Un'estate col Nobil Giuoco - 5
Il mercato degli scacchi
Chess.com acquisisce per 82 milioni di dollari la società del campionissimo Carlsen: il gioco online non sarà più lo stesso. I professionisti comunque vanno sempre dove ci sono i soldi. A St. Louis, per esempio
Non credere di poter far meglio, “lascia che ci pensino i mercati”: così suona il motto della scuola di Chicago, fucina di premi Nobel e di fierissimi paladini della libertà economica, affidata al paradigma dell’efficienza dei mercati concorrenziali, capace nelle loro teoriche mani di spazzolare i campi più diversi – le relazioni sentimentali come la public choice, i comportamenti criminali come le transazioni finanziarie – compresi, dunque, quei campi nei quali l’analisi economica non sembra particolarmente pertinente.
Pertinente o no, in ambito scacchistico i mercati ci hanno pensato qualche giorno fa, quando chess.com, sito tra i maggiori dedicati agli scacchi online (i numeri che denuncia sono impressionanti: 90 milioni di utenti, 10 milioni di partite al giorno), ha offerto una paccata di milioni per l’acquisizione della società cofondata dal campione del mondo Magnus Carlsen, la Play Magnus Group (Pmg). Play Magnus è una simpatica applicazione che ti permette di graduare il livello di gioco, che il programma fa corrispondere allo stadio raggiunto dal campione norvegese nel corso della sua rapidissima crescita, per cui salendo di difficoltà giochi contro Magnus bambino, poi contro Magnus bimbetto, un po’ più grandicello, poi contro Magnus ormai ragazzetto e via così, e tu hai il piacere (e la cocente umiliazione) di scoprire – come in quegli stupidi giochi online che promettono di testare la tua età cerebrale – che non sei all’altezza nemmeno di un Magnus di sei o sette anni.
Ma sto divagando (o forse confessando i miei incubi). Perché Pmg è molto altro. E’ l’altro grande sito, chess24, sul quale milioni di appassionati seguono live i principali eventi scacchistici del globo terracqueo; è l’organizzatore del Champions Chess Tour, uno dei principali circuiti di tornei a inviti riservato all’élite mondiale dello sport; è Chessable, tra i principali marchi produttori di suite di apprendimento del gioco (il claim è invitante: “Dove la scienza incontra gli scacchi”); è Aimchess, avanzatissimo programma di allenamento al computer; è una rinomata casa editrice, Everyman Chess; è la principale rivista di scacchi a livello internazionale, New In Chess: è tutto questo e altro ancora. Ma i conti non erano rosei, con un inaspettato calo degli iscritti nell’ultimo semestre e una netta flessione dei ricavi medi per utente (quello che il singolo abbonato mediamente acquista fra i servizi offerti dal portale). Perciò, quando quelli di chess.com hanno bussato alla porta di Pmg con più di 82 milioni di dollari nel piatto, è stato naturale farli accomodare.
Il comunicato con il quale le due società hanno annunciato l’intesa è quello tipico delle fusioni aziendali: siamo tanto felici, faremo grandi cose, offriremo sempre più opportunità. Magnus Carlsen si è detto eccitatissimo (addirittura). Sta di fatto, però, che dove prima c’erano due attori fra qualche settimana ce ne sarà uno solo. Di concorrenza ne rimarrà pochina. Non è che non ci siano altri siti di informazione scacchistica, o altre piattaforme, ma la concentrazione quasi monopolistica cambierà la faccia del gioco online, e forse quella degli scacchi tout court.
La Federazione internazionale non ha dato, comunque, segnali di nervosismo. Il presidente, il russo Arkadij Dvorkovich, lo scorso 7 agosto eletto per un secondo mandato alla guida della Fide con una maggioranza schiacciante, ha finora dovuto vedersela con un altro tipo di grane, quelle che gli vengono dal suo paese d’origine: confermato nella sua carica, Dvorkovich ha ribadito ai media occidentali la sua condanna della guerra in Ucraina, ricordando la squalifica inflitta alla Russia, prima nazione scacchistica al mondo, alla quale è stata preclusa la partecipazione alle Olimpiadi. Dopodiché, incassati i complimenti del Cremlino per la rielezione, Dvorkovich, che viene pur sempre dal mondo della politica, essendo stato in passato vicepremier del governo russo, ha dichiarato sulla stampa nazionale di essere “sinceramente orgoglioso del coraggio dei nostri soldati”. Cerchio, botte: un colpo di qua, un colpo di là.
Quel che invece succede sul ring del capitalismo occidentale al momento non turba i sonni del presidente. Eppure, guardate sul sito 2700chess.com, che riporta le variazioni elo dei più forti giocatori al mondo: accanto alla tradizionale distinzione per tempo di riflessione – cadenza classica a tempo lungo, cadenza rapid, cadenza blitz – compare anche la classifica junior, e va bene, e da qualche tempo pure quella “online”, che vuol dire che la specialità prende sempre più spazio, e peso. Rimanere alla finestra, confidando sul fatto che è pur sempre la Fide a gestire i titoli mondiali, a formare la classe arbitrale, a custodire religiosamente le regole del gioco, significa correre un bel rischio. Non che il neonato Moloch scacchistico bussi anche alla tua porta, ma che costruisca una nuova e più ospitale dimora. E gli scacchisti professionisti, che pur senza aver studiato alla scuola di Chicago vanno comunque dove ci sono i soldi, potrebbero decidere un bel mattino di anteporre ai tornei col marchio Fide gli ingaggi del nuovo colosso privato. Carlsen, che nei mesi scorsi ha rinunciato alla difesa del titolo mondiale ma non ai tornei con i più ricchi montepremi, dovrebbe suonare alle orecchie della Fide come un perfetto campanello d’allarme.
Invece no. Tutto questo sul sito della Fide non c’è. Scorri le ultime news e trovi il report dell’ultima Assemblea generale, quella del 7 agosto, e poi una cosa bella e meritevole: l’annuncio della seconda edizione del torneo intercontinentale per detenuti (si terrà il prossimo ottobre). La terza notizia – alla buon’ora! – ci riporta finalmente al calcio giocato (volevo dire agli scacchi giocati, ma a volte ci si imbatte in problematiche simili). La notizia è la spettacolare vittoria di Alireza Firouzja nel torneo di Saint Louis. Nove partite rapid, diciotto partite blitz, di quelle che – per proseguire con l’analogia calcistica – Gianni Brera avrebbe senz’altro presentato come il trionfo dell’eretismo (scacchistico, però, non podistico), come il colmo della eccitazione nervosa, come il sabba del ritmo e della velocità.
Il giovane iraniano, che gioca ormai per i colori francesi – cosa dicevamo, poc’anzi, degli scacchisti professionisti? – ha conquistato il primo posto con ben quattro turni di anticipo, prendendo a pallonate, se si può dir così, due specialisti del calibro di Maxime Vachier Lagrave e Hikaru Nakamura, e facendo apparire di dimensioni normali campioni del calibro di Fabiano Caruana o di Ian Nepomniachtchi, gli ultimi sfidanti al trono mondiale. Date per cortesia una seconda occhiata al sito 2700chess.com: con la sua prestazione monstre, Firouzja ha guadagnato oltre cento punti elo nel gioco blitz. Una cosa mai vista. Nella specialità del gioco lampo, il numero uno al mondo, quello con il punteggio più alto, ora è lui. Non per caso Carlsen aveva detto: se la difesa del titolo è contro Firouzja va bene, mi ci metto, altrimenti passo, fate voi, piuttosto che mettermi a preparare il match vado in giro per supertornei a razzolare premi e denari (vedi di nuovo alla voce: scuola di Chicago).
Ma poiché ad essere interessati sono in molti – direi: quasi tutti gli appassionati del gioco, che incoronerebbero per acclamazione Firouzja e lo getterebbero nella sfida mondiale contro Carlsen anche domani, se solo potessero – non resta che rimanere a St. Louis. Chiuso infatti il torneo rapid e blitz, si disputa la Sinquefield Cup, l’ultimo evento del Grand Chess Tour di quest’anno. Inizio 2 settembre alle ore 20, con ai nastri di partenza entrambi, sia Carlsen che Firouzja (e dirette streaming sui siti di cui sopra, ovviamente). Si gioca però a tempo lungo – novanta minuti per quaranta mosse, più trenta ulteriori minuti per finire la partita, più trenta secondi di incremento per ogni mossa eseguita: se dura, si va oltre le quattro, cinque ore di gioco, e lì Carlsen è ancora indiscutibilmente, incontrastabilmente, ininterrottamente il re.
Però un momento: perché St. Louis? Com’è accaduto che St. Louis, Missouri, sia divenuta la capitale degli scacchi in America, e il teatro di alcuni dei più importanti tornei al mondo? Harry N. Pillsbury, Frank Marshall, Samuel Reshewsky, Bobby Fischer: tutti i più grandi giocatori di scacchi americani del ’900 bazzicavano i tornei di New York: da dove spunta fuori St. Louis? E prima, nell’Ottocento, il più forte di tutti, l’arcangelo degli scacchi, colui che vinse in pochi folgoranti mesi tutto quello che c’era da vincere nel nuovo e nel vecchio mondo, per poi tornare a casa, dare lievi segni di squilibrio mentale e scomparire dalla circolazione, dico Paul Morphy, veniva da New Orleans, in Louisiana, e credo che a St. Louis non abbia mai messo piede: che c’entra dunque la città dei pionieri, la porta dell’Ovest?
C’entra eccome, come c’entrano i soldi, un’altra volta ancora. Perché di St. Louis è un fior di miliardario, che ha studiato indovinate dove? A Chicago, mentore uno dei premi Nobel sfornati dalla Scuola, Eugene Fama. Partito da zero, Rex Sinquefield ha fatto fortuna nel mondo della finanza gestendo non ho capito bene quale diavoleria di fondi, e quando ha deciso di aver fatto abbastanza soldi, ha pensato bene di dedicarsi alla sua insana passione. Ha tirato su dal nulla un centro sportivo interamente dedicato agli scacchi, ha acquistato la biblioteca privata di Bobby Fischer, si è inventato una magnifica World Chess Hall of Fame, e ha preso a finanziare con laute donazioni l’attività scacchistica della città: i programmi educativi, i campionati nazionali, i negozi specializzati. Poi, nel 2013 è arrivata la Sinquefield Cup e attirati da montepremi da favola sono arrivati anche i supercampioni.
Nel frattempo King Rex – questo l’affettuoso soprannome del magnate – non perde di vista le battaglie politiche. Fedele alla Scuola, sborsa cifre considerevoli per sostenere candidati e programmi che promettono robusti tagli alle tasse. Repubblicano, è vicino alla fazione più conservatrice del partito, quella che oltre alle tasse abolirebbe pure Washington, con la sua cricca politicante, nonché la scuola pubblica e i sindacati. Però – consentitemi la piccola licenza di un “però” – è un fanatico degli scacchi. E’ più scarso dell’ultimo dei principianti che si arrabatta in qualche dopolavoro ferroviario di periferia, ma si ubriaca di campioni, alcuni li iscrive al club di St. Louis e per tutti apparecchia sontuosi tornei a inviti. Tra i molti scacchisti professionisti attratti dalle sue borse cospicue c’è anche l’italoamericano Caruana, che ha giocato con i nostri colori, finché anche per lui non sono arrivati i dollari. Caruana è l’autore della prestazione più incredibile nella storia della Sinquefield Cup, quando ancora giocava sotto bandiera italiana, nel 2014: sette vittorie consecutive, poi tre patte e torneo vinto con tre punti di distacco sul campione del mondo Carlsen. Un’enormità. Come fu un’enormità la performance, la più alta mai realizzata in tornei a tempo lungo. Poi, dicevamo, i dollari: addio Italia, addio Caruana.
Ma di soldi, di Chicago boys e di miliardari americani ne ho abbastanza: chiudiamo in bellezza. Quando Paul Morphy – volto pallido, quasi imberbe, sguardo mite e melanconico – si mise su una nave per recarsi in Inghilterra, sfidare Howard Staunton, e dimostrare al mondo intero che il più forte era lui, dovette scontrarsi contro l’arcigna diffidenza dell’inglese. Barba ispida, severo cipiglio, Staunton non lo prese sul serio: voi, gli disse, i soldi non li avete, non mi date sufficienti garanzie. E non ci fu verso. Morphy si trattenne in Europa qualche mese, sconfisse con irrisoria facilità il tedesco Anderssen, l’unico che sulla carta avrebbe potuto impensierirlo – poi basta: tornò in patria e smise di giocare. In una lettera all’amico Willard Fiske, scritta mentre in America infuriava la guerra civile, Morphy motivò la sua irremovibile decisione con il carattere fondamentalmente futile di un gioco privo di qualsiasi scopo. Non gli si può dar torto: in sé, il gioco non ha alcuno scopo.
Non solo gli scacchi, in verità: è la stessa dimensione del gioco che si mantiene in questo spazio libero da fini, frequentato solo per diletto, non asservito a logiche pragmatiche e utilitaristiche. Però proprio l’eterno adolescente Morphy, che pure ne denunciava la futilità, lo difese finché poté, rifiutandosi sempre di giocare per denaro, di accaparrare premi, di scommettere su vittorie e sconfitte. Può darsi che in un simile atteggiamento vi fosse un’immaturità di fondo, un irrisolto conflitto con la figura paterna – come sostenne in un celebre studio lo psicanalista Ernest Jones – e l’incapacità di entrare nel mondo adulto. Ma che bellezza! Scrollarsi di dosso tutta la maledetta serietà del mondo, che grava anche sugli scacchi – sulle acquisizioni societarie, sul professionismo sportivo, sulle sponsorizzazioni, sulle quotazioni in borsa, sui siti a pagamento – e come il poeta prendersi la pazza libertà di gridare: lasciatemi divertire. Per una volta, per la luce brillante di una combinazione o per l’infinita profondità strategica di un piano di gioco, lasciateci divertire. (E lasciate che si diverta anche Alireza Firouzja, fin quando può).
P.S. Di bello c’è pure che ai Campionati europei femminili, che si sono appena conclusi a Praga, un’italiana, Marina Brunello, è entrata tra le prime dieci. E’ la prima volta. Ha ora diritto a partecipare alla selezione per i mondiali, e qualche soddisfazione di sicuro se la prenderà.
Continua l’appuntamento estivo del venerdì con gli scacchi. Gli articoli precedenti di Massimo Adinolfi sono stati pubblicati il 5, il 12, il 19 e il 26 agosto.