Facce dispari
Città che vai “Scuola di botte” che trovi. L'Italia vista da un pugile. Intervista a Simone Cicalone
Cinquantenne romano con la passione dell’informatica e della boxe, sul suo canale YouTube sforna video a getto costante. L’"opera sociale” di raccontare i combattenti urbani, fino ad arrivare alle “vite miserabili” dei boss: "I ragazzi si lasciavano incantare da quei personaggi. Ho voluto spiegare com’erano davvero"
Tranne pochi sfortunati, tutti hanno avuto in comitiva un amico abile a raccontare storie, a colorare la banalità di un episodio col pantone della mimica e del linguaggio. Senza inventare ma reinventando volta a volta i fatti con l’arte della narrazione orale. Se intanto quell’amico non c’è più perché s’è sposato (o vi siete sposati voi), perché ha scoperto da poco la solitaria ebbrezza dello smart working e del monopattino, oppure se n’è andato suo malgrado ad alleviare con la favella le anime del Purgatorio, il consiglio nell’attesa di raggiungerlo è cercare sul web Simone Cicalone. Cinquantenne romano con la passione dell’informatica e del pugilato, sul suo canale YouTube ‘Scuola di botte’ sforna video a getto costante, accompagnati da una stragrande maggioranza di commenti tra il positivo e l’entusiastico.
Cominciò spiegando l’uso di un sacco da boxe, poi sfruculiando i mitomani che popolano il mundillo delle arti marziali, quindi ha saltato lo steccato raccontando biografie criminali, poi andando a fare veri e propri reportage nei quartieri disagiati di tutta Italia in compagnia del fighter Mattia Faraoni. Nel tentativo di proporre una morale “sana”, Cicalone ricorre a un linguaggio ironico e diretto perché sa che la retorica uccide. Nel suo teatrino digitale ha creato personaggi come Franchino il criminale (peraltro incensurato) o Fabio er Bomba anarchica, cospicuo signore di mezz’età dai sentimenti troppo semplici per quest’acuminato mondo.
Se un altro rievocasse le vicende di un bidello scolastico, dei propri eccessi alimentari da bambino o del servizio militare, la gente sbadiglierebbe dopo cinque minuti. Se racconta Cicalone, ti appassioni come quando ascoltavi le fiabe sonore. (Poi dite che nomen omen non è vero).
Quanti sono i suoi follower?
Su Facebook 450 mila, su YouTube 422 mila: due pubblici diversi, il primo over 40, il secondo di più giovani. Spesso mi fermano per strada padre e figlio.
Quando ha cominciato?
A fine 2007 postai un video sull’allenamento al sacco perché me lo chiedevano in palestra. Le visualizzazioni schizzarono. Nacque ‘Scuola di botte’. Dal 2009 al 2016 sospesi le pubblicazioni perché lavoravo con mansioni importanti in Mondadori. Cambiando lavoro ripresi, finché è diventata la mia unica attività.
Come si definisce? Youtuber?
Preferisco creatore di video.
I suoi sfottò ai seguaci di krav maga e agli insegnanti di varie tecniche di autodifesa hanno suscitato anche risentimenti.
È stata un’opera sociale, sempre con il sorriso, nei confronti di un business che illude pericolosamente chiunque di poter disarmare un aggressore armato di coltello grazie a qualche mossa “segreta”.
Quali discipline ha praticato?
Judo, poi kung fu e kick boxing. Il pugilato arrivò a 25 anni e completai l’iter per diplomarmi istruttore. È uno sport nobile ma povero, il costo di accesso è basso e una palestra popolare si trova anche nei posti più squallidi. Insegnarlo, come ho fatto io, è più un atto di volontariato che fonte di reddito.
Ha dedicato tanti video alle vite dei pugili, come mai è passato a raccontare quelle dei boss?
Sull’onda di ‘Romanzo criminale’, di ‘Suburra’. I ragazzi si lasciavano incantare da quei personaggi. Ho voluto spiegare com’erano davvero e la loro fine miserabile. Certe volte non basta sapere astrattamente. Per esempio se ti mostro come si riduce male un tossico, capisci meglio.
Quali riscontri ha avuto?
È stato un incitamento indiretto allo studio: c’è chi ha portato per tesina a scuola la storia della banda della Magliana. Ma una reazione singolare venne dal figlio di uno della banda, che s’arrabbiò perché avevo parlato del padre. Risposi che la vicenda era sui libri. E lui: ‘Ma i libri non li legge nessuno, mentre tu sei stato visto da 500 mila persone’.
E le cronache dalla Stazione Termini?
Si tratta di mettere sotto gli occhi di tutti degrado e problemi, come ho fatto anche per Milano. Molti ignorano che le grandi stazioni non sono competenza dei sindaci, ma delle altre istituzioni. O pensano che per certi squilibrati bastino l’arresto e il tso. Ci vorrebbe invece la costante presenza di personale specializzato: assistenti sociali, psicologi.
Tra gli ultimi video, quello sull’annosa chiusura di piazza Colonna e piazza Montecitorio.
Transennate anche di domenica, quando Camera e Presidenza del Consiglio neanche lavorano, privando di quei luoghi romani e turisti. Con i costi esorbitanti del personale di polizia e costringendo i passanti a transitare per uno spazio esiguo. Ma ho mostrato anche la situazione del Colosseo: sporcizia, scarsi controlli, scalinata proibita che i visitatori percorrono lo stesso.
Questo sì che compete al sindaco.
Mi proposero una ‘live’ con Gualtieri, però volevano concordare le domande e rifiutai.
Da dov’è che la seguono di più?
Sorpresa: non da Roma ma dalla Lombardia. Sono stato a San Siro, Rozzano, Quarto Oggiaro, Corvetto. Il pubblico lombardo si è affezionato al canale. Guardano anche i video sui quartieri napoletani perché nell’immaginario, assieme a Roma, sono i posti che interessano di più.
Cosa progetta?
Mi piacerebbe approdare su piattaforme come Amazon e Netflix. Con budget e strumenti diversi. Finora i miei numeri li ho generati lavorando da solo.
Quanto conta la qualità tecnica di un video?
Uno montato in pochi minuti può fruttare un milione di visualizzazioni, un altro più elaborato molte di meno. Quel che cattura è l’argomento.