letteratura tedesca
L'ultimo Sebald e tre tassisti che scherzano con un carabiniere
Solo una voce esterna può restituirci la verità di ciò che abbiamo vissuto. La prosa vera ci raggiunge sempre qui e ora, nel tempo e nel luogo, nello stato emotivo in cui ci troviamo, da una distanza incalcolabile
Avevo acquistato Vertigini di W. G. Sebald alla stazione di Venezia, mentre attendevo il mio treno per Milano, e mi misi a leggerlo non appena ebbi preso posto. Il primo testo parla di un viaggio nell’Italia del nord. A pagina 83, Sebald racconta (nei primi anni 90) di una sosta a Desenzano del Garda sulle orme di un’altra sosta, del 1913, fatta nella stessa cittadina da Franz Kafka.
Giunsi a pagina 83 mentre il mio treno passava, appena dopo il tramonto, proprio da Desenzano del Garda. Alle pagine successive ecco una scenetta divertente. Nel meriggio sonnacchioso tre tassisti, sul piazzale della stazione, si divertono a prendere in giro un giovane carabiniere, appena giunto in macchina. Gli portano via il copricapo, fingono di fargli una multa per divieto di sosta. Il ragazzo sta allo scherzo. A questo punto della lettura, mentre il mio treno lasciava Desenzano, mi accorsi, quasi con paura, di conoscere quella scena per averla vista con i miei occhi. Io abitavo, a quel tempo, a Desenzano, nei pressi della stazione e quel giorno, a quell’ora ero andato nell’edicola della stazione a comprare il giornale e mi ero fermato al bar sul piazzale a bere un caffè. E assistetti di persona a quella stessa scenetta, che non mi stupì perché sapevo che il giovane carabiniere era parente (forse figlio) di uno dei tassisti.
Quel giorno, senza che io lo sapessi, a quell’ora precisa, un uomo sedeva su una panchina sotto i tigli, a non più di dieci metri da me. Era Winfried Georg Sebald, uno dei più grandi scrittori a cavallo tra XX e XXI secolo. L’uscita – come sempre presso Adelphi – di una raccolta sebaldiana, Tessiture di sogno (titolo originale Campo Santo, traduzione di Ada Vigliani, 250 pp., €19 euro) mi ha fatto tornare alla mente quella singolare coincidenza. Mi sono capitate altre storie bizzarre come questa, sempre in treno (forse, chissà, favorite dalla situazione monodimensionale), e sempre evocate da un libro. Ma in tutte queste coincidenze c’è una verità, che è bene non lasciarsi scappare.
La letteratura vera ci raggiunge sempre qui e ora, nel tempo e nel luogo, nello stato emotivo in cui ci troviamo, da una distanza incalcolabile. Le sue parole possono essere state scritte accanto a noi, pochi istanti prima, oppure migliaia di anni addietro, in un luogo remoto. Ma, in qualunque caso, esse ci raggiungono dopo avere fatto il giro dell’universo, portando con sé l’universo che hanno attraversato. Me ne resi conto quella sera, sul treno: un episodio al quale avevo assistito di persona mi raggiungeva, tanti anni dopo, grazie alle parole di uno scrittore che amavo, che avrei tanto voluto conoscere – e che si trovava, quel giorno di tanti anni prima, vicino a me, e guardava quello che guardavo io. Questa è, esattamente, la contemporaneità.
Tessiture di sogno si divide in due sezioni. La prima contiene quattro scritti in prosa destinati, in origine, a far parte di un libro sulla Corsica. La morte prematura di Sebald (1944-2001) a causa di un incidente stradale non permise il realizzarsi di questo e altri progetti. Spiccano alcune pagine stupefacenti, dove emerge il carattere speciale di questo scrittore: la capacità, senza forzature, di cogliere – in una totale nudità espressiva, senza alcuna concessione egotica – la frastagliata minuzia di ciò che avviene nel tempo e nello spazio dentro un’illuminazione (il montaliano “lampo che candisce”) capace, senza alcuna enfasi, di rendere definitivo lo spezzettamento dei fatti. Può essere una nave che entra nel porto, può essere il groviglio di vicoli della vecchia Ajaccio, possono essere i cimeli non sempre gloriosi di qualche piccolo museo, o qualche tomba anonima in un piccolo cimitero. Se la vita ci raggiunge briciola dopo briciola, nelle pagine di un grande scrittore essa si ripresenta nella sua veste definitiva, e mette paura perché a questo senso di definitività non si può disgiungere l’idea della morte. Musei, cimiteri, tombe, immagini fotografiche sbiadite, foreste perdute, specie animali estinte popolano queste pagine. Le immagini di Sebald definiscono sempre, in tutti i suoi libri, un percorso archeologico, museale.
La maggior parte del libro è però occupata dalla seconda parte, che raccoglie diversi saggi, datati tra il 1975 e il 2001, dedicati perlopiù alla letteratura tedesca, ma con qualche importante concessione (Nabokov, Chatwin). Sono scritti non inferiori alle prose d’arte, e con quelle condividono la prosa splendente di precisione e di pensiero. Tra questi spiccano due saggi su Kafka, il secondo dei quali si sofferma sul rapporto, tra fascinazione e diffidenza, dello scrittore praghese con il cinema e le immagini. Si coglie bene, qui, il legame filiale tra l’uno e l’altro scrittore: da Kafka, Sebald assume l’idea stessa della fotografia e dell’immagine come medium tra uomini e fantasmi (Roland Barthes condivise, a suo modo, questa posizione). Così anche qui, come nelle prose d’arte, la potenza visiva si coniuga con l’idea della morte.
Uno scritto del 1983 anticipa il grande tema che verrà svolto anni dopo nel capolavoro Storia naturale della distruzione: perché la letteratura tedesca del Dopoguerra reca pochissime tracce dell’evento-choc della distruzione della Germania da parte delle forze alleate, alla fine della Seconda guerra mondiale? Riflessioni fondamentali, sulla discrepanza tra tempo degli eventi e tempo della storia, sono svolte con la consueta lucidità. E’ sempre un occhio esterno a restituirci la verità di ciò che abbiamo vissuto in prima persona, perché noi non vediamo quello che ci accade: di qui la non affidabilità di biografie e autobiografie.
“Chi ride bene ride anche ultimo” scriveva Nietzsche. E chi scrive bene scrive anche ultimo. Dove “ultimo” indica la fine di ogni ulteriore aggiunta – o, che è lo stesso, l’apparire della verità, o del suo fantasma. L’esperienza di ciascuno di noi ha, per Sebald, la necessità di esserci restituita, nel tempo, da una voce esterna, altra da noi. Solo così recuperiamo un brandello di vera conoscenza. La letteratura è questa cosa. O, se preferite, ma è lo stesso, è il racconto di un gioco fra tre tassisti e un carabiniere a cui abbiamo assistito da giovani in un caldissimo meriggio, e che ritorna a noi, tanti anni dopo, al tramonto, nelle pagine di un libro scritto da un tedesco, mentre il nostro treno sfiora il luogo dove quei fatti si svolsero.