ondata rossobruna

La guerra è il lievito dell'intesa tra intellettuali di sinistra ed estremisti di destra

Paolo Mossetti

Con il contenitore vuoto del grillismo che si è disintegrato, la Lega che si avvia a perdere la metà dei consensi ottenuti alle europee e Giorgia Meloni che sembra sposare una linea governista, la galassia dei “mini” partiti presenti agli estremi politici potrebbe colmare spazi vuoti, e non restare più così “mini”

Ci stanno pensando i postumi da Covid e la guerra in Ucraina a fare da lievito per vari esperimenti di aggregazione degli estremi politici, destinati a compensare il collasso del grillo-leghismo e della sua egemonia trasversale. Queste sono le cronache di un’Italia orfana dell’alleanza gialloverde, che cerca un vettore per riprendere il lavoro ideologico che né Grillo né Salvini riescono più a fare, e per giocare la sua partita mentre una crisi insegue l’altra. 
Alle ultime amministrative, i primi esperimenti per una Cosa ultrapopulista che ha visto insieme i comunisti di Marzo Rizzo, il partito di Diego Fusaro (Ancora Italia) e varie cellule sovraniste, uniti dall’opposizione totale a qualunque restrizione sanitaria e dall’appiattimento sulle ragioni russe della guerra, sono andati maluccio, raccogliendo dallo zero virgola qualcosa di Gilberto Trombetta a Roma al tre percento della No vax ed ex leghista Francesca Donato a Palermo: social pieni, urne vuote. Ma non è stato così anche per il M5s degli esordi?


Questo è  un universo molto più complesso e in fibrillazione, dove sincretismi un tempo impensabili potrebbero trovare un altro trampolino nella Commissione Dubbio e Precauzione di Ugo Mattei e Massimo Cacciari, diventata un freak show che accoglie egomaniaci come Alessandro Orsini o Carlo Freccero, giovani cattolici conservatori come Gabriele Guzzi, reporter come Giorgio Bianchi, 100mila e passa iscritti sul suo canale Telegram, che durante il Covid elogiava le manifestazioni di Forza Nuova e ora difende i separatisti del Donbass dagli “ukronazisti”. E poi costituzionalisti radicali, benecomunisti, intellettuali disgustati dal tecno populismo Pd-Cinquestelle.  


Parliamo di segmenti politici “al di là della destra e della sinistra”, ora più che mai in cerca di quell’alchimia rossobruna che il filosofo marxista Costanzo Preve, padre spirituale di Fusaro, dieci anni fa portò agli estremi al punto tale da pubblicare con case editrice esplicitamente neofasciste. Esperimenti per dare voce  a un malessere trasversale, di coloro che non hanno passato indenni il tradimento di Di Maio e Conte e il fallimento di Salvini. Che potrebbe assumere forme diverse, inedite, confermando l’Italia come laboratorio politico di prim’ordine. 


“Trafficando nella rete, ho scoperto questo”, dice Moni Ovadia nel suo intervento in teatro, per la pace, da Santoro. “E’ di una giornalista statunitense, Lara Logan… inviata di guerra, celeberrima”. E parte col leggere l’interpretazione dei fatti ucraini di una trumpiana coi fiocchi, esclusa persino da Fox News perché troppo estremista, convinta che Darwin fosse assoldato dai Rothschild, Zelensky sia coinvolto in pratiche sataniche e Fauci uguale a Mengele. E’ che, evidentemente, esiste una destra isolazionista, anti-occidentale e a lungo reietta che appare, a una parte della sinistra anti-imperialista senza rappresentanza, come parlante una lingua di verità più di tanti compagni.


Del resto sia gli “eurasiatici” di destra sia i vetero-stalinisti hanno capito di avere qualcosa in comune: la mutilazione dell’Ucraina come opportunità, forse irripetibile, per accelerare verso un mondo multipolare, umiliare le élite liberal-progressiste e affermare che another world is possible. Lo sostiene “Patria socialista”, formazione che alle sfilate col sound system e gli arcobaleni preferisce i nastrini nazionalisti russi di San Giorgio e uno stile lugubre ispirato agli Arditi del popolo. Tra loro ha militato Alberto Fazolo, combattente in Donbas tra i separatisti con quel Battaglione Prizrak che secondo Amnesty è responsabile di torture ai prigionieri. “Diamo tempo al tempo”, scrive su Twitter, augurandosi l’arrivo dei carri armati invasori nella capitale ucraina. 
Fazolo è stato per mesi l’esperto di vaccini de “L’Antidiplomatico”, portale di geopolitici fai-da-te lanciato da Alessandro Bianco, uno  stretto collaboratore di Alessandro Di Battista. Sito il cui livello di analisi è: discorso in ostello in Patagonia. Ma che ha rappresentato la linea estera filorussa del M5s prima della svolta governativa, e che tuttora ospita un ecosistema di antimodernismo bomberista: vignette che raffigurano persone trans come mostruosità col dildo in mano, aperture all’idrossiclorochina, insulti alle Femen, lamenti sulla scarsa attenzione alle vittime italiane dell’immigrazione, elogi sperticati alla lungimiranza di Putin, e così via.


In questa categoria ci sono anche i Carc, Comitati di appoggio alla resistenza per il comunismo, nei quali ha militato Vito Petrocelli, ormai ex presidente della commissione Esteri del Senato, cacciato dal M5s dopo aver augurato una “buona LiberaZione” con la Z dell’invasione. Una Z enorme, composta da bambini messi in posa a Donetsk, la pubblicano i Carc di Napoli sulla propria pagina Facebook, chiamando la polizia quando la comunità ucraina osa protestare. Dal sempre a favore dell’”operazione di polizia” del Cremlino, oggi aprono stucchevoli “tavoli per la pace” in cui partecipano l’ex sindaco Luigi de Magistris, il gruppo Pax Christi, ex pentastellati allo sbando e l’immancabile Jorit, gettonatissimo campione di populismo murale, che tre mesi fa dedicò il faccione di Dostoevskij alla lotta contro la russofobia, inserendogli di nascosto in un occhio la bandiera dei separatisti filorussi del Donbas. 
La realtà è che per molti avvelenati della classe media, che si sentono trollati dalla vita, la Z non è l’opportunità per instaurare un nuovo totalitarismo capitalista, quanto piuttosto un nuovo “vaffa” grillino per provare una fuga in avanti. Quando Gianluigi Paragone viene espulso dal M5s e fonda Italexit, due anni fa, nel direttivo c’è tanta destra “nordista”, ma pure l’ex ferroviere Ugo Boghetta, ex Democrazia Proletaria, o Thomas Fazi, saggista e agit-prop facebookiano, già amico personale di Dibba, figlio dell’editore Elido che per accontentarlo gli pubblica un pamphlet della populista Sarah Wagenknecht, ex Die Linke: “Un controprogramma basato su valori non individualistici ma comunitari”, tra cui la triade “patria, fede e nazione”, anche se lei adesso campa facendo tirate no-vax su YouTube. Per mesi Fazi Jr. viene presentato come “economista” da Paragone e tiene convegni sulla Teoria Monetaria Moderna (Mmt) nei centri sociali neofascisti, come Casaggì a Modena animato dell’ultraputinista Fabio Di Maio, mentre Italexit diventa un bollettino ossessivo e allucinato dei crimini dei migranti e delle “morti sospette” post-vaccinazione. 


Adesso che a destra si rileva lo stato comatoso di Forza Nuova, CasaPound in ritirata strategica dopo l’addio dell’ex leader Simone Di Stefano che ha fondato il suo movimento no-Ue (“il pareggio di bilancio è sterilità, il deficit è fecondo”), neofascisti e identitari tornano a guardare agli intellettuali che hanno tagliato tutti i ponti con i “sinistrati”. 
L’esempio più surreale dell’anti-imperialismo tanto sincretico da essere fine a se stesso resta comunque, tra quelli recenti, il libro a quattro mani tra lo storico Luciano Canfora e il giornalista de La Verità Francesco Borgonovo: per spiegarci il nazismo insanabile degli ucraini, il più stimato intellettuale comunista vivente decide di andare in modalità Agamben, ossia di incaponirsi e fare un dispetto ai suoi critici pubblicando un instant book con un editore di libri neofascisti che ha una runa Algiz nel logo. E di farlo, soprattutto, assieme a un autore di fumetti su immigrati sanguinari dall’Africa che va alle Feste del Sole del gruppo Lealtà e Azione (ispirato alle Waffen SS, secondo la comunità ebraica milanese). Un’impresa che ha “il merito di aver mandato in tilt il battaglione degli immortali difensori dell’ortodossia ideologica”: parola di Maurizio Murelli, ex eversivo nero, principale editore in Italia del nazionalista russo Aleksandr Dugin. 


L’intellettuale “dissidente” oggi non ha più intermediari o punti di riferimento partitici e dialoga con chi vuole, mentre i social favoriscono un’auto-vittimizzazione stucchevole. Così lo storico Angelo d’Orsi, candidato dalla sinistra radicale a Torino e l’epidemiologa Sara Gandini reagiscono alle critiche in tv consegnando i loro sfoghi a Byoblu, il canale di Claudio Messora, fucina del complottismo più disordinato e paranoico, dove sono passati il documentarista Massimo Mazzucco (“Mai stati sulla luna!”), la xenofoba Francesca Totolo (Primato Nazionale) e il prete negazionista don Curzio Nitoglia, consigliere spirituale del nazista Erich Priebke. 


Come si è arrivati a questo punto? Non bisogna fare l’errore di sopravvalutare la predestinazione di queste convergenze, molto spesso dettate dal caos, dal narcisismo, dal desiderio di tornare a essere intellettuali organici a qualche progetto politico, più che da reali affinità elettive. Libri come quello di Canfora-Borgonovo o gli intellettuali che vanno su Byoblu sono segno di una deriva tragica, dovuta anche all’assenza di una reale alternativa progressista con capacità di presa trasversale in società.  Un fenomeno favorito, anche, dallo speculare atteggiamento difensivista della sinistra liberal, che dovrebbe invece scendere a patti con i suoi demoni e tollerare la nascita di aggregazioni meno pericolose di quelle che si prospettano; facendole fare anche da gatekeeper, perché no. Con il contenitore vuoto del grillismo che si è disintegrato, la Lega che si avvia a perdere la metà dei consensi ottenuti alle europee e Giorgia Meloni che sembra sposare una linea governista, la galassia dei “mini” partiti paragoniani potrebbe colmare spazi vuoti, e non restare più così “mini”. E chissà se non si possa immaginare un possibile argine, un quasi Mélenchon italiano nientemeno che in Giuseppe Conte. 
Se il sistema elettorale attuale, il rossobrunismo potrebbe però anche vivere una sorta di ‘77, con una molteplicità di sigle che non ricreeranno forse un nuovo M5s ma tormenteranno i vecchi partiti anti-sistema e proveranno ad aver un certo peso nel dopo Draghi. Anticipare le mosse degli scontenti dovrebbe essere il compito di qualunque sinistra non sfascista.