La mostra
"Le forme del tempo", tra archeologia e fotografia. Una prospettiva nuova per i musei di Roma
Alle Terme di Diocleziano, in esposizione fino a domenica le foto di Fabio Barile e Domingo Milella. Accostare il nuovo e l'antico non serve solo a ragionare sulla natura di una città in eterna rovina, ma indica una via diversa, e ancora poco battuta, per promuovere l'arte, e gli artisti, nella Capitale
La mostra fotografica aperta fino a domenica, 31 luglio, al Museo Nazionale Archeologico, “Le forme del tempo”, è utile perché muove una proposta indiretta per l’arcipelago museale romano. Accostare infatti le fotografie a grande formato di Fabio Barile e Domingo Milella ai colombari, ai pavimenti musivi, ai monumenti funebri e ad altri frammenti scelti dai depositi – alcune bellissime teste – non serve solo e soltanto a ragionare sulla natura di una città in eterna rovina. Volendo, infatti, sarebbe possibile trasformare un angolo poco battuto come questo delle Terme di Diocleziano in un instant-museum d’arte contemporanea, i cui spazi dedicati al Maxxi o al Macro certo non bastano.
Altrove come Firenze o Venezia si vedono artisti internazionali supportati da grandi gallerie ottenere visibilità inserendosi accanto a grandi capolavori del passato come Francesco Vezzoli in Piazza della Signoria o Anselm Kiefer a Palazzo Ducale. Tra il poco romano e operazioni squisitamente commerciali c’è però una terza via, questa: inserire con un senso appropriato al contesto opere di autori non ancora consacrati, secondo un progetto condiviso tra curatore (Alessandro Dandini de Sylva) e direttore del museo (Stéphane Verger). Le grandi aule delle terme poste proprio di fronte alla Stazione Termini infatti non sono certo le zone più frequentate né della capitale né di quel museo.
La mostra si inserisce qui con intelligenza grazie al fatto che le foto di archeologie e geologie non sono esotiche, cioè si riferiscono a luoghi che confinavano o facevano parte dell’Impero Romano come l’Egitto, la Mesopotamia o anche la Sardegna. Vederle dunque aiuta a contestualizzare il resto delle collezioni, a espandere mentalmente la nostra mappa geo-storica mentale anche grazie a un sobrio allestimento celeste di Francesca Scisci che si ricollega all’antica funzione termale del luogo. Diceva Georg Simmel che la rovina è affascinante perché mostra la sintesi tra natura, intesa come forza distruttiva, e cultura, cosicché un’opera dell’uomo può essere percepita come natura proprio come pensava Goethe, primo ammiratore della campagna romana e delle sue rovine. Per di più l’origine stessa della fotografia è collegata all’archeologia amata da Milella e alla geologia amata da Barile perché furono proprio furono proprio quelle discipline a utilizzare per prime questo mezzo moderno. Nessuna nota dissonante dunque, come accade invece di solito accostando antico e contemporaneo, solo armonioso esempio di riuso creativo.