Garibaldi pop. La mostra sull'eroe dei due mondi a Torino
Canzoni, film, fumetti, memorabilia: al Museo del Risorgimento si celebrano i centoquarant'anni dalla morte con una ricca collezione. Una passione italiana e non solo: nella guerra civile americana si contesero l'immagine del patriota
L’invenzione del karaoke, e la squadra di calcio di Robin Hood. Gli eroi di Salgari, e il pistolero di Sergio Leone. Due tipi di sigari toscani, e l’ultima graphic novel sugli zombie. Cosa hanno in comune tra di loro? Garibaldi! Non sono che alcuni dei molteplici risvolti di un mito popolare che, nei 140 anni dalla morte, il Museo nazionale del Risorgimento di Torino mette in mostra dal 15 luglio all’8 gennaio, attraverso oltre 300 memorabilia. “Ed è stata necessaria una rigorosa selezione, perché altrimenti lo spazio del museo non sarebbe bastato”, tiene a puntualizzare il curatore e direttore del Museo Ferruccio Martinotti.
Gli americani erano innamorati dell’Eroe: nella Guerra civile ci furono un reggimento di Garibaldi Guards tra i nordisti e una Garibaldi Legion sudista
Proprio lui ci racconta dell’organo di Barberia: uno di quegli strumenti meccanici che nell’800 grazie a un rullo a chiodi e a una manovella anticiparono la musica registrata prima dell’invenzione del fonografo. Negli Stati Uniti qualcuno ebbe l’ulteriore idea di collegare alle note dell’“Inno di Garibaldi” un meccanismo per permettere agli americani anche digiuni di italiano di leggere le parole per cantarle. Insomma, appunto, l’antenato di quel sistema che i giapponesi avrebbero lanciato negli anni 80 col nome di “orchestra vuota”. Nella loro lingua, karaoke. Talmente gli americani erano innamorati dell’Eroe, che non solo durante la Guerra civile ci furono sia un reggimento di Garibaldi Guards tra i nordisti sia una Garibaldi Legion sudista: anche se la prima in realtà invece che la camicia rossa indossava l’uniforme dei bersaglieri, e i secondi cambiarono nome quasi subito in Italian Legion per le proteste di ex-soldati borbonici che pure si erano arruolati tra i Confederati. Addirittura, Lincoln offrì a Garibaldi il comando dell’esercito nordista, per ben due volte: prima e dopo Aspromonte. Già consacrato eroe in Sud America e in Europa, l’interpellato fu fortemente tentato di accettare di aggiungere alle sue glorie anche il Nord America. Ma alla fine non se ne fece niente: un po’ perché comunque continuava a ritenere come priorità Roma e il Veneto; un po’ perché la cosa fu gestita da un ambasciatore pasticcione; un po’ perché Garibaldi chiese una proclamazione formale della fine della schiavitù che Lincoln decise solo dopo Gettysburg. A Gettysburg, comunque, si distinsero le Garibaldi Guards, tanto che nel 1902 gli dedicarono un monumento. E “Garibaldi a Gettysburg” alla testa dei nordisti è stato immaginato nel 1993 da Pierfrancesco Prosperi nel romanzo ucronico così intitolato.
E non è stata la sola incursione di Garibaldi nella fantascienza. Un nutrito settore della mostra è infatti dedicato all’eroe nei fumetti. C’è un versante più didattico, dove le vignette di un giornale come “Lo scolaro” stanno assieme ad albi di figurine come quelli della Panini del 1970, della Lavazza del 1961, della Ferrero del 1950 e addirittura della Liebig del 1910. C’è un versante fotoromanzi, che negli anni 50 e 60 era pure abbastanza nutrito. E c’è un versante di comics più tradizionali che va da Radar all’Intrepido, e attraverso un “True Comics” americano del 1944 su “Garibaldi fighter for a free Italy”, conferma della fascinazione yankee, arriva a un recentissimo “Garibaldi versus Zombies”, con i borbonici nel ruolo dei morti viventi. Due incursioni le fa Garibaldi anche in “Altrove”: serie di fumetti su un servizio segreto Usa che si immagina inventato da Thomas Jefferson e Benjamin Franklin apposta per difendere la nascente democrazia anche dai pericoli del paranormale. Nato come spinoff di “Martin Mystère” e poi incrociato con altri fumetti della “casa” come “Zagor”, “Dylan Dog” o “Nathan Never”, “Altrove” ha la caratteristica di uscire con un numero all’anno e di mettere in campo una quantità di personaggi tratti dalla letteratura o dalla storia. Tra i primi, ad esempio, Sherlock Holmes, Arsenio Lupin, Dracula, Van Helsing, Nero Wolfe. Tra i secondi oltre a Jefferson e Franklin, Edgar Allan Poe, Mark Twain, Oscar Wilde, Gabriele D’Annunzio, Ugo Foscolo, Albert Einstein. Garibaldi finisce con Altrove una prima volta nel 1851 a lottare contro la mafia cinese, mentre il suo amico Antonio Meucci lavora per dare al Servizio un sistema di comunicazione avveniristico. Ne viene ricambiato nove anni dopo, quando Altrove e Giuseppe Verdi devono sventare un complotto “cosmico” per far fallire la spedizione dei Mille.
La band mod torinese Statuto nel 1993 cantava “E’ tornato Garibaldi” la cui chiave antileghista era resa ancora più esplicita dal videoclip
Ma il gioco dei rimandi è infinito. Il primo karaoke, ad esempio, richiama quel vasto universo musicale di cui sono parte non solo le canzoni classiche del repertorio garibaldino come lo stesso “Inno” di Luigi Mercantini, “La camicia rossa” o il “Garibaldi fu ferito / fu ferito ad una gamba” adattato dalla filastrocca popolare sull’aria dei bersaglieri. Sempre rilanciando dal versante Usa del mito, gli U.S. Bombs sono un gruppo hardcore punk statunitense formato nel 1993 il cui secondo album fu nel 1996 “Garibaldi Guard!”. Garibaldi, dal nome di una piazza di Città del Messico dedicata al generale, si chiama poi un gruppo messicano la cui hit del 1989 “Que te la pongo” fu un tormentone anche in Italia. Ovviamente, Garibaldi ha ispirato molti italiani. Qualcuno anche antipatizzante. Così è stato a esempio letto “Il fuoco incandescente del vulcano / allontanò il potere delle Giubbe Rosse” di Franco Battiato. E così anche il Garibaldi che appare dopo Marco Aurelio e Alessandro Magno in “Stranoamore” di Roberto Vecchioni. “Bello l’eroe con gli occhi azzurri dritto sopra la nave / ha più ferite che battaglie, e lui ce l’ha la chiave / ha crocefissi e falci in pugno e bla bla bla fratelli”.
Qualcun altro invece scherzoso, come il Bruno Lauzi di un “Garibaldi Blues” sull’aria del classico rhytm and blues “Fever”. “A uan, a tu, a uan a tu a tri a fora / Garibaldi Blues, yeah boy / Garibaldi fu ferito / fu ferito ad una gamba / Garibaldi che comanda / che comanda i suoi soldà”. “Garibaldi aveva un socio / si chiamava Nino Bixio / venne giù da Busto Arsizio / e nei Mille si arruolò”. “Garibaldi amava Anita / ch’era la sua preferita / ma l’amore durò poco / perché un giorno Anita morì. / E per Anita, ‘Amen!’ / per Anita che morì. / E arrivarono a Teano / e si strinsero la mano / gli altri stavano a guardare / sventolando il tricolor”. O “Il Garibaldi innamorato” di Sergio Caputo. “E il Garibaldi fissa il mare / e tira un sorso di rhum... / che di marsala qui all’Avana non ne sbarcano più... / ripensa ai fichi d’india della terra natia... / le notti calde giù a Bahia che malinconia. / E attacca banda, e se è una samba, / sia suonata da Dio... / c’è il Garibaldi innamorato per le strade di Rio... / cappello a larghe falde, e sotto un poncho marron, / e sotto il poncho Anita mia... batte un corasson... / Posso darti solo amore / tutto quello che vorrai / posso darti solo amore... / quando me lo chiederai. / E per l’Italia, ‘Viva!’”.
Qualcun altro, per dirla con Guareschi, l’ha buttata in politica. Il progressive rock degli Stormy Six, che nel loro “Garibaldi” del 1972 virano sugli slogan sessantottini del Risorgimento e della Resistenza traditi. “Se ne è andato Garibaldi / con i suoi garibaldini / se ne è andato con il pane / di noi poveri contadini. / E il notaro Rosolino / all’uscita del paese / ha brindato a Garibaldi / col buon vino piemontese”. Ma anche la band mod torinese Statuto che nel 1993 ha cantato un “E’ tornato Garibaldi” la cui chiave anti-leghista era resa ancora più esplicita da un video in cui i seguaci di Bossi venivano presi proprio a calci. “E’ tornato Garibaldi / sono in festa le città / è tornato Garibaldi / lo stivale allaccerò. / Borghesi bottegai / e figli di papà / usando l’egoismo calpestan libertà. / Ma patria è per me tutta l’umanità / Italia cosmopolita senza confini mai / Alberto da Giussano attento / chi puzza di razzismo affonderà”.
Il film più ambizioso è “Viva l’Italia” di Roberto Rossellini, con il parallelismo tra l’epopea del 1860 e la guerra di liberazione alleata
Ma altri ancora hanno gli rivolto puri omaggi. Toni Santagata, ad esempio, con l’album “Io e Garibaldi poeta” inciso nel 1982 per il centenario della morte, tre delle cui dieci canzoni mettono in musica proprio parole dell’eroe. O Massimo Bubola, co-autore di alcune delle più famose canzoni di De André. “Camicie rosse, all’avventura / in una nuvola di bandiere / camicie rosse, così nessuna / delle ferite si può vedere” è il ritornello di “Camicie rosse”, del 1994. “Rio Grande do Sul, ti vedo andar via / passata la Punta di Jesus y Maria / ferito alla gola in un mare di guai / verrò laggiù, dolce Uruguay. / sei tu, sei tu, dolce Uruguay / Anita, querida, my amor y my suerte / novia de vida, hermana de muerte / c’è un Paradiso che non perderai / sei tu, sei tu, dolce Uruguay”, è “Uruguay”, del 2008. “Oggi rinasco con te / mi chiamo Anita / mio generale per te / darò la vita” è l’incipit di “Mi chiamo Anita”, incisa nel 2019 da sua moglie Erika Ardemagni (nome d’arte Lucia Miller).
Ovviamente, Anita più ancora che cantata è stata interpretata. E qui andiamo nell’altro settore di film e telefilm, dove c’è anche la lista di chi ha interpretato Garibaldi. In “Camicie Rosse”, film del 1952 di Goffredo Alessandrini sulla Anabasi dei garibaldini dopo la fine della Repubblica romana, la coppia è Raf Vallone-Anna Magnani. Nel “Giovane Garibaldi”, sceneggiato Rai di Franco Rossi del 1974 sul periodo sudamericano, con un esordiente Maurizio Merli poi diventato grande interprete di spaghetti western c’è la brasiliana Rejane Medeiros. Nel “Generale”, altra serie Rai del 1987 di Luigi Magni sulla conclusione della spedizione dei Mille, ci sono Franco Nero e Laura Morante, anche se lei vista solo nei ricordi. In “Anita Garibaldi”, serie Rai del 2012 di Claudio Bonivento, c’erano Giorgio Pasotti e Valeria Solarino.
Ma nella ventina almeno di film importanti sull’epopea garibaldina citati nella mostra il più ambizioso è probabilmente “Viva l’Italia” di Roberto Rossellini: omaggio neorealista al centenario dell’Unità in cui Garibaldi lo faceva Renzo Ricci e lo sceneggiatore Sergio Amidei tracciava un parallelismo tra l’epopea garibaldina del 1860 e la guerra di liberazione alleata dopo lo sbarco in Sicilia del 1943 già trattata da Rossellini in “Paisà”. In entrambi i film, c’è “un esercito di liberatori che conquista paesi e popolazioni di cui non conosce i problemi reali”. E’ però forse significativo che in alcuni dei film “garibaldini” più famosi il generale non si vede neanche. “1860” di Alessandro Blasetti, nel 1934; “Un garibaldino al convento” di Vittorio De Sica, nel 1942; “Il Gattopardo” di Luchino Visconti, nel 1963; “In nome del Papa Re” di Luigi Magni, del 1977; “In nome del popolo sovrano” di Luigi Magni del 1990… Come a dire che il personaggio è talmente icona di un’epopea che il suo spirito aleggia comunque anche in sua assenza.
Il Nottingham Forest, squadra di calcio inglese, adotta la maglia rossa nel 1865 in onore al viaggio di Garibaldi nel Regno Unito l’anno precedente
A quel punto, anzi, basta qualche oggetto. Il poncho e il sigaro, a esempio, vengono letti da molti critici come una chiara citazione di Garibaldi nel personaggio del pistolero senza nome interpretato nel 1964 da Clint Eastwood in “Per un pugno di dollari” di Sergio Leone. Ancora più chiaro sembra il modello nei due grandi eroi corsari di Emilio Salgari. Emilio di Roccabruna, marchese di Ventimiglia e Corsaro nero, del nizzardo è pure conterraneo; il malese Sandokan ha come braccio destro quel Yanez de Gomera che è una sorta di clone portoghese di Nino Bixio; e il rapporto di entrambi rispettivamente con Honorata e Marianna è altrettanto romantico e tragico che quello con Anita. Se è vero che Che Guevara da lettore compulsivo di Salgari volle essere un nuovo Garibaldi, il giro dei rimandi torna a girare vorticosamente con quella telenovela brasiliana del 2003 che in realtà nell’originale si intitolava “La casa delle sette donne” ma che fu presentata in Italia come “Garibaldi, l’eroe dei due mondi” appunto per avere come personaggio anche un Garibaldi interpretato da un attore di nome Thiago Lacerda che invece era spiccicato al Che.
Ma qua siamo tornati a buttarla in politica. E c’è nella mostra anche un settore “giornali e politica” in cui i manifesti del Garibaldi simbolo del Fronte popolare dopo aver dato il nome alle formazioni del Pci nella Guerra civile spagnola e nella Resistenza stanno fianco a fianco a quelli in cui il generale chiarisce “non votate per me, non ho mai aderito al Fronte democratico popolare” o addirittura a quelli monarchici sull’incontro di Teano. Ma qua si va dalle Camicie rosse che diventano Camicie nere nel finale di “1860”; a Renato Guttuso che rappresentava i comandanti garibaldini con i volti dei dirigenti del Pci (e il “traditore” Elio Vittorini come un borbonico); al duello tra il Pri di Spadolini e il Psi di Craxi per il centenario della morte nel 1982, da cui un manifesto sfottitorio radicale sulla “appropriazione indebita” dell’eroe; al revival antileghista espresso non solo dagli Statuto ma dal film di Magni del 1990.
Ma forse uno dei segnali più sorprendenti è il Nottingham Forest: squadra di calcio inglese il cui nome evoca il mito di Robin Hood, ma la cui maglia e i cui tifosi si richiamano invece a quello delle Camicie rosse. “They’re not fit to wear the Garibaldi”, dicono dei giocatori se la squadra gioca male: “non sono adatti a portare la Garibaldi”, maglia rossa adottata nel 1865 in onore di quel viaggio che Garibaldi aveva fatto nel Regno Unito l’anno precedente, e che è pure una fonte importante del mito. E’ qui infatti che la sua figura diventa icona e viene replicata su dipinti e oggetti di uso quotidiano, diventando un ideale anche estetico. Il suo volto e le sue gesta si ritrovano su coperchi per teiere, piatti, spille, fermagli, rasoi, salvadanai, vasi, porta-pastiglie e scatole per i bonbon. E’ di questi anni pure la produzione delle famose statuine di ceramica Staffordshire che propongono modelli di Garibaldi in varie pose e dimensioni, decorate con colori a smalto e invetriate, che entrano nelle case e trovano posto sui camini dei salotti inglesi e poi di tutta Europa.
Questa è l’origine di molti degli oggetti esposti. Ma ci sono anche due marche di sigari, giochi da tavola, soldatini, monete, francobolli, banconote uruguayane, pipe in terracotta, etichette e bottiglie di whiskey, marche di “macaroni” Usa, e tanta pubblicità, dalla China Martini “dai tempi dei garibaldini”, all’acqua minerale: liscia con i baffi alla Bixio, gassata con quelli alla Vittorio Emanuele II, o Ferrarelle barba garibaldina doc?
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