Aveva ragione Nietzsche: niente di ciò che è umano è estraneo a Dio
La conoscenza, la bellezza, la giustizia, l’amicizia, l’amore: tutto rimanda a lui. Ma non riusciremo mai a liberarcene finché useremo la grammatica. La questione che continua a porsi anche nella nostra epoca
Da che mondo è mondo le strade che portano gli uomini a Dio sono sempre state le più diverse; diciamo pure che il “cortile dei gentili” è sempre stato popolato di tanti tipi umani. Senza contare l’abitudine, ci sono uomini che arrivano a Dio passando attraverso la bellezza e l’ordine della natura, altri attraverso la verità della scienza, altri ancora attraverso il bene o il bisogno di giustizia e di amore in un mondo segnato dal male e dall’angoscia. Per queste stesse strade gli uomini hanno anche cercato di allontanarsi da Dio. La vicenda storica dell’Illuminismo, per fare un esempio, esprime certamente anche il tentativo di pensare la verità, la bellezza, il bene, la giustizia e tutto il resto “come se Dio non ci fosse”. Ma forse soltanto le grandi tragedie del XX secolo, le guerre e i totalitarismi, soltanto le odierne sfide della bioetica, della biopolitica, dei big data e dell’intelligenza artificiale ci fanno toccare con mano il pericolo insito nel cosiddetto “ateismo moderno” e nelle sue varianti postmoderne.
Quello dei secoli passati era un ateismo che seguiva più o meno la stessa via del teismo; l’uno e l’altro condividevano in gran parte una medesima idea di ragione e di verità; era pur sempre in nome della ragione, di una ragione forse troppo ristretta e addirittura aggressiva nei confronti della fede cristiana, ma ritenuta comunque capace di esprimere la verità delle cose, che ci si dichiarava atei. Iperbolizzando un po’, potremmo dire che oggi molti rappresentanti dell’Illuminismo sette-ottocentesco potrebbero stare benissimo in un ipotetico “cortile dei Gentili”. Più difficile è invece pensare che possano starci certi rappresentanti della cultura contemporanea.
A questo proposito, non penso tanto ai molti film e libri atei militanti spesso semplicemente beceri e superficiali. Penso piuttosto a quel modo di pensare e sentire, sempre più diffuso tra i ceti colti del nostro occidente, per il quale diventa motivo di vanto accantonare le grandi questioni della verità, del senso della vita, dell’amore, del nostro destino e di Dio, ripiegando nel torpore di una totale, indifferente e spesso divertita anziché tragica insensatezza. È questa cultura che mette seriamente in discussione la questione di Dio (e dell’uomo). Per non dire poi della tragedia culturale che si consuma nel momento in cui il torpore di noi occidentali si incontra e si scontra con il fanatismo di chi, in nome di Dio, vorrebbe incendiare il mondo e gli infedeli. A tal proposito parlano chiaro non soltanto molti ayatollah sparsi un po’ in tutto il pianeta, ma anche le uscite del Patriarca ortodosso di Mosca sulla guerra in Ucraina. L’occidente decadente e degradato offende Dio e va annientato. Punto. E a poco servono le parole di Papa Benedetto XVI, secondo le quali “la violenza è contraria alla natura di Dio”.
Eppure, nonostante che Dio sembri non suscitare più alcun interesse, quasi che nella nostra cultura siano venute meno le condizioni della sua visibilità, o che vanga addirittura travisato come un Dio che incita alla guerra, la questione di Dio continua a porsi. Perché? Io credo che sia semplicemente perché, come si legge in qualche ponte sull’autostrada, Dio c’è, e perché tutto ciò che esiste, lo si riconosca o meno, parla di lui, rimanda a lui, a cominciare dall’uomo e la sua inquietudine, il suo continuo essere “oltre”, un’insoddisfazione che soltanto Dio è in grado di placare. La mia anima è inquieta finché non riposa in te, diceva Agostino.
Sappiamo bene che oggi non è facile parlare di Dio o avere fede in lui. E’ altrettanto vero però che, al di là della fede, e nei modi spesso più impensabili, Dio continua a imporre la sua presenza. E questo è un aspetto importante. Non possiamo certo trascurare come l’opera di desertificazione che è stata portata avanti in questi anni abbia cambiato profondamente lo scenario nel quale è possibile sentire e far sentire che Dio è ancora presente nella storia. Se però ci pensiamo bene, ovunque c’è l’uomo, c’è anche Dio. E’ nella umana quotidianità che bisogna sforzarsi di trovarlo, non fuggendo da essa. E questo bisogna farlo anche se Dio sembra non parlare più, anche se le sue parole sembrano essere diventate impraticabili. Il grande vuoto del nostro tempo va guardato senza farsi troppo confondere dai pensieri stracchi e ammortiti di coloro che giocano col nulla, perché sono incapaci di sentirne il morso devastante sulla propria pelle. Costoro sono soltanto dei nichilisti divertiti. Abbiamo bisogno invece di uomini che sappiano sentire e trasfigurare il dolore che si sprigiona da quel vuoto, mostrandoci la bellezza del mondo, nonostante il male e le brutture che lo segnano; abbiamo bisogno di uomini che, nonostante le menzogne, sentano ancora forte la passione per la verità, che non rinuncino mai alla realtà come vero banco di prova dei loro pensieri e delle loro azioni; per farla breve, abbiamo bisogno di essere fedeli alla nostra natura eccentrica, come direbbe Plessner, che è solo un altro modo di dire il nostro essere proiettati sempre “oltre”, diciamo pure, la nostra ineludibile “inquietudine”. Come aveva intuito Nietzsche con la consueta, terribile e penetrante lucidità, niente di ciò che è umano è estraneo a Dio. La conoscenza, la bellezza, la giustizia, l’amicizia, l’amore, addirittura la grammatica: tutto rimanda a lui. Non riusciremo mai a liberarci di Dio finché useremo la grammatica.