei tentato di caldeggiare solo le cose che piacciono a me e qualche amico lo tratterei meglio degli altri. Non sono, mi creda, la persona adatta”.