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Libri e reportage

Metti Maupassant e Sarah Bernhardt in mongolfiera, in volo su Parigi

Marco Archetti

Sono tanti i modi di affrontare un viaggio in pallone e di scriverne, ognuno con uno stile e la propria immagine pubblica da confermare ma entrambi con l’emozione dell’aria ancora nei polmoni

Sarah Bernhardt che diventa una sedia e Guy de Maupassant che sfida la morte, tanti i modi di affrontare un viaggio in pallone e di scriverne (i reportage li pubblica Ibis, “In pallone sopra Parigi”, pp. 127, euro 8), ognuno con uno stile e la propria immagine pubblica da confermare ma entrambi con l’emozione dell’aria ancora nei polmoni. Nel caso della Bernhardt, in senso letterale: quando, il 22 agosto del 1878, andò in aerostato per la prima volta aveva problemi di affaticamento e respiro corto e l’ascensione le regalò una sensazione di benessere, ragion per cui ripeté l’operazione finché il direttore della Comédie française la convocò per notificarle una multa di mille franchi causa “viaggio non autorizzato”.

 

In quei giorni era sul palco con l’“Hernani” di Victor Hugo e il pallone venne battezzato Doña Sol per onorare il personaggio che interpretava, va da sé, con debordante successo. Ne vennero fuori una canea sui giornali, la minaccia di dimissioni dell’attrice (poi rientrate) e un aneddoto storico interessante: al comando dell’aerostato con cui la Bernhardt ascendeva e discendeva pazzamente c’era Louis Godard, figlio di Eugène, l’uomo che organizzò il servizio di posta aerea nella Parigi assediata servendosi proprio di palloni aerostatici. Perché sì, siamo a soli otto anni dalla disfatta militare contro la Prussia, e l’allestimento dell’Esposizione universale del primo maggio – in cui gli aerostati vennero presentati al pubblico – era il palcoscenico che serviva per provare a risollevare sorti che, in quel momento, ai francesi non parevano luminosissime. Le ascensioni di Maupassant furono meno travagliate, ma non prive di sorprese per l’uomo che aveva confidenza soprattutto con l’acqua (passava più tempo al circolo dei canottieri che alla scrivania, Flaubert lo rampognava un giorno sì e un giorno sì) e che di lì a poco avrebbe pubblicato “Sur l’eau”, mortuario diario di navigazione da Saint-Tropez a Montecarlo. 

 

“Nell’aria” si chiamano, invece, questi suoi reportage, pubblicati originariamente per il Figaro. “Il pallone è adagiato nel cortile d’ingresso,” scriveva, “una grande torta di tela gialla schiacciata a terra sotto una rete. Questa fase si chiama messa in sparviero, e in effetti sembra proprio un grosso pesce senza vita preso nella rete da pesca”. Poi il gas comincia a penetrare nel pallone attraverso un tubo palpitante. “L’animale che tra poco prenderà il volo comincia a sollevarsi, magico frutto d’oro, pera meravigliosa che i raggi di sole del tramonto finiscono di maturare”.  E Maupassant è in volo. “Non si sente più nulla: ondeggiamo, saliamo, planiamo. Sotto di noi si estende Parigi, macchia bluastra tagliuzzata dalle strade. La Senna sembra un grosso serpente srotolato”. Quando sorvola un villaggio, sente le grida dei bambini, in un’aria “così leggera e dolce che non mi era mai capitato di respirare. A volte saliamo, a volte scendiamo”. Partito con vigore pionieristico, tornato ebbro di dolcezza aerea – l’apparizione della luna, giacché Maupassant è Maupassant sempre, anche quando si sdilinquisce, vale le sue migliori pagine.

 

Tra le nuvole” è il titolo del reportage della Bernhardt, che racconta l’esperienza immaginandosi di essere una sedia: paglia da Tolosa, legno di un giovane frassino della foresta di Saint-Germain, un solo sogno: essere “una sedia importante”. Sogno realizzato quando un uomo la compra e la piazza in un pallone aerostatico nel cortile delle Tuileries. Un giorno la sedia resta affascinata da una signora elegantissima, entusiasta delle ascensioni al punto da volerne riprovare una ogni giorno: e fu così che Sarah Bernhardt racconterà se stessa. “La sua voce era così bella – si descrive – che le davo sempre ragione”. La sedia prende le sue difese quando uno scultore, “un morto di fame che faceva le sue statue in uno sgabuzzino”, ne parla male. “Scattai per la collera – tuona la sedia – sballottando il grasso signore che se ne andò furioso”. Al che Sarah Bernhardt la eleggerà a sua sedia personale. “Non toccatela!”. E se ne servirà per ogni volo. Finché un giorno le si spezzerà una gamba. Mai prefigurare la propria morte scrivendo: trent’anni dopo l’attrice subirà la medesima amputazione.
 

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