Maioliche nei secoli

A Civita di Bagnoregio le ceramiche che parlano della vita di trecento anni fa

Giuseppe Fantasia

Nella città che sorge all’incrocio di Umbria, Toscana e Lazio, la mostra a cura dell’archeologo Luca Pesante per riscoprire "forme e colori della devozione": circa 80 opere, provenienti da collezioni pubbliche e private, tornano nel territorio dove state prodotte, anni o secoli prima

Da poco più di un mese, nella “città che muore” – come la definì Bonaventura Tecchi (1896-1968), lo scrittore che qui trascorse la sua giovinezza – dieci demoni si librano in cielo abbandonando il corpo di una giovane donna dai capelli rossi che, tra due figure femminili raccolte in preghiera, sorride all’apparizione della Madonna in trono con Gesù bambino. Un’altra donna afflitta da copiose perdite di sangue dal naso, si prostra ai piedi di Sant’Antonio sperando di guarire e la scritta P.g.r. (per grazia ricevuta) sulla targa di maiolica policroma che racconta la sua storia, ci assicura che alla fine “è andato tutto bene”.

 

Siamo a Palazzo Alemanni, nel cuore di Civita di Bagnoregio, centro di quel suggestivo scenario nella Valle dei calanchi, tra il Tevere e il lago di Bolsena, all’incrocio di Umbria, Toscana e Lazio, una cittadina rimasta da sola a difendersi dall’assalto delle calamità naturali e dei suoi agenti ma che resiste con stile, pronta ad attirare attenzioni per non perdersi e per non perdere quel grande patrimonio artistico e culturale, congelato – per colpa della guerra – alla candidatura Unesco. L’arte aiuta e porta bellezza, come quelle targhe devozionali e quegli ex voto modellati a tutto tondo ospitati nel bel palazzo rinascimentale. Sono circa 80 opere, tutte prodotte tra il XVI e il XVIII secolo, protagoniste assolute di “La maiolica di Bagnoregio. Forme e colori della devozione”, la mostra a cura dell’archeologo Luca Pesante che racconta quella straordinaria produzione di ceramiche che si muovono tra Deruta, nella diocesi di Perugia, e Bagnoregio in un continuo scambio di strumenti, tecniche, materiali, immagini, devozioni e culti.

 

Fino a pochi anni fa, la ceramica locale era nota grazie a un piatto parte della collezione del Victoria and Albert Museum di Londra dal 1856, ma del gran numero di maioliche conservate in raccolte pubbliche e private in Italia e all’estero, si sapeva ben poco. Grazie a uno studio recente, è stato possibile ritrovare i nomi dei maestri, la loro provenienza e le loro storie, in parte al centro di questa mostra visitabile fino al 31 dicembre prossimo che riporta per la prima volta nel luogo in cui furono realizzate tre secoli or sono, opere provenienti da collezioni private e musei pubblici italiani, tasselli preziosi della storia della produzione ceramica nello Stato della Chiesa in età moderna. 

Affisse sulla porta di ingresso di alcune abitazioni, a protezione dello spazio intimo della casa, ma anche sulle facciate delle chiese come nella stessa cattedrale di san Donato a Civita di Bagnoregio, le ceramiche devozionali sono oggetti in molti casi rimasti negli stessi luoghi in cui furono poste dai loro committenti: simboli religiosi che esprimono culti locali, devozioni private o superstizioni legate alle diverse comunità, ma che ci permettono di aprire spiragli sulla vita quotidiana di uomini e donne vissuti più di tre secoli fa, di cui possiamo conoscere le attività quotidiane, gli indumenti, le acconciature, ma anche le gioie e le paure, e quelle piccole o grandi disgrazie per cui hanno chiesto un aiuto dal cielo. 

 

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