convergenze
Guerra e pace nelle caverne. Il significato nelle pitture preistoriche
L'arte primitiva e il mistero sulla natura umana. Da Altamira a Lascaux, quanto assomigliamo ai nostri antenati e quanto ancora non sappiamo
Fu una bambina a scoprire l’arte delle caverne. Era il 1879. Marcelino Sanz de Sautuola aveva portato la figlia Maria, di otto anni, nella grotta di Altamira, in Cantabria, di cui aveva appena iniziato gli scavi. “Mira papá! Bueyes!”, “guarda papà, buoi” aveva gridato la bambina alzando gli occhi al soffitto. Erano i bisonti policromi, la meraviglia delle meraviglie dell’arte preistorica. Ma la scoperta non gli aveva portato fortuna. Sautuola fu accusato di averli falsificati. Sappiamo con certezza che c’erano bambini nelle grotte che decine di migliaia di anni fa furono decorate dai nostri lontani antenati. Sappiamo, dalle impronte lasciate dall’ocra soffiata sulle loro manine, che partecipavano alla decorazione, talvolta in braccio o sollevati da adulti. Sappiamo, dalle impronte dei loro piedini, che danzavano, o, dal segno più profondo lasciato dai talloni, che trasportavano pesi. Forse davano una mano. Forse, è l’ipotesi più probabile, certamente quella che mi piace di più, giocavano.
E’ bello immaginare che quelle caverne risuonassero di risate infantili. Alcune delle centinaia di impronte di piedini calcificate nel fango mostrano indubbiamente bambini che danzano, saltellano. Lo stesso per i graffi paralleli nello strato un tempo morbido di calcite, che mostrano sia dita adulte che dita infantili. Fantastica anche la quantità di giocattoli. I depositi del Paleolitico abbondano di strumenti, oggetti, anche armi in miniatura. A che altro potrebbero servire un’ascia lunga appena 4 centimetri, o mini-lance risalenti a 350 mila anni fa in siti con resti di robusti Neanderthal? Tra i reperti ci sono anche fischietti, bambole che erano probabilmente ricoperte di mini-vestiti in pelle, un disco d’osso di 11-18 mila anni fa, perforato al centro, con su una faccia l’immagine di un cerbiatto in piedi, sull’altra lo stesso cerbiatto accucciato. L’ipotesi è che passando un laccio attraverso il foro si ottenesse un effetto movimento, si vedesse il cerbiatto saltellare. Il cinema una dozzina di millenni prima dei fratelli Lumiére.
Che avessero inventato giocattoli con le ruote ben prima dell’invenzione del carro? La specie umana si distingue dai primati per il fatto che gioca più a lungo
Altri reperti di molti millenni fa sono modelli di animali con perforazioni simmetriche all’altezza delle zampe. Che avessero inventato giocattoli con le ruote e relativi assi ben prima dell’invenzione del carro a ruote? La nostra specie, la specie umana, si distingue dai primati per il fatto che gioca più a lungo, anche da adulti.
A un altro estremo dell’Europa, nel Devonshire, mi era capitato, qualche anno fa, di parcheggiare accanto ad un cippo che commemora una tragedia mineraria di metà Ottocento. Era crollato, in seguito a un’inondazione, all’improvviso il soffitto, seppellendo alcune decine di minatori. Il cippo elencava le vittime con accanto l’età. Uno aveva 5 anni al momento dell’incidente. Un altro 9. Un altro ancora 11. Che ci facevano i bambini in miniera? Lo sappiamo. Carusi si chiamavano quelli occupati nelle miniere di zolfo siciliane. Ma a 5 anni? Avevo voluto approfondire: occorrevano le loro minuscole manine per estrarre dalle crepe i pezzi più piccoli di lignite.
Anche i reperti preistorici raccontano storie tristi. Ad esempio la cosiddetta Grotta dei bambini (nella località Balzi rossi, in Liguria, al confine di Ventimiglia con la Francia) ha rivelato due bambini, rispettivamente di 2-3 e 3-4 anni, sepolti uno a fianco dell’altro. Uno aveva una punta di freccia incastonata tra le vertebre toraciche. Vittima innocente di un conflitto armato? In un’altra grotta dei Balzi rossi, Barma grande, sono stati ritrovati, accuratamente adagiati uno a fianco dell’altro, tre scheletri di adolescenti. Uno aveva una lama di selce in mano. C’è chi ha romanzato un triangolo amoroso finito male. All’inizio si pensava fossero due ragazzi e una ragazza. Le analisi più recenti del dna avrebbero appurato che si tratta invece di tre maschi. Il che non cambia di molto la pulsione a romanzare,
Altri siti rivelano veri e propri massacri, fosse comuni di decine di uomini, donne e bambini, come a Turkana, in Kenya (una guerra tra clan di 10 mila anni fa?). Probabilmente non ci sono mai state le età dell’oro favoleggiate dagli antichi, né il buon selvaggio immaginato dagli illuministi. I bambini delle molte migliaia di generazioni che hanno preceduto le poche centinaia dall’antichità storica a oggi erano, come i loro genitori, profughi permanenti, profughi economici che si spostavano in cerca di cibo da cacciare, o profughi di guerra, che si spostavano spinti dall’invasione, dalla pressione di altri gruppi di umani in cerca di cacce più fruttuose. Spesso sterminavano gli inquilini che li avevano preceduti, o – nell’ipotesi migliore – si mescolavano a loro forzandone le donne.
Forse non c’è mai stato il buon selvaggio immaginato dagli illuministi. I bambini di migliaia di anni fa erano, come i genitori, profughi permanenti
Resta tuttora un mistero che fine abbiano fatto i Neanderthal, se siano stati massacrati dai nostri antenati diretti, gli uomini cosiddetti di Cro-Magnon, o si siano integrati ai nuovi venuti dall’Africa. L’unica cosa certa è che l’immagine di una “superiorità” dei Cro-Magnon sui Neanderthal è falsa, o per lo meno fuorviante, quanto quella di una “superiorità” innata dell’Uomo bianco sui popoli inferiori. I Neanderthal erano fisicamente diversi, più muscolosi. Probabilmente godevano di riserve di caccia più copiose di animali di grossa taglia. Forse furono sopraffatti quando le risorse alimentari da caccia cominciarono a scarseggiare, erano indeboliti e vessati da secoli di sottoalimentazione e di stress dovuto ai mutamenti climatici. Furono sopraffatti proprio nel periodo tra una glaciazione e l’altra. Un veloce surriscaldamento (più violento del nostro attuale, con temperature in aumento di decine di gradi e mari che si alzarono anche di un centinaio di metri) fece diminuire la fauna di grossa taglia. L’interglaciale è il periodo in cui nei siti abitati da Neanderthal si trovano segni di cannibalismo, ossa umane macellate, o con segni di denti umani. Erano alla fame.
I Neanderthal si muovevano di più, erano più allenati, avevano bisogno di consumare maggiori quantità di carne. Si dà ormai comunque per scontato che non erano affatto quella specie di scimmioni pelosi quali si soleva raffigurarli fino a pochi decenni fa. Fanno impressione le illustrazioni di bambini e famiglie di Neanderthal realizzate da Élisabeth Daynès e dal suo studio parigino sulla base dei resti fossili (tra cui quelli di un infante Neanderthal chiaramente sepolto, non abbandonato) ritrovati in una piccola grotta a Roc de Marsal, in Dordogna. Si vestivano in modo raffinato, di pelli cucite (si sono trovati aghi) e ornate di conchiglie, si prendevano cura dei propri piccoli, avevano una tecnologia simile a quella di chi li soppiantò, anche se militarmente inferiore. In molte regioni europee convissero (pacificamente? integrandosi? guerreggiando?) per migliaia di anni. Molto più violenti dei Neanderthal sarebbero stati i Denisoviani, vissuti in Siberia e in Russia 200 mila anni fa, sui quali si sa però poco o nulla.
I Neanderthal erano fisiologicamente in grado di parlare. Non ci hanno lasciato grotte dipinte. Ma comunicavano. L’arte bambina delle caverne (le caverne, soprattutto quelle di qua e di là dei Pirenei, con le loro temperature e umidità costanti ce l’hanno conservata) continua ad emozionarci. E’ stata oggetto di ricerca e studio intenso, che coinvolge pressoché ogni campo di indagine scientifica, che ha chiesto aiuto alle discipline più avanzate e sofisticate. Ma dell’arte di quei lontani antenati ne sappiano ancora pochissimo. Si è prestata a innumerevoli interpretazioni, di ogni tipo: estetiche, psicologiche, psicanalitiche, filosofiche, religiose, mistiche, nonché a comparazioni etnologiche con realtà “primitive” dei tempi nostri (queste ultime, a parere di una parte degli studiosi, particolarmente fuorvianti). Più si studia, più emergono pareri diversi, anzi contraddittori, più le nuove teorie smentiscono quelle precedenti, o rivalutano quelle di ancora prima… Forse anche questa, la persistenza dei misteri, è la ragione per cui siamo affascinati dalle caverne.
Una lettura che mi ha preso molto è il volume di Gwenn Rigal, per molti anni guida e interprete delle grotte di Lascaux, appena tradotto da Adelphi (l’originale in francese era del 2016). Si intitola: Il tempo sacro delle caverne. Da chauvet a lascaux, le ipotesi della scienza. (Adelphi 2022, collana Il ramo d’oro 73). Passa in rassegna in modo ragionato tutte le ricerche degli ultimi decenni. Illustra i principali reperti con disegni e schizzi in bianco e nero. Tutto quello che avete sempre voluto sapere sulla preistoria delle caverne e non avete mai avuto il coraggio di chiedere a un solo libro, sarei tentato di definirlo.
C’è chi ritiene che le caverne dipinte fossero luoghi di istruzione. Ma in molti casi viene riprodotta fauna che era estinta da tempo
Se volete ancora di più, e qualcosa di più specialistico, specie sull’argomento bambini, e volete godervi magnifiche fotografie a colori, allora dovreste rivolgervi ad un ancora più recente saggio della studiosa canadese April Nowell: Fossil and Archaeological Evidence of the Lived Lives of Plio-Pleistocene Children (Oxbow Books 2021). Né l’uno né l’altro sono libri di facile lettura per il non specialista. Richiedono frequenti ritorni a pagine e illustrazioni addietro, un continuo riandare all’elenco delle epoche preistoriche e all’elenco dei siti archeologici (le caverne sono migliaia, in Europa e oltre l’Europa). Un po’ come Guerra e pace di Tolstoj.
C’è chi ritiene che le caverne dipinte e scolpite fossero luoghi di culto. Altri pensano che possa trattarsi, anche per l’immancabile presenza di bambini e adolescenti, di luoghi di istruzione, insomma una specie di scuole di caccia e sopravvivenza. Gli animali ritratti con tanta accuratezza sarebbero bersagli su cui esercitarsi in una battuta di caccia. Uno dei bisonti del cosiddetto “pannello dei cavalli” della grotta di Chauvet è ritratto addirittura con otto zampe, a dare l’idea, si presume, del movimento, della corsa. Indicherebbero il tipo di cacciagione disponibile, fornendo ai ragazzi (e perché no, alle ragazze) ancora inesperti una nomenclatura, una tipologia dei caratteri morfologici delle prede. Ma questa interpretazione, come dire, didattica, fa a pugni col fatto che in molti casi sulle pareti delle grotte viene riprodotta fauna che era estinta da tempo.
Ad esempio molte rappresentazioni di mammut o di leoni delle caverne, datate 20 o anche 40 mila anni fa, come a Chauvet o a Raffignac, compaiono mammut o leoni che non potevano esserci più nei pressi. O succede, come a Lascaux, che due terzi delle figure dipinte o incise siano di cavalli, mentre i resti ossei nella stessa caverna siano invece al 90 per cento di renne. Avevano nella pancia renne, ma in mente cavalli (o mammut), il modo in cui l’ha messa qualcuno. Hanno comunque buona memoria collettiva. I mammut li ritraggono con straordinaria accuratezza, con tanto di valvola caudale che gli consentiva di non congelare le parti dedite all’evacuazione.
Da qui l’ipotesi che, più che per insegnare l’arte della caccia ai giovani, fosse un modo per raccontargli, o raccontarsi, delle storie. E’ l’ipotesi più affascinante.
Una particolare atmosfera veniva da effetti di illuminazione. Chissà se un’eco sopravvive nel mito della caverna nella “Repubblica” di Platone
Alcune delle immagini più note e misteriose – la figura umana col pene in erezione che viene ucciso da un bisonte, già sviscerato, con le budella fuori (o uccide il bisonte), o gli “stregoni” danzanti travestiti da bisonte o da cervo, ma gambe e tratti anatomici che li rivelano umani – potrebbero essere “racconti”, di fiabe o miti. Una particolare atmosfera veniva anche da effetti di illuminazione. Giochi di ombre e luci, forse in movimento. In molte caverne si sono conservate, spesso in coppia, “lampade” scavate in pietra che bruciavano grassi animali. Si accendevano fuochi. Chissà se un’eco di queste pratiche, di questi “effetti speciali” visivi ottenuti col fuoco e l’illuminazione, sopravvive nel famosissimo mito della caverna nella Repubblica di Platone.
Altri ancora ritengono si tratti di riti di iniziazione. In alcune grotte gli animali sono riprodotti in punti di difficile accesso. Per arrivare ai bisonti di Tuc D’Audoubert, nell’Ariège, occorre scalare una parete di due metri d’altezza, poi affrontare un budello verticale che sbocca dodici metri e mezzo più in alto. E’ un’impresa. Il paleobiologo americano Russell Dale Guthrie ha ipotizzato che bambini e adolescenti sarebbero stati lasciati soli nella profondità delle grotte e che i graffiti sarebbero stati realizzati essenzialmente per gioco o per noia. Da parte di apprendisti cacciatori maschi, il che spiegherebbe la diffusa presenza di rappresentazioni di figure femminili con tratti ipertrofici. Avrebbero insomma una funzione simile a quella delle riviste pornografiche! Accanto ai metodi più ingegnosi escogitati dagli specialisti per datare i reperti, e cercare di dargli un significato, altrettanto interessanti sono le cantonate.
Non si salva nessuno, nemmeno i più grandi, nemmeno il massimo e più prolifico specialista di paleontologia delle caverne europee, André Leroi-Gourhan, il quale spesso si contraddice e rivede completamente, talvolta rovescia le proprie affermazioni da un’opera a quella successiva. Ad esempio c’era chi dava per certo che gli uomini delle caverne si costruissero strumenti musicali. Poi, a rompergli le ipotesi nel paniere, sono venuti altri studiosi a dimostrare che quelli che si riteneva fossero buchi per modulare il suono di flauti primitivi sarebbero invece segni lasciati su falangi di renna dai denti acuminati delle iene. Una cosa che abbiamo ben ereditato dai nostri antenati è la fantasia.