Patrizia Cavalli e le ali alle parole
Grandissima poeta della vita (come per prima le disse Elsa Morante) e dell’incontro fra gli esseri umani. Un pensiero che ha uso di mondo, di noia e di allegria, ma per nessun motivo rinuncia a manifestarsi e vola
"Io ho sempre scritto per essere amata, e adesso quindi, che faccio?”. Patrizia Cavalli lo ripeteva spesso negli ultimi anni, nell’ultimo tempo in cui a volte perdeva la memoria oppure scherzava sul fatto di perdere la memoria, in un gioco malizioso con il quale permetteva a chi era con lei di non rattristarsi, di sentirsi solo un po’ preso in giro, che è più consolante.
Patrizia Cavalli, uno dei più grandi poeti contemporanei, una poeta, come per prima le disse Elsa Morante: “Patrizia, sono felice, sei una poeta”, detestava carnalmente la solitudine ed era disgustata dagli effetti della pandemia sulle persone (“nessuno mi invita più a mangiare insieme, questo Covid, che nome orribile, ha dato la scusa di non esistere e di non considerare l’esistenza altrui”). Ha affrontato la malattia anche dal punto di vista poetico, nei versi e in prosa, nei fogli e a voce, ma ha più di tutto celebrato il semplice fatto di vivere e incontrarsi, scambiarsi qualcosa dentro un momento terreno ma divino.
Lei sa stellarsi gli occhi a piacimento.
Quando l’ho conosciuta faceva il firmamento
La sua opera ci ha offerto sempre la vita quotidiana con un realismo geniale e visionario, unico: l’innamoramento, la noia, i litigi, i sanpietrini di Roma, i bagagli per le vacanze, l’amore quando è stanco, le tasche che sono sempre troppo basse, i baci, una vendetta ma con nonchalance. I versi di Patrizia Cavalli hanno la sua voce, e la sua voce aveva proprio quei versi: una noncuranza molto precisa, fulminante, capace di nascondere l’intenzione letteraria perché niente deve mai suonare fasullo. Tutto è vero, anche le bugie, anche la desolazione. Anche questo nuovo smarrimento davanti agli anni che passano e all’amore che non ritorna, al furore e all’estasi che non abitano più la stessa casa: ma la casa è ancora la poesia ed è sempre il palco di un teatro.
Questo teatro Patrizia Cavalli l’ha occupato sempre anche con le mani, lo sguardo, un sopracciglio che si alza e quella voce che sa dare a ogni verso l’intenzione reale: ridere, oppure disperarsi. Forse entrambe le cose, ma con leggerezza. Con l’umorismo lei ha costruito il ragionamento: dai suoi versi non abbiamo ricevuto soltanto l’impressione, il corpo, l’erotismo di un letto sfatto, l’idea di un mondo che ha senso solo se ci si tocca.
C’è qualcos’altro che vola ma allo stesso tempo ragiona. Un pensiero che si sdraia sul divano e ha uso di mondo, di noia e di allegria, ma per nessun motivo rinuncia a manifestarsi, a dire quanta vertigine, quanta profondità e anche quanto dolore. Quanta paura di morire, di non essere più insieme. “Io ho sempre scritto per essere amata, e adesso quindi che faccio?”. Quando ha esordito con la prima raccolta di poesie nel 1974, Patrizia Cavalli aveva scritto quei versi appositamente, nel suo racconto leggendario, per continuare a essere amata da Elsa Morante. Per non perdere la sua amicizia. Le poesie che si scrivono per essere amati sono le poesie che si scrivono quando si ama, quando si freme di desiderio. Per l’umanità un po’ storta, per un pettegolezzo, per il piccione zoppo che poiché adesso è zoppo assomiglia a un essere umano, per le parole come signorine un po’ malfamate.
L’educazione permette di mangiare
con educazione e permette
altre cose; ma se vuoi volare
le ali si hanno o non si hanno
Patrizia Cavalli temeva di avere perduto le sue ali e il suo desiderio di capire, e quindi di amare, il mondo. Ma bastava una parola, e di nuovo volava.