(Foto di Ansa) 

Inherent Vice

La lezione di Jack London ai giovani scrittori: "Hai qualcosa da dire o credi aver qualcosa da dire?"

Alberto Fraccacreta

L'energico autore di Zanna Bianca e Martin Eden ha scritto pagine dinamitarde per gli esordienti del mestire. Un libro frizzante e succoso, in cui la tecnica dell'insegnante è efficacissima perchè riporta con i piedi per terra e conduce alla verità delle cose

“Pennaioli fossilizzati, passate oltre!” tuona Jack London contro chi non vorrebbe ascoltare i suoi consigli di scrittore, ma è giocoforza costretto a farlo. Si tratta di diventare romanzieri di successo e, soprattutto, di dimostrarsi originali. E l’energico autore di Zanna Bianca e Martin Eden ha qualcosa da dire in proposito.


“Come farà, caro signore, signora o signorina, a raggiungere la distinzione nel campo che ha scelto? Col genio? Oh, ma lei non è un genio. Se lo fosse non starebbe leggendo queste righe”. Sono soltanto le prime, dinamitarde pagine di Pronto soccorso per scrittori esordienti (a cura di Monica Crassi, prefazione di Giordano Meacci, traduzione di Andreina Lombardi Bom, 110 pp., 10 euro), una raccolta di scritti ristampata recentemente da minimum fax. Ma il discorso sembra già frizzante e succoso. 


London mette subito la sua proposta sul piatto: per essere grandi scrittori, dal “successo duraturo”, e non ingenui “scribacchini letterari”, ci vuole una filosofia di vita, anzi una “filosofia operativa di vita”: un proprio “punto di vista”, un “metro di paragone”. Una Weltanschauung che ci appartenga nell’intimo.


O mamma! Tosto però, questo London!, penserà il lettore innaffiando il gargarozzo con due secchiate di whiskey. Calma, calma. Non è ancora arrivato il vero colpo al cuore. Basta andare qualche riga più giù e... il respiro si ferma. 

 


Questa è la nona puntata della rubrica Inherent Vice. Come prescrive il diritto marittimo, il “vizio intrinseco” è tutto ciò che non è possibile evitare. Potrebbe essere anche una visione specifica, una chiave di accesso della letteratura americana, a cui questa rubrica è dedicata.



“E allora tu, giovane scrittore, hai qualcosa da dire, o credi soltanto di avere qualcosa da dire?” Domanda tremebonda, da editor di razza. Domanda che ci mette all’angolo come cagnolini impauriti. “Se ce l’hai, nulla potrà impedirti di dirlo. Se sei in grado di pensare cose che al mondo piacerebbe sentire, la forma stessa del pensiero già ne è l’espressione. Se pensi con chiarezza, scriverai con chiarezza; se i tuoi pensieri sono meritevoli, altrettanto meritevole sarà la tua scrittura. Ma se il tuo modo di esprimerti è scadente, è perché i tuoi pensieri sono scadenti; se è limitato, è perché tu sei limitato”. A parte gettare l’aspirante scribaiolo in deprimenti baratri di autocommiserazione, la tecnica di London è efficacissima: perché riporta con i piedi per terra e conduce alla verità delle cose. Sfatando il tabù romantico del genio venuto su con la bacchetta magica, il San Franciscan punta il dito su un solo umilissimo imperativo. (Preparate altro whiskey.)


“Scrivetelo in tutte maiuscole: LAVORATE. Lavorate in continuazione. Imparate a conoscere questo mondo, questo universo; questa energia e questa materia, e lo spirito che attraversando l’energia e la materia traluce dal magnete alla Divinità. E con tutto questo voglio dire lavoro come filosofia di vita”. Una lettera a Cloudesley Johns, la questione del nome per gli scrittori sconosciuti, il concetto di “farsi pubblicare”, un’altra lettera ad Armine von Temsky, “otto fattori di successo letterario”: i suggerimenti, gli avvertimenti, i moniti di London, focosi e partecipi, sono più puri del diaspro. 


La letteratura è vista come una sorta di vocazione e chiede a chi ne investito la patibolare rinuncia di ogni cosa. Non deve allora stupire la franchezza (belluina, talvolta) con cui London risponde al povero giovanotto che (malauguratamente) ha osato inviargli un manoscritto. “Caro Max Feckler, [...] ho apprezzato il racconto per la sua psicologia e il suo punto di vista. In tutta onestà e franchezza, non l’ho apprezzato per la sua bellezza o il suo valore letterario. Tanto per cominciare, di valore letterario ne ha molto poco, e di bellezza non ne ha praticamente nessuna”. Ma riga dopo riga la brutale stroncatura si addolcisce e diventa esortazione paterna al “lavoro” (ancora una volta) e alla “pazienza”. E infine da ospitale ranchero nella contea di Sonoma, Jack dichiara: “Se in qualsiasi momento si troverà a passare da queste parti in California, sarò felicissimo di riceverla in visita al ranch. Posso venirle incontro andando dritto al sodo, e inculcarle alcune verità sulla vita che finora può darsi siano sfuggite alla sua esperienza”. 


Chissà se il buon Max, passato il “tedio da ventenne”, si è fatto forza e ha raggiunto London lì a Glen Ellen. Erano pronte per lui e per tutti i giovani esordienti tante altre parole “leali e schiette”.