la mostra
Il volto è un enigma. Le maschere di Bruno Pellegrino al Maxxi
Al Museo nazionale delle arti del XXI secolo di Roma è esposta Personae, un'installazione che restituisce individualità alla folla dipinta da Giuseppe Pellizza da Volpedo nel "Quarto stato". La genesi e i significati dell'opera nelle parole dell'artista, della presidente Giovanna Melandri e del filosofo Sebastiano Maffettone
In questo strano momento della storia in cui autenticità e trasparenza sono diventate quasi delle ossessioni, e d'altra parte si fanno tanti compromessi sull'immagine di sé - dalle mascherine salvifiche al filtro onnipresente della comunicazione web - mettere il volto al centro di un'opera d'arte è un gesto di coraggio. Lo fa Bruno Pellegrino con Personae, installazione al Maxxi di Roma fino all'8 settembre. Sessantatré sculture bidimensionali in ferro dipinto rappresentano volti enigmatici che interrogano il visitatore, affiancate da sei grandi maschere monocrome e montaggi video. L'inaugurazione martedì pomeriggio è stata l'occasione per sciogliere, ma solo in parte, il mistero nei loro sguardi.
Pellegrino, presente con Giovanna Melandri, presidente della fondazione Maxxi, e Sebastiano Maffettone, filosofo, ha raccontato la genesi dell'opera, una rivisitazione del "Quarto stato" di Giuseppe Pellizza da Volpedo (1901). Questo gigantesco quadro ha peregrinato in diverse collocazioni a Milano, dove l'artista, ex consigliere comunale (tra le tante altre cose), ha avuto modo di ammirarlo. La stessa città è servita da ispirazione per i volti di Personae: se Pellizza ha rappresentato in maniera plastica l'irruzione delle masse sul palcoscenico della storia, la memoria che Pellegrino ha di Milano negli anni 70 e 80 vede la trasformazione dinamica di quelle stesse masse. Se tra gli operai di Pellizza si distinguono tre facce e poco più, la folla dei tempi nuovi si differenzia, gli individui non si lasciano più ridurre all'anonimato, ed ecco che ricompaiono i volti, singolari, colorati, ciascuno con la propria storia. Quei volti che Pellegrino fa oggetto della sua arte.
E tuttavia ci tiene a precisare: sono volti immaginari. Un'osservazione che aiuta a scavare tra i significati dell'opera: oltre la dimensione storica e sociale sottolineata da Giovanna Melandri - le persone oltre la massa come "terreno per una politica nuova" - c'è la dimensione trascendente, dell'essenza della persona. Qui ha dato il suo contributo il filosofo Maffettone, amico di lunga data di Pellegrino. Poiché "non si deve mai spiegare il significato di un'opera in presenza dell'artista", si è limitato a ricordare che la definizione di persona è quanto di più sfuggente e insieme pressante per la riflessione filosofica: cos'è che fa un individuo? Che sia l'unità del corpo, che sia l'unità della memoria, "la caratteristica essenziale più evidente della persona", ammette Maffettone, "è il suo essere enigmatica". Un enigma che va oltre il singolo individuo concreto.
Allora, se i volti di Pellegrino non sono ritratti di persone reali, aiutano a indagare quell'altra caratteristica essenziale della persona che è la libertà. Perché quei volti possono essere maschere, e le maschere non sono solo dissimulazione e inganno, ma anche simbolo delle infinite possibilità dell'individuo, che può essere ciò che vuole. Come a teatro. Proprio lì sta l'etimologia di "persona", parola latina per maschera teatrale: strumento per una indistinzione che oggi appare odiosa - attraverso le maschere gli uomini interpretavano anche le parti femminili - ma che con il diritto romano e poi il cristianesimo ha assunto il valore di "individuo in possesso della propria identità". I volti di Bruno Pellegrino ci interrogano su questo possesso, lo rendono dinamico, attraverso la domanda che sembrano porci appena ce li troviamo davanti: ma tu, chi sei?