FACCE DISPARI
Ecco Goethe stregato dalla luna nella Roma del 2022. Colloquio con il germanista Marino Freschi
Gli anni romani dell'intellettuale tedesco, che in Italia seppe riscoprire se stesso, raccontati dal professore che per tutta la vita ha studiato il suo pensiero. Intervista
Sere fa, per colpa di chi scrive, sensibile alla superluna che occupava il cielo di Roma, il professor Marino Freschi germanista si fece trascinare in un gioco che sarebbe piaciuto al suo collega Giorgio Vigolo, traduttore di Hölderlin quanto amante delle magiche notti capitoline (il quale avrebbe partecipato volentieri all’intervista se fosse stata di quelle “impossibili”, ossia necromantica). Stregati dalla luna, ci dicemmo che altrettanto bella doveva essere quella regalata dal cielo a Johann Wolfgang Goethe nell’ultima sera trascorsa a Roma, a suggello del periodo più felice della vita, e immaginammo cosa sarebbe passato per il favoloso cervello del sommo nella Roma di questo luglio 2022. Quel che è riferibile sta quasi tutto qua.
Fu dunque sotto la luna piena, l’ultima sera di Goethe.
Fece una lunga camminata da casa sua sull’attuale via del Corso fino alla Piramide Cestia. Rievocando quelle ore avrebbe citato i versi scritti da Ovidio prima di partire per l’esilio: “Cum subit illius tristissima noctis imago,/ Quae mihi supremum tempus in Urbe fuit…”. “Quando mi torna in mente la tristissima visione di quella notte/ che fu l’ultima del tempo che stetti a Roma”. Era l’aprile del 1788.
Goethe non s’accingeva all’esilio, ma al ritorno a casa.
Al suo palazzo di Weimar, uno dei più belli di una cittadina di appena seimila abitanti. È che gli era occorso un capovolgimento interiore: Roma era diventata casa e casa sua l’esilio.
Addirittura.
Voglio ricordare cosa scrisse non uno né dieci ma moltissimi anni dopo, quando ottantenne ripensava al soggiorno romano: “In verità posso dire che solo a Roma ho sentito che cosa propriamente voglia dire essere un uomo. A tanta altezza, a tanta felicità del sentimento, io dopo non sono arrivato mai più. A confronto con la mia situazione a Roma, in fin dei conti dopo d’allora non ho più goduto veramente una simile felicità”.
Cosa trasmetteva, di così straordinario, Roma d’allora?
Non che fosse più pulita o ricca di adesso. Ma era l’aura irripetibile. Una città visitata da artisti tedeschi, inglesi, danesi, dove si parlava una koinè internazionale. Nel piccolo dei nostri giorni, che posso dire? Che capisco cosa intendeva La Capria quando parlava della magica atmosfera trovata a Roma nella sua giovinezza. Da allora quella magia s’è andata perdendo in una costante degradazione di cui credo tutti, per la rispettiva quota, siamo stati più o meno responsabili. Goethe lo aveva presentito, dicendo che Roma resisteva nonostante i romani e se fosse stata abitata dai tedeschi l’avrebbero tenuta meglio. Io che qualche scampolo di magia ho fatto in tempo a intravederlo, provo grande dolore. Abito vicino a Villa Celimontana, che ricordo bellissima. Oggi è vegetazione bruciata. Non per la siccità, ma per mancanza di cure.
A Roma Goethe rinasce.
Usa questo verbo quando entra da Porta del Popolo a ottobre 1786. La sua è una fuga. Per undici anni ha sgobbato nell’amministrazione del ducato di Weimar diventando primo ministro. Dopo il successo del ‘Werther’ trascura la scrittura per occuparsi di miniere, viabilità, uniformi. Un giorno non ne può più e scompare, un caso clamoroso: un primo ministro che scappa per vivere una stagione da bohémien a Roma, dove arriva sotto falsa identità. Quando il duca viene a sapere dov’è non lo licenzia, ma gli aumenta lo stipendio e gli concede un lungo congedo. Goethe riprende a scrivere, disegna, a Villa Borghese rimette mano al ‘Faust’ che aveva tralasciato da anni e finalmente “scopre” di essere un artista. Nell’ultimo scorcio della permanenza scrive agli amici: “Il mio soggiorno romano è diventato sempre più bello, più utile, più felice”.
C’è un luogo dove potrebbe, a occhi socchiusi, immaginare di incontrarlo?
Di certo al secondo piano di via del Corso 18, dove è visitabile il suo appartamento comprato e restaurato dal governo tedesco secondo disegni d’epoca. È l’unico museo tedesco all’estero. Poi a piazza Morgana, nell’osteria in cui si suppone che conobbe Faustina, l’amata protagonista delle ‘Elegie romane’.
Come nacque la sua passione per Goethe?
È stato, con la Mitteleuropa, l’argomento di studio di tutta una vita. La mia è una famiglia triestina della diaspora di origini istriane, portata a Roma dalla guerra. Il mito asburgico mi affascinava e crescendo nella capitale non potevo non imbattermi in Goethe. Quand’ero ragazzo un amico mi disse: ‘Ho visto la targa di un poeta tedesco che visse a via del Corso… Goethe… Chi è?’.
È vero che parlava italiano?
Come il padre, che addirittura scrisse un ‘Viaggio per l’Italia’ nella nostra lingua con l’aiuto di un frate pugliese scappato a Francoforte, il quale insegnò alla mamma di Goethe varie canzoncine in italiano. Nel ’99, lo storico Roberto Zapperi trovò all’Archivio di Weimar un faldone inesplorato. I tedeschi lo avevano trascurato perché era in italiano: conteneva tutti i conti che Goethe teneva a Roma e sulla loro lettura è fondata la supposizione che a un certo punto Faustina fosse andata a vivere con lui e i due pittori con cui divideva casa. Un terzo era partito per Napoli. Si deduce dalle spese alimentari. Le salsicce, che erano sempre tre, diventarono quattro.
È ora di tornare alla luna di Roma 2022. Sotto, a parte incendi, cinghiali e rifiuti, c’è sempre tanta bella roba.
Anche troppa, ma abbiamo perso l’orgoglio di conoscerla. I musei sono tornati pieni dopo il Covid, ma di turisti. Non di romani.