Tra le biciclette di Pier Paolo Pasolini
C’era mica solo il calcio nella vita dello scrittore e giornalista, c’erano tante biciclette, quelle pedalate, osservate, sognate. Domenica a Roma quelle bici saranno raccontate, lette e musicate
“Pedalava sempre contro vento”, il problema era che “più il vento s’inspessiva, più lui trovava piacere. E il piacere ogni tanto distrae”. Sapeva cosa diceva Indro Montanelli mentre diceva questo, lo sapeva perché in bicicletta c’aveva pedalato, avevano pedalato tutti in quegli anni, perché aveva seguito il Giro d’Italia e perché con Pier Paolo Pasolini ci parlava, anche di ciclismo. Era Pier Paolo Pasolini a pedalare sempre contro vento, lui ogni tanto a distrarsi nel piacere di farlo.
C’era mica solo il calcio nella vita dello scrittore e giornalista, c’erano tante biciclette, quelle pedalate, osservate, sognate. Come quella Bianchi, che fu di Fausto Coppi, e che Pier Paolo Pasolini “cercò in ogni modo di acquistare, ma io non cedetti, me la sono tenuta, me la porto nella tomba la bicicletta di Fausto Coppi”, disse nel 2018 mentre chi scrive era alla ricerca di storie per un libro sul centenario dell’Airone. Giano aveva fatto bottega in una ciclofficina all’Esquilino, poi aveva imparato il mestiere da Lazzeretti in via Bergamo, infine, dopo qualche mese a scuola da Peppino Draghi, s’era messo in proprio. Nella tomba non c’è entrata quella bicicletta che Giano diceva fosse appartenuta a Fausto Coppi, eppure l’aveva messo nelle sue volontà testamentali. Chissà dov’è ora quella bicicletta che Pier Paolo Pasolini avrebbe tanto voluto avere.
Perché c’è un filo a pedali che segue, silenzioso come solo una bicicletta sa essere, l’ombra di Pier Paolo Pasolini. Anche ora a cent’anni, passati, dalla sua nascita. Un filo che verrà ripercorso domenica 6 novembre 2022 alle 12,30 in “Pasolini in bicicletta” a Roma al Centro bocciofilo di via Giuseppe Barellai 60/B, organizzato dall’associazione culturale Ti con Zero. Un Pasolini pedalante e pedalato dai racconti di Marco Pastonesi, dalle letture di Gabriele Benedetti (in italiano e friulano), musicato dall’organetto di Alessandro D’Alessandro. Un tour letterario tra quelle terre che sapevano di pedali e gomme di “Il sogno di una cosa”, “Un paese di temporali e di primule”, a cura di Nico Naldini e dalla raccolta di poesie in friulano “La nuova Gioventù”.
Biciclette che sono formazione letteraria perché “iniziai a scrivere per soddisfare il mio infinito bisogno di raccontarmi storie. Tutte quelle che avevo in testa. Poi è arrivato il ciclismo che è una specie di romanzo a puntate con centomila personaggi tutti diversi. I tifosi, i ciclisti. Un romanzo corale, di quelli che non vorresti mai finire di leggere”, scrisse.
Bicilette che sono romanzo di vita, quella vista a bordo strada, letta nei giornali, quella che “venire qui mi piaceva perché il ciclismo è uno sport che amo moltissimo e lo amo da quando ero ragazzino. Non so, per esempio lei sa chi era Canavesi?”, disse Pasolini a Vittorio Adorni al Processo alla tappa al Giro d’Italia del 1969. Oppure pedalata come in quell’estate del 1940, a diciotto anni. Partenza da Bologna, prima tappa a Venezia per la Biennale in compagnia dell’amico Ermes detto il Paria: 135 chilometri. Poi da Venezia a San Vito di Cadore per le vacanze estive: 140 chilometri. Infine dalla montagna fino a Casarsa della Delizia, nel suo Friuli: 130 chilometri. O quando si mise in scia a Egidio Feruglio e Giodano Cottur, corridori della Wilier, e non lasciò la loro ruota per chilometri e chilometri, per poi scoppiare.
C'è niente di meglio della bicicletta per immaginare storie. È la bicicletta stessa una grande storia.