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Occasione mancata per il nuovo libro di Helen Macdonald

Giacomo Giossi

C’è troppo romanticismo artificioso in “Voli vespertini”. Il naturalismo degli ultimi tempi combinato con l'autobiografismo potrebbe essere un'accoppiata vincente, sprecata dalla mancanza di una misura narrativa

Se è certamente vero che non va confusa la semplificazione con la divulgazione, altrettanto bisognerebbe non confondere l’autobiografia con la letteratura, soprattutto quando si crede possibile coniugare i due movimenti immaginando (forse) di offrire una narrazione più vicina o meglio, coinvolgente ai propri lettori. Il perché dell’esplosione delle varie forme di autobiografismo che ormai costellano le pagine della narrativa contemporanea si è già detto molto: in alcuni casi dimostrano un grado di efficacia straordinaria, ma in molti denunciano solo una totale mancanza di sensibilità letteraria. Tuttavia esiste una sottobranca, quasi una specie a sé che raccoglie chi offre temi già di per sé potenzialmente molto seducenti per i nostri tempi, come la natura o la scienza che però vengono avvolti e impacchettati da forme più o meno spicce fatte di storie personali (quasi sempre tragiche).

 

Fatti famigliari e questioni sentimentali vengono così trasformati in veicoli per divulgare o raccontare la natura e la scienza. Nulla di più lontano da quanto fatto anche quando l’autobiografia era evidente da figure come Konrad Lorenz che rappresenta a oggi  ancora un vero punto di riferimento e probabilmente è anche l’incolpevole padre di questo continuo fiorire di esistenze più o meno tragiche di scienziati e naturalisti. 
Helen Macdonald con Io e Mabel colpì pubblico e critica proprio con una storia di amicizia e rinascita che la vedeva coinvolta con un falco (Mabel, per l’appunto). Il libro, pur con delle cadute stilistiche anche vertiginose, risultava però decisamente coinvolgente.

 

La storia va detto era assolutamente curiosa e le sue competenze scientifiche la rendevano quanto mai seducente, molto meno la retorica sentimentale che rischiava in alcune pagine di ridurre il volume a un classico da stazione ferroviaria anni Settanta. Ora forse sarà che Macdonald sembra preferire definirsi poetessa prima che naturalista, fatto è che quella tendenza a un romanticismo artificioso che già si palesava in Io e Mabel ora sembra esplodere senza alcun contenimento possibile in Voli vespertini. Pubblicato nel 2020, ora vede la pubblicazione in Italia da Einaudi grazie alla bella traduzione di Anna Rusconi. L’idea che sottende al volume è quella di un vero viaggio a episodi che contempli momenti di incontro e di incrocio con il mondo naturale, rivelandolo là dove parrebbe lontanissimo (il mondo del resto ci circonda). Ma al tempo stesso il libro è anche una dotta introduzione alle sue dinamiche che in molti casi abbiamo rimosso dalla nostra quotidianità.

 

Voli vespertini resta evidentemente un libro ricchissimo e in un certo senso anche necessario perché offre uno sguardo sulle cose che ci circondano (il mondo per l’appunto), tuttavia la narrazione breve che lo compone fatta di diversi episodi sotto forma di brevi capitoli non sembra essere il campo migliore per le qualità narrative dell’autrice. Il risultato offre così una lettura che risulta un continuo e faticoso sali e scendi tra pagine altalenanti, retoriche e goffe. Nell’insieme, Voli vespertini risulta quindi un’occasione mancata, perché darsi una misura narrativa è quanto mai fondamentale per comunicare in maniera efficace temi che contengano specificità scientifiche non banali. La deriva narrativa è un peccato forse di gola che colpisce non pochi scienziati, pensiamo a Carlo Rovelli, un vizio apparentemente innocuo che però elide la forza divulgativa del testo. Konrad Lorenz e Richard Feynman rappresentano un modello ancora inarrivabile, anche e soprattutto per la loro ricchezza letteraria che non nasce dalla poesia, ma dalla loro scienza.

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