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La bellezza dell'Italia, paese infelicissimo che trasmette solo felicità

Alfonso Berardinelli

Leggendo "La grande incantatrice" di Attilio Brilli, riscopriamo e riviviamo la fascinazione dalla quale sono stati colpiti nel corso del tempo (soprattutto dal Settecento in poi) i più illustri e attenti visitatori stranieri che si recavano nella nostro penisola

Quando penso alla nostra Italia, alla sua storia, alla sua società, al suo ambiente naturale e alla sua straordinaria consistenza artistico-monumentale… ogni volta che ci penso dopo aver cercato di non pensarci, più che essere fiero (di che cosa? che meriti ho?) mi commuovo. Paese felice e che trasmette felicità, il nostro paese (basterebbero Raffaello, Giorgione, Vivaldi…). E paese politicamente infelicissimo (ce ne sono altri anche in Europa: la Germania, la Russia).

 

 

 La felicità però si trasmette soprattutto agli stranieri, ai viaggiatori. L’infelicità politica invece è tutta nostra, ce la sentiamo addosso. E’ una cosa che creiamo noi con le nostre mani, dopo secoli di dominazioni straniere e dopo un disastroso Novecento. Eppure, questa infelicità, benché creata da noi, non ci appartiene “per natura”. La buona politica nasce infatti dal realismo, da una solida, equilibrata visione e previsione della realtà. Ma la realtà non ci piace, la mascheriamo, non vogliamo affrontarla perché affrontarla vorrebbe dire averla sempre in mente, rinunciando ai piaceri della spensieratezza, dello scherzo, del buonumore, del goderci “la bella giornata”. Certe locuzioni proverbialmente italiane parlano chiaro: bella giornata, bella figura, dolce vita… fino a quella sontuosa patacca cinematografica da esportazione che è stata “la grande bellezza” firmata Sorrentino

Scrivo queste righe contento di aver ricevuto il libro di Attilio Brilli La grande incantatrice. Il fascino dell’Italia per i viaggiatori di ogni tempo (Utet, 293 pp., 28 euro). Contento ma con l’invidia che ho per coloro che in Italia non ci sono nati e che la scoprono, ne godono, ne ricevono incantati il dono delle sue meraviglie e nient’altro. La prima parte del libro è intitolata “Il primato della bellezza”. Sembrerebbe un intoccabile privilegio, la bellezza italiana, ma l’autore segnala subito che quella bellezza finisce “per essere considerata con una relativa noncuranza destinata, prima o poi, a lasciare campo libero a interventi di ogni genere, spesso deleteri se non devastanti”. Del resto “i primi a rendersi conto del pericolo di questa colpevole trascuratezza sono stati i viaggiatori stranieri di ieri e dell’altro ieri”, a cominciare da Montaigne. Conviviamo con la bellezza ignorandola: e dalla nostra distrazione nasce poi l’incuria dello stato e degli uffici amministrativi. L’attrattiva del libro di Brilli è che aiuta chi lo legge a rivivere la fascinazione dalla quale sono stati colpiti nel corso del tempo, soprattutto dal Settecento in poi, i più illustri e attenti visitatori stranieri, tra cui Byron, Dickens, Henry James, Edith Wharton. E’ l’Italia natura e storia nel suo insieme, luogo in cui l’ideale sembra sempre diventare reale, a magnetizzare i viaggiatori. Ma dopo i luoghi, ognuno con il suo genius, ci sono le tante opere d’arte singole. Di fronte a loro, ognuno a suo modo, sembra che abbiano vissuto l’esperienza di trascendere i limiti dell’umano, dello spazio e del tempo comunemente percepiti.

Tra queste singole opere, un vero e proprio primato appartiene all’Apollo del Belvedere, nel cortile del museo Pio Clementino in Vaticano. Considerato da molti l’esempio supremo della statuaria greca, nonché modello perfetto, perché divino, di bellezza maschile, le sue misure corporee meritavano di essere calcolate e canonizzate. Fu anzitutto Winckelmann, fondatore nel Settecento dell’archeologia moderna e teorico dell’ideale neoclassico, a vedere in quella statua, scrive Brilli, “l’icona assoluta dell’arte antica” e la raffigurazione del “più bello degli dèi”.  Nell’epoca del Grand Tour la visione di quell’Apollo fu l’incontro rivelatore per eccellenza. Del resto i viaggi in Italia erano anche viaggi nel cuore delle culture mediterranee, due millenni di stratificazioni storiche. Lo stesso Winckelmann studiò l’arte greca basandosi su copie romane viste in Italia. Anche Goethe considerò l’Apollo del Belvedere la statua perfetta e l’espressione più suggestiva del divino secondo i greci: disse di aver sentito, di fronte a quella statua, un’energia così intensa da superare la stessa percezione sensoriale. Ma nacque anche la diceria secondo cui molte donne, soprattutto le più virtuose, persero in Italia ogni inibizione erotica dopo aver visto l’Apollo del Belvedere. 

Analoghi effetti provocò il nudo della Venere dei Medici agli Uffizi, copia greca da un originale di Prassitele. Il marchese de Sade ne fu entusiasta ed esaltò “le incantevoli rotondità del seno e delle natiche”. Mentre il saggista inglese Hazlitt, noto per il suo carattere asciutto e combattivo, scrisse: “assomiglia un po’ troppo a una bambola di marmo (…) è un bellissimo giocattolo, ma non è la dea dell’Amore o della Bellezza”. Non c’entra niente con il libro di Brilli, ma questa idea della statua-giocattolo mi ricorda una pagina di Aleksandr Herzen, il grande scrittore politico russo amico dei nostri patrioti risorgimentali: “tutto ciò che è particolarmente squisito e grandioso in Italia (e forse dovunque) confina con l’insensato e con l’assurdo, o comunque fa pensare all’infanzia. La piazza della Signoria è la stanza dei bambini del popolo fiorentino; il nonnino Buonarroti e lo zietto Cellini gli hanno regalato dei giocattoli di marmo e di bronzo, e il popolo li ha messi sulla piazza dove tante volte fu sparso il sangue e si decise il suo destino, senza il benché minimo rapporto col Davide e col Perseo”. Non c’è male come immagine del rapporto che c’è stato nella storia italiana fra le bellezze, i tesori artistici e i nostri fallimenti politici. Non è vero che la bellezza salverà il mondo. Meglio un po’ più di umanità e di buon senso.