La sconosciuta della Senna
Così la maschera mortuaria di una giovane annegata stregò Rilke, Céline e Aragon. Per diventare poi simbolo di vita: gli inventori della respirazione bocca a bocca hanno dato le sue fattezze ai manichini per le esercitazioni
Gennaio 1902, un giovane si trova a passeggiare lungo i marciapiedi del quartiere Odéon. E’ venuto a Parigi per scrivere una biografia di Auguste Rodin, il quale, anni dopo, gli offrirà un impiego come segretario. Giunto sulla rue Racine, i suoi passi si arrestano di fronte a una vetrina. Nella bottega di Michele Lorenzi, un artigiano italiano specializzato in stucchi e calchi in gesso, fra le riproduzioni di statue più o meno note, spicca il volto di una fanciulla. Ha gli occhi socchiusi, e uno strano, enigmatico sorriso ne caratterizza l’espressione. E’ così bella da costringere il poeta a entrare. Vuole conoscere l’identità della ragazza ritratta. Non la scoprirà mai, e non basterà un secolo a sciogliere l’enigma.
Ha inizio così la storia, o meglio la leggenda, della più famosa anonima del ’900, il volto senza nome che ha scatenato l’immaginario di poeti, scrittori e artisti del secolo scorso. Torniamo indietro di qualche anno, fine Ottocento. Il cadavere di una ragazza viene ripescato nelle acque della Senna. Nessuno sa di chi si tratti, non risultano denunce di scomparsa. La giovane viene trasportata all’obitorio e distesa su un blocco di ghiaccio. Secondo i costumi dell’epoca, la ragazza senza nome, insieme ad altri corpi di annegati, sarà esposta al pubblico per facilitare un possibile riconoscimento, un macabro spettacolo che scatena la morbosa curiosità di uomini, donne e bambini. La visita alla Morgue rientra nelle attrazioni del Tout Paris suggerite dalle guide turistiche fino a quando, nel 1907, il prefetto in carica decide finalmente di vietare l’accesso al pubblico. Scrive Zola, in Teresa Raquin: “L’obitorio è uno spettacolo alla portata di tutte le tasche, l’ingresso è libero, entra chi vuole. Esistono amateurs che fanno un detour pur di non perdersi una di queste rappresentazioni della morte”.
Malgrado la permanenza in acqua, il cadavere della fanciulla è incredibilmente intatto, e ciò fa presumere un suicidio compiuto poco prima del ritrovamento: ma quel che più impressiona è l’espressione del suo volto, sereno e sorridente, quasi che la violenza dell’evento, anziché intaccarne la grazia, l’avesse al contrario sublimata. Il corpo della sconosciuta non viene reclamato da anima viva, si deve dunque procedere alla sepoltura. Ma prima che ciò avvenga, un addetto della Morgue, affascinato da quel volto, decide di immortalarne i tratti in una maschera mortuaria, pratica alquanto diffusa nel XIX secolo. Da quel calco furono prodotte diverse copie, la prima delle quali affissa nell’atelier Lorenzi (detentore ancora oggi della matrice originale), verosimilmente la stessa che stregò Rilke: “Il mouleur davanti al quale passo ogni giorno ha appeso due maschere accanto alla porta. Il viso della giovane annegata modellato alla Morgue perché era bello, perché sorrideva, perché così ingannevole sorrideva, come se sapesse…”, scrive nei Quaderni di Malte Laurids Brigge.
Al di là della bellezza dei tratti, è proprio quel sorriso indecifrabile e contraddittorio a incuriosire, a suscitare ogni genere di congettura. Tutti vogliono sapere chi mai fosse la ragazza, ma più di ogni altra cosa vogliono capire cosa abbia acceso quel sorriso nell’istante in cui gli occhi si spegnevano. Vogliono capire quello che solo lei sapeva. “Come se sapesse…”.
I primi ad avventurarsi in possibili interpretazioni sono gli scrittori. Il soggetto è effettivamente molto letterario, evoca l’Ofelia di Shakespeare soprattutto nella versione dipinta dal preraffaellita Millais, non plus ultra del romanticismo, o il mito di Ondine, la sirena dei fiumi… Nel saggio L’acqua e i sogni, Gaston Bachelard sostiene che “gli occhi socchiusi e le labbra che sembrano sorridere e soffrire non bastano a giustificare il successo popolare della Sconosciuta, ma è per via dell’associazione con i miti di Ofelia e Ondine che questo semplice oggetto di gesso si è trasformato in materiale leggendario”. L’annegata senza nome si rivela protagonista ideale di un racconto, l’Inconnue de la Seine diventa una fonte di ispirazione per una moltitudine di scrittori, a cominciare dall’inglese Richard Le Gallienne che già nel 1899, nella novella L’adoratore dell’immagine, racconta di un giovane poeta ossessionato dal volto della sconosciuta, prefigurando quel che di lì a poco sarebbe accaduto a Rilke. In seguito, l’estetica degli anni Venti la tramuterà in un feticcio di moda, le ragazze imiteranno la sua acconciatura e nei salotti borghesi verrà esibita accanto a opere artistiche o come decorazione sulle facciate delle case.
Ma è a partire dagli anni trenta del Novecento che ha inizio un vero e proprio fenomeno di culto letterario: Jules Supervielle ne fa l’eroina di un suo romanzo (L’inconnue de la Seine), Nabokov le dedica una poesia: “Bramando l’epilogo di questa vita / non amando nulla su questa terra / continuo a fissare la maschera bianca / del tuo volto senza vita / Nelle pallide schiere di giovani annegate / tu sei la più pallida e dolce di tutte”. Nel 1933 Louis Férdinand Céline consegna alle stampe una commedia in cinque atti intitolata L’Église. In vista della pubblicazione l’editore gli chiede un suo ritratto fotografico da inserire sul frontespizio del volume, Céline non solo rifiuta (“Sono contrario all’iconografia”) ma esige la riproduzione di una fotografia del calco scattata nel 1927 dal fotografo Albert Rudomine: al suo posto figurerà la Sconosciuta, eletta come alter ego dallo stesso autore, che si consegna al pubblico dissimulando la sua immagine dietro alla maschera mortuaria di un’annegata, musa anonima e simbolica. L’opera appartiene ai lettori mentre l’autore può e deve rivendicare l’anonimato (le rare, preziosissime copie dell’edizione originale ancora in circolazione sono vendute a caro prezzo).
Nel romanzo Aurélien di Louis Aragon, il protagonista si innamora di Bérenice perché il suo volto assomiglia a quello dell’Inconnue del calco da lui gelosamente custodito, e per il quale prova una folle fascinazione: “Non è una donna, è l’assenza…”. Lo stesso Aragon ne è soggiogato, possiede anch’egli una copia e quando si presenta l’occasione di una nuova edizione del suo romanzo, chiede a Man Ray di realizzare alcune foto artistiche del calco. Il volto dell’Inconnue viene ritratto disteso su un cuscino, come se dormisse. In altre versioni la si vede con una parrucca, oppure riflessa di tre quarti in uno specchio, o ancora, nell’interpretazione più surrealista, con gli occhi aperti, sovrapposti a quelli inesorabilmente chiusi.
L’Inconnue de la Seine non è il prodotto dell’immaginario di un artista, bensì la trasposizione di un volto umano e dunque reale (seppur sconosciuto), su un supporto comunemente legato al mondo dell’arte, e ciò la rende vera e falsa al tempo stesso (per cui si spiega l’appropriazione del soggetto da parte dei surrealisti). E’ dunque un objet d’art. Ma quel che la rende popolare travalica i confini dell’arte: il fatto che si tratti del volto di una defunta, che sia dunque il prodotto di un contatto diretto con il mistero della morte, aggiunge un elemento di sacralità che la eleva al rango di una reliquia.
Oggi, a più di 140 anni dalla sua apparizione, il fascino della maschera perdura nel tempo, attraversa le mode, si tramanda senza remore. Albert Camus, che aveva coniato la definizione “Monna Lisa annegata”, ne possedeva una copia, così come Maurice Blanchot e molti altri (confesso di aver ceduto anch’io e di aver contattato l’atelier Lorenzi per commissionarne una…). Serge Gainsbourg le ha dedicato una delle sue più belle canzoni, La Noyée, lo stilista Sébastien Meunier (che si dichiara “ossessionato” dalla Sconosciuta) ha disegnato un’intera collezione ispirata alla sua figura, Guillaume Musso, il romanziere da milioni di copie, l’ha scelta come protagonista del suo ultimo successo.
Ma la più sorprendente fra tutte le trasposizioni del volto misterioso è avvenuta agli inizi degli anni 60 del secolo scorso… Peter Safar, un anestesista austriaco, stava sperimentando una tecnica di rianimazione oggi universalmente riconosciuta: la respirazione bocca a bocca, quell’intervento di ventilazione forzata praticata sul corpo di una persona che a seguito di un trauma non riesce a respirare autonomamente. Safar aveva scoperto il modo più semplice ed efficace per scongiurare la morte senza il bisogno di ricorrere a sofisticate strumentazioni: bastava premere le labbra sulla bocca della vittima e soffiare aria nei suoi polmoni. Un bacio salvifico che ha permesso a milioni di persone di sopravvivere.
Per quanto semplice, il metodo richiedeva l’apprendimento di una pratica per la quale era necessario un manichino che fungesse da paziente virtuale. Safar pensa allora di rivolgersi a un produttore di bambole, il norvegese Asmund Laerdal, che aveva introdotto un nuovo materiale, più duttile e morbido, nella realizzazione dei suoi giocattoli. L’utilizzo di questo materiale, oggi noto come pvc, aveva rivoluzionato quel comparto industriale, ma la sua applicazione venne ben presto dirottata in altri settori. La protezione civile norvegese aveva chiesto a Laerdal di realizzare delle finte ferite per l’addestramento militare e fu proprio questo evento a suggerire a Safar di rivolgersi al costruttore, senza sapere quanto quella richiesta avesse a che fare con la sua esperienza personale. Pochi anni prima, infatti, durante una vacanza sull’oceano, il piccolo Tore, figlio di Laerdal, era stato inghiottito dalle onde. Asmund si era precipitato a soccorrerlo e lo aveva trasportato a riva. Vedendo che il bambino non respirava più, aveva istintivamente tentato di restituirgli la vita poggiando le sue labbra contro quelle del figlio e soffiando aria nei suoi polmoni. Lo aveva così salvato praticando un metodo che doveva ancora essere scientificamente dimostrato.
Quando, anni dopo, l’anestesista Safar lo aveva contattato, chiedendogli di progettare un manichino per la tecnica della respirazione bocca a bocca, a Laerdal era parso un segno del destino. Si decise che il manichino dovesse avere “rassicuranti tratti femminili”, e a Laerdal venne in mente un oggetto che da ragazzo aveva visto appeso su un muro a casa dei nonni, la riproduzione in gesso del volto di una ragazza sorridente…
La sconosciuta della Senna era arrivata anche in Norvegia, ma Asmund Laerdal, colpito dal suo sorriso, non poteva sapere che si trattava della maschera mortuaria di un’annegata, l’annegata più famosa al mondo.
Da quando è stata progettata, ormai più di cinquant’anni fa, Resusci Anne (così è stata battezzata) ha offerto le sue labbra a oltre trecento milioni di persone che hanno imparato, soffiando nella sua bocca, il metodo Cpr (cardiopulmonary resuscitation): “Un simbolo della vita per i milioni di persone in tutto il mondo che hanno appreso la tecnica della moderna rianimazione, e per coloro la cui vita lei ha contribuito a salvare”, è scritto sul sito dell’associazione che ne promuove i benefici. La maschera mortuaria è diventata così un simbolo della vita, e a questo punto poco importa sapere chi fosse la Sconosciuta della Senna, o se sia davvero esistita.