Facce dispari

Maurizio Battista: “Vivere a Roma merita un reddito di residenza”

Francesco Palmieri

"Qui ogni giorno è una sorpresa. I romani sono camaleonti: s’adattano a tutto. A Roma il monopattino è più pericoloso di una pistola per chi sfreccia tra buche e marciapiedi a 40 all’ora". Intervista al comico che non "crozzeggia"

Non potrà amare Maurizio Battista, comico romano, chi non ti dice mai che Gramsci e Kafka sono anche stati due grandi umoristi; chi non ha letto Trilussa e Pascarella perché “non si portano”; chi vede nell’autofiction una triste saga da tinello color pastello piuttosto che quel tragicomico prisma che è la biografia di ciascuno. Battista non crozzeggia ma cazzeggia, romanza sulla vita di ogni giorno che essendo quella di uno qualunque sembra qualunquista, usa il buon senso anziché il doppio senso, è più curioso che furioso, un neorealista ridens, Appio Latino su Monteverde Vecchio, più affezionato a un passato da pensione a due stelle che a un futuro messianico a cinque.

 

Non le piace la politica?

È come parlare della Roma e della Lazio. Una battuta ogni tanto va bene, ma nei miei spettacoli dividere non m’interessa.

 

Ma ha visto com’è ridotta la capitale? Soffocata dai rifiuti.

Sono il cittadino delle battaglie perse: per anni ho parlato delle buche, dell’immondizia, dei cantieri… vedo tutto peggiorato. Mi sa che devo star zitto. Eppure, da Roma non me n’andrei mai.

 

Perché?

Svegliarmi con l’imprevisto mi piace. Pensi a chi vive a Cremona, a Piacenza, dove oggi è come ieri. Qui ogni giorno è una sorpresa. I romani sono camaleonti: s’adattano a tutto.

 

Perché non si ribellano?

E che dovrebbero fare, la guerra civile? Piuttosto propugno l’erogazione di un Reddito di resilienza e residenza per i romani. Non è giusto che la fatica di vivere qui, e non a Verona, venga ignorata. Pensiamo solo alle distanze: ora sto andando da via Appia a una cena a Isola Sacra, magari domani mi ritrovate ancora sul percorso.

 

Lei si ostina ad abitare all’Alberone.

Dove dovrei andare? C’è un quartiere dei comici? Abito dove ho sempre abitato. A qualche collega rode.

 

Cosa rode?

Che uno non scolarizzato, per puro talento, faccia tanta gente a teatro e abbia un pubblico trasversale, dallo scienziato all’analfabeta. I numeri mi premiano.

 

Come fa?

Faccio tanta gente perché io sono la gente. Non sono il comico che parla male dei politici e ha lo yacht al Circeo. Non mi allontano dalle radici. Mi hanno invitato alla prossima Festa del Cinema e hanno detto: ‘Ti mandiamo una macchina’. E perché? Guido io, mica sono paralitico. Sono arrivato a 65 anni rimanendo autentico. Non è facile. Sa che è un lavoraccio fare la persona dignitosa? La dignità fa spendere.

 

Per esempio?

Il 29 e 30 giugno al Teatro Olimpico ho festeggiato il compleanno: c’erano 2.800 persone. Ho offerto la torta a tutti: 2.800 fette. Non lo scriva.

 

Lei racconta la sua vita, ma sono vere tutte quelle cose?

Sul palcoscenico ho raccontato da una fistola ai miei matrimoni. La gente sa tutto di me. Non dovrei parlare di fatti privati? Ma sono una persona pubblica. Dalle cinque di pomeriggio all’una di notte, in teatro, sono anche una persona felice.

 

Lei ha cominciato come barista nel locale di famiglia.

È stato il mio Actors Studio. Non ho frequentato la scuola di Proietti. E visti tanti risultati è meglio il bar: vale più la pratica che la grammatica. A scuola s’impara la tecnica, ma è come l’ingegnere che progetta un muro però se non arriva il muratore non sa alzarlo. Il pubblico va capito, io mangio nel piatto del mio pubblico. Come non amarlo.

 

Nei suoi spettacoli rimpiange il passato come un tempo migliore. Non è sintomo di vecchiaia? Nostalgia di boomer?

Boomer? Preferisco che mi chiami ‘rincoglionito’, almeno so cosa vuol dire. Giocavo a padel con un venticinquenne e faticavo. Gli ho detto chissà fra quarant’anni come giocherai tu. I ragazzi fanatici mi danno i nervi, un tempo c’era il padre che gli dava una ‘cinquina’. Ora un mio amico istruttore di calcio dice che sogna una squadra di orfani, perché non può più dire a un ragazzino che non l’ha messo in campo perché è una pippa.

 

Il suo ultimo spettacolo si chiama ‘Tutti contro tutti’: dopo il Covid siamo diventati più rissosi, molte cose sono cambiate. Lo smart working per esempio.

Abbiamo gettato il mazzo di carte sul tavolo e chi ha pescato questa non la molla. Ma il fatto è che l’Italia non è la Svezia. Sono stato a Riccione: pizzerie piene, folla per strada. Che poi non vadano in ufficio per paura di contagiarsi mi fa un po’ ridere.

 

Anche la proliferazione dei monopattini le ha offerto materiale.

A Stoccarda forse è un mezzo adeguato, ma a Roma è più pericoloso di una pistola per chi sfreccia tra buche e marciapiedi a 40 all’ora. Per non parlare delle ciclabili o dei parcheggi che riducono le carreggiate. Spero che i progettisti abbiano preso soldi sottobanco, perché non riesco a farli così stupidi.

 

Cosa proporrà nella prossima stagione?

Lo spettacolo s’intitolerà ‘Ai miei tempi non era così’: ricostruiremo un cinema degli anni sessanta, persino coi venditori di bruscolini in sala. I giovani devono sapere com’era allora, quando il lavoro ti nobilitava, quando esistevano artigiani che invece di sostituire i pezzi li riparavano riducendo sprechi e inquinamento, quando c’erano oggetti di cui oggi neanche si conosce l’uso. Qualche passo indietro con la memoria bisogna farlo, sennò si resta nella strategia della fretta che ci divora tutti.

 

Cos’è l’estate per lei?

È il kit paletta, secchiello e maschera subacquea. Sulla spiaggia di Anzio.

 

L’ultima gioia che ha avuto?

Un messaggio del musicista Giovanni Allevi, che sta affrontando un momento difficile.

 

Cosa ha scritto?

‘Grazie di essere nato’.

(Si commuove e chiudiamo).

 

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