spinoza o pascal
Siamo solo materia destinata a diventare altra materia? Andiamoci piano
L'idea di un brodo cosmico che inghiotte ciascuno al momento della morte per farlo diventare concime sembra quasi rallegrare certi filosofi naturalisti. La fanno finita con l’inconciliabilità di uomo e mondo, il tragico dell’umana esistenza. Ma qualcosa non torna in tutta questa leggerezza
Capita sempre più spesso di ascoltare filosofi che sbandierano ai quattro venti un naturalismo pieno di ottimismo e quasi di allegria. Siamo niente altro che materia, nati da materia e destinati a diventare altra materia. Oggi siamo umani, domani saremo vegetali, oppure uccelli, chissà? L’importante è non prendersela. Alla fin fine un uomo, un lombrico, un seme o un minerale sono semplici frammenti di un cosmo eterno, eternamente in movimento. In quale direzione, potrebbe domandare qualcuno. Ma è ovvio: in direzione di se stesso!
Altro che res cogitans e res extensa, come pensava Cartesio. Il brodo cosmico non fa di queste distinzioni. Parole come pensiero, anima, libertà non sono altro che materia, forse materia sui generis, ma non è bene arrischiarsi in tali aggettivazioni, perché poi bisognerebbe spiegare che cosa significano. Meno che mai prende sul serio le preoccupazioni di un Pascal che vedeva nella distinzione tra res cogitans e res extensa l’effetto tragico della caduta di Adamo: una sorta di premessa per un’autentica esperienza religiosa. Il brodo cosmico, lo ripeto, non si cura di queste bazzecole. Potrebbe forse far pensare a Spinoza. Ma mentre per Spinoza la natura è divina, qui Dio è la natura stessa. Mangiare una foglia d’insalata, bere acqua da una fonte o scrivere La saggezza nel sangue, come fece Flannery O’Connor, sono comunque tre esperienze del medesimo tutto divino. E quando moriremo, diventando magari concime per altra insalata, non faremo altro che perpetrare questa divinità. Riprendendo la nota affermazione di Pascal sull’uomo come “canna che pensa”, si potrebbe dire che sì, nel brodo cosmico l’uomo è anche canna e la canna è anche pensiero. Bando dunque a ogni piagnisteo sulla nostra finitudine e avanti con l’ottimismo.
Chi si ostina a vedere l’inconciliabilità di uomo e mondo, diciamo pure il tragico dell’umana esistenza, è perché non ha capito che tutto non è altro che la gran madre Gea in perpetuo movimento. E qui, ancora una volta, viene in mente un pensiero pascaliano, il numero 171 per l’esattezza: “La sola cosa che ci consola della nostra miseria, dice Pascal, è il divertimento, e tuttavia proprio questo è la più grande nostra miseria. Esso ci impedisce principalmente di pensare a noi stessi e ci perde insensibilmente. Senza il divertimento saremmo immersi nella noia, la quale ci spingerebbe a cercare un mezzo più consistente per uscirne. Ma il divertimento ci diletta e ci fa arrivare insensibilmente alla morte”. E ancora: “Gli uomini, non avendo potuto guarire la morte, la miseria, l’ignoranza, hanno creduto meglio, per essere felici, non pensarci”. Mai e poi mai, credo, Pascal avrebbe potuto immaginare l’ottimistica liquidazione del problema, attuata nei modi in cui viene attuata, ossia pensandoci e presumo pensandoci a fondo, dall’odierno naturalismo o come vogliamo chiamarlo. Se la proposta pascaliana sembra essere una sorta di “essere per la morte” ante litteram, il pensiero della morte, cioè, come alternativa alla rimozione della morte tramite le distrazioni della vita, per certo naturalismo la morte stessa è vita che si trasforma e quindi c’è solo da stare tranquilli.
Non nego che, leggendo Pascal, visto che l’ho tirato in ballo, qualche volta faccio fatica a condividere la sua ossessione, la sua incapacità di assaporare ciò che di bello può offrire la vita; né mi piace l’idea che la fede religiosa sia una sorta di scopa per spazzar via tutto ciò che ci distoglie dal pensiero della morte. Prima o poi ognuno di noi dovrà morire, certo, ma nessuno nasce semplicemente per morire, quasi a dar ragione alla mors immortalis di cui parlava Lucrezio, che certo naturalismo ci ripropone oggi in salsa ottimistica. Non c’è nulla di bello e buono nell’orrenda naturalezza della morte. E’ per questo che cerchiamo in ogni modo di procrastinarla il più possibile, faticando non poco a conciliarci con essa e spesso senza nemmeno riuscirci. Il fatto che questa conciliazione sia segno di profonda saggezza non giustifica comunque in alcun modo la leggerezza di chi vorrebbe mettere noi stessi, i nostri pensieri, gli amici, la suocera, il gatto e il canarino nello stesso calderone dove non muore mai nessuno, ma semplicemente la vita subentra ad altra vita, in un ciclo interminabile di reincarnazioni. Hai un male incurabile e senti che l’ospite inquietante sta per avere il sopravvento su di te? Non preoccuparti; pensa piuttosto a quando sarai una bella piantina ben concimata. Evidentemente ognuno ha le sue consolazioni.