l'intervista
Inizia Pordenonelegge. Apre Žantovský ex portavoce di Václav Havel
Al festival che si tiene quest'anno a Praga si percepisce l'importanza di ripartire da uno dei luoghi più evocativi del continente, anche per rinsaldare le radici democratiche dell'Europa
“Non avrà fine la fascinazione, la vita di Praga. [...] Praga, non ci daremo per vinti. Fatti forza, resisti. Non ci resta altro che percorrere insieme il lunghissimo, chapliniano cammino della speranza”. Sono le parole conclusive di Praga magica di Angelo Maria Ripellino, il saggio-romanzo che descrive in maniera insuperata la città vltavina: prigione dorata degli alchimisti e degli orafi, di Kafka e di Werfel, del regale Gesù Bambino e del buon soldato Sc’vèik, la stramba creatura uscita dalle tozze mani di Jaroslav Hašek, il più riuscito di tutti gli schlemihl (i pasticcioni della tradizione ebraica).
L’anteprima della XXIII edizione di Pordenonelegge si svolgerà proprio a Praga oggi, giovedì 8 settembre, alle ore 18.30 presso l’Istituto italiano di cultura, con un dialogo tra Emanuele Trevi (che ha scritto Praga 1990. Il cammino della speranza) e il direttore esecutivo della Biblioteca Václav Havel, Michael Žantovský. Il titolo dell’incontro, trasmesso in diretta streaming nell’ex convento San Francesco di Pordenone, è “Praga mito, Praga realtà. Incroci della memoria tra storia e letteratura”. Secondo il presidente della Fondazione Pordenonelegge, Michelangelo Agrusti, è infatti necessario ripartire da “uno dei luoghi più evocativi del continente, perché è forte l’urgenza di ritrovare ispirazioni che rinsaldino il legame con le radici democratiche dell’Europa”.
Žantovský è la persona più adatta: diplomatico e politico di lunga data, nonché psicologo, scrittore e drammaturgo, noto per essere stato portavoce dell’ufficio di presidenza di Havel. “Václav Havel era un uomo davvero molto speciale – dice Žantovský al Foglio –, sapeva essere gentile e modesto. A differenza della maggior parte dei politici, non andava in cerca né poneva affidamento sul potere. Ricordo che in una circostanza ha osservato: ‘Nel momento in cui sono stato eletto presidente, ho cominciato a diventare sospettoso persino di me stesso’”.
Per La nave di Teseo è uscita lo scorso anno la colossale biografia, Havel. Una vita (traduzione di Lorenzo Matteoli e Andrea Terranova). Eppure, per ammissione dello stesso Žantovský, si potrebbe definirla in ben altro modo: “Essere innamorati del soggetto della biografia che ci si appresta a scrivere non è necessariamente la migliore condizione per scriverla, perché si rischia l’agiografia”. Nei confronti del presidente della Rivoluzione di velluto, Žantovský prova un sentimento che può essere chiamato “amore” e, nel poderoso libro, riporta un passaggio cruciale della visione politica di Havel: “Al di là di una lettura macroeconomica o tecnocratica del mondo, il terreno più fecondo per qualsiasi tipo di progresso economico è fatto da ciò che non può essere calcolato dai contabili: lo stato di diritto, l’ordine etico, un clima sereno di convivenza”.
Ma qual è ora l’evoluzione della democrazia e il livello culturale nella Mitteleuropa? “Dopo trent’anni passati a costruire la Repubblica ceca, i nostri problemi sono paragonabili a quelli della maggior parte degli altri paesi dell’Unione europea. Tuttavia, ci sono sensibilità speciali che derivano dal passato totalitario e dall’attuale minaccia russa. Esse ci rendono più consapevoli nell’Europa centrale e orientale dei pericoli populisti e ideologici per la libertà e la democrazia dall’interno e dall’esterno. Riguardo al livello culturale del nostro paese, non mi sento abbastanza competente per giudicarlo”.
A proposito di cultura, l’attività letteraria di Žantovský è molto intensa: ha spaziato dalla traduzione al teatro e al saggio. Gli abbiamo chiesto quale linguaggio artistico preferisce. E la risposta non poteva essere che haveliana (si ricordino questi versi tratti da La speranza: “O abbiamo la speranza in noi, o non l’abbiamo; / è una dimensione dell’anima, / e non dipende da una particolare osservazione del mondo”). “È una domanda interessante. Per ciò che concerne il mio mestiere di letterato, è forse un paradosso ma io preferisco in tutta probabilità esprimermi in poesia, anche se la pubblico raramente”.