facce dispari
Massimo Maiocchi: “Studiare il sumerico rende più felici”
"Il sumerico è una lingua zombie. Grazie alla quantità di fonti scritte non può morire, a differenza di altri idiomi perduti per scarsità di testi". Intervista al docente di Storia del vicino oriente antico a Ca’ Foscari
“Hay gente pa tó!” commentò con l’impopolare saggezza dei toreri Rafael el Gallo, detto il divino calvo, quando gli presentarono a una festa Ortega y Gasset e seppe che di lavoro faceva il filosofo. L’esclamazione riaffiora alle labbra conoscendo Massimo Maiocchi, veneziano, classe ’75, docente di Storia del vicino oriente antico a Ca’ Foscari, mentre ti spiega che è uno studioso di lingua sumerica; per la precisione, quella del terzo millennio avanti Cristo; che in fondo, dice, non è una lingua morta; e alla fin fine, aggiunge, può costituire una missione di vita.
C’è veramente gente di ogni tipo, ma come accade di appassionarsi al sumerico?
Nel mio caso accadde all’università con l’interesse per il vicino oriente antico, quando scoprii che a differenza del mondo classico presenta una mole immensa di documenti ancora da esplorare. E che la conoscenza delle sue civiltà presume un accesso diretto alle fonti scritte senza il filtro degli storici. Non esiste un Erodoto della Mesopotamia. È una fantastica avventura intellettuale, tanto vasta che è necessario scegliere una specializzazione.
Qual è la sua?
Il sumerico del terzo millennio avanti Cristo. Mi sono occupato soprattutto delle iscrizioni reali.
È una strada impervia?
Per due motivi: la scrittura cuneiforme e il fatto che il sumerico non è parente di altri idiomi conosciuti. È una lingua isolata: la comprendiamo solo grazie all’esistenza di testi bilingui in accadico, che è apparentato alle lingue semitiche moderne e di cui si capiscono bene le radici delle parole, al di là dei notevoli mutamenti nel corso dei secoli.
A quando risalgono le prime tracce del sumerico?
I documenti arcaici sono del tremila avanti Cristo, anche se il primo lotto di scritture cuneiformi è di trecento anni anteriore e si ignora in quale lingua fosse espresso. Resta oggetto di dibattito accademico.
Affascina pensare che nell’età del metaverso e delle criptovalute ci sia chi si accalora sulle datazioni sumere.
Credo sia una missione della vita esplorare un patrimonio culturale che, perdonate se filosofeggio, può aiutarci a capire meglio il senso della nostra presenza sulla Terra e a spiegare come siamo arrivati fin qui. Si tratta certo di interessi meno monetizzabili di altri, proprio come avviene per molte tra le più belle cose espresse dall’umanità nell’arte e in letteratura.
Chi s’avvicina al sumerico?
C’è chi lo scopre giungendo a ritroso al vicino oriente antico dagli studi biblici; chi ci arriva dalla linguistica comparata; chi, come me, da un interesse storico. Soprattutto, c’è chi continua questo studio anche qualora costretto dalla vita a occuparsi di tutt’altro.
E non è una lingua morta.
Scherzosamente direi che il sumerico è una lingua zombie. Grazie alla quantità di fonti scritte non può morire, a differenza di altri idiomi perduti per scarsità di testi. Quando faccio divulgazione nelle scuole, insegno agli studenti qualche rudimento di cuneiforme e loro riescono a copiare sull’argilla brevi estratti di migliaia di anni fa.
Quando si smise di parlare sumerico?
Già all’inizio del secondo millennio avanti Cristo, ma si salvò seguendo un percorso simile a quello del latino ecclesiastico. Sopravvisse come lingua di culto.
Oggi lo possiamo pronunciare com’era?
I suoi fonemi sono stati ricostruiti in base alla ricezione dei parlanti accadici. Resta qualche incertezza, ma ho la sensazione che se una macchina del tempo ci trasferisse nell’Iraq di allora capiremmo bene cosa dicono, forse meglio di quanto potremmo farci capire. Riguardo alla struttura, però, suol dirsi che due studiosi di sumerico scrivono tre grammatiche diverse. Non ce n’è una condivisa, su molti aspetti si discute ancora e tuttavia sono ottimista: il patrimonio della scrittura cuneiforme è stimato in circa mezzo milione di documenti e ce n’è un altro mezzo milione imballato tra archivi e musei, completamente da studiare. Più eventuali scoperte: sul vicino oriente antico se ne contano ogni anno, a differenza del mondo classico che non riserva più grosse sorprese salvo il ritrovamento occasionale di qualche frammento.
Ora sta lavorando a un dizionario sumerico per l’Ismeo, l’Associazione internazionale di Studi sul Mediterraneo e l’Oriente.
L’opera colmerà un vuoto, perché non esistono dizionari di sumerico in lingua italiana. Sono convinto che il bacino potenziale di nuovi cultori sia enorme: quando ho tenuto qualche corso online sulla scrittura comparativa, la risposta è stata entusiastica.
Quale approccio consiglia alle lingue mesopotamiche?
L’accadico è più semplice, almeno quello del Codice di Hammurabi che è formulato in modo molto chiaro. Riguardo al cuneiforme capisco che può sgomentare con un repertorio di circa novecento segni, ma è un sistema che si è evoluto nel tempo rincorrendo le lingue parlate, che si modificavano più rapidamente. Per esempio il paleoassiro con cinquanta segni consentiva di scrivere tutto. Lo inventarono i commercianti e le loro bellissime lettere parlano di transazioni e tentativi di far soldi in modi leciti o illegali, promuovendo operazioni di contrabbando sui mercati turchi. A me, storico e figlio di una città di mercanti, queste letture procurano autentica felicità. Altro che lingue morte: è attualità fra i millenni.