L'intervento in anteprima
Formare i professionisti della cultura, anche da qui passa l'innovazione dell'Italia
Non si tratta del mero trasferimento di conoscenze tra “chi sa” e “chi impara”. Ma di un lavoro ben più complesso che porti alla costruzione di modelli formativi basati su pratiche condivise, per attivare lo scambio, l’ibridazione e la trasversalità delle discipline. Ci scrive la direttrice della Fondazione scuola dei beni e delle attività culturali
Innovazione, sfide del digitale, competenze. Ma anche nuovi modelli di gestione della cultura, fondi europei, partecipazione. E ancora: accessibilità, cambiamento climatico, sostenibilità. Sono temi che, per chi opera nel sistema dei beni culturali, rivestono un ruolo determinate per rendere effettive ed efficaci le politiche di sviluppo del paese che pongono al centro la cultura.
Ne parliamo nei dibattiti, ne leggiamo nelle dichiarazioni pubbliche e nelle relazioni scientifiche: idee, visioni, prospettive di enorme potenziale, in un contesto – quello del patrimonio culturale – in profonda trasformazione, inserito a sua volta in una società fin troppo rapida, in pieno mutamento, travolta dalle novità e dalle immagini di futuro. Idee e visioni che dovranno accompagnare gli oltre 800 mila professionisti della cultura che, a vario titolo e ai vari livelli, operano nel nostro paese. Idee e visioni che dovranno fare i conti con le aspettative degli 80 mila giovani che ogni anno escono dai percorsi universitari di settore, con gli uffici e le istituzioni che amministrano il nostro straordinario patrimonio nonché con i lavoratori che gestiscono musei, teatri e molto altro.
Da un lato, dunque, le visioni, e dall’altro le persone. Al centro la necessità di intervenire per avvicinare le grandi strategie alle persone e, queste ultime, ai possibili scenari che si andranno a delineare nel prossimo futuro. Una scelta doverosa, per chi opera in questo settore, volta a colmare un divario che, senza un intervento, rischia di ampliarsi molto velocemente, tanto da non poter mai più essere ricucito. Il rischio è quello di sterilizzare ogni possibilità di cambiamento e di lasciare indietro il necessario – e non più rinviabile – impegno operativo e concreto per l’innovazione culturale. Ecco perché il nostro lavoro, il lavoro di una Scuola per i professionisti del patrimonio culturale, di matrice pubblica e di visione istituzionale, è oltre che appassionante, di enorme responsabilità.
Non sono solo i numeri che ho appena citato a testimoniarlo – numeri che rendono il “problema” un “grande problema” – ma il tipo e la molteplicità di fattori sui quali bisogna intervenire per colmare questo gap: delicati e quanto mai necessari. Non si tratta infatti del mero trasferimento di conoscenze tra “chi sa” e “chi impara”. Ma di un lavoro ben più complesso che porti alla costruzione di modelli formativi basati su pratiche condivise, per attivare la collaborazione e lo scambio, l’ibridazione e la trasversalità delle discipline e delle azioni, la creazione di relazioni tra operatori per allenare le capacità e le soft skill.
La formazione, che in questo contesto occupa un ruolo di primo piano, deve allora essere progettata in base a specifiche caratteristiche e qualità, per attivare connessioni tra professionisti, nonché resa operativa attraverso pratiche comuni e univoche finalizzate a creare un linguaggio condiviso fra i professionisti del settore (funzionari pubblici, liberi professionisti, operatori privati) basato sullo scambio di idee e approcci anche a livello internazionale. Senza dimenticare gli strumenti: dall’approccio frontale a quello orizzontale e collaborativo, dando spazio a laboratori, lavori di gruppo, simulazioni e classi miste; dagli insegnamenti teorici all’utilizzo di casi di studio per un apprendimento induttivo; fino all’utilizzo della multimedialità, con prodotti di e-learning che sappiano ingaggiare, incuriosire e, perché no, divertire. Un’altra parola mi preme sottolineare in questo vocabolario dedicato alle competenze dei professionisti del patrimonio ed è “trasversale”.
Una modalità di operare volta a stimolare visioni d’insieme e connessioni tra saperi e discipline. È questa la filosofia di fondo che, a oggi, riteniamo imprescindibile e che Fondazione scuola dei beni e delle attività culturali pone al centro della sua azione e dei suoi progetti.
Alessandra Vittorini
Questo articolo anticipa il tema dell’intervento che Alessandra Vittorini, direttore della Fondazione scuola dei beni e delle attività culturali, terrà a LuBeC-Lucca Beni Culturali (XVIII edizione, 6-7 ottobre, Real Collegio di Lucca)