il colloquio
"Le parole di Meloni sull'immigrazione sono pericolose". Intervista ai fratelli Dardenne
Jean-Pierre e Luc Dardenne tornano nelle sale con Tori e Loretta, che racconta la storia di due migranti in viaggio verso l'Europa. "Il nostro è un film di denuncia su cosa stanno diventando Italia, Francia e gli altri paesi del continente"
Da una decina d’anni, i registi belgi Jean-Pierre e Luc Dardenne avevano in mente di scrivere una sceneggiatura sui giovani migranti e le loro madri. “Eravamo sul punto di farlo - spiega al Foglio Jean-Pierre, il più grande dei due, tra una portata e l’altra in un ristorante della Capitale – poi però ci siamo messi a fare altri film. L’idea è rimasta sempre molto forte e abbiamo sentito il bisogno di riprendere in mano quella storia dopo aver letto tutta una serie di articoli su diversi casi di giovanissimi immigrati arrivati in Europa senza le loro famiglie. È la prima volta che un minore se va dalla sua famiglia per scelta, così lontano e da solo, sperando di trovare un lavoro, una vita migliore. Molti, però, finiscono in mano alla criminalità organizzata, o, comunque, di persone senza scrupoli, scomparendo per vari motivi: droga, sesso, traffico di organi e molto altro ancora”. “Ci siamo chiesti – aggiunge Luc - come fosse possibile che queste persone divenissero invisibili. Siamo rimasti sconvolti e tutto ciò ha fatto nascere in noi il desiderio di riprendere in mano quel film che nasce proprio per sopperire a questa necessità”.
Si intitola Tori e Loretta, esce in Italia il 24 novembre prossimo per Lucky Red ed è il 12esimo scritto e diretto dai fratelli più conosciuti ed amati del cinema francese, già vincitore del Premio Speciale per il 75esimo anniversario del Festival di Cannes dove i due hanno vinto due volte la Palma d'oro per Rosetta (nel 1999) e per Il figlio (nel 2005). La storia è in parte cambiata, ma è rimasto il nome di Lokita - un’adolescente di 16 anni che in Camerun ha una madre e cinque fratelli che aspettano da lei i soldi per andare a scuola – e Tori - un dodicenne molto sveglio e intelligente, fuggito dal Benin dove credevano fosse il figlio di una strega. Ad interpretarli, i giovanissimi e talentuosi Pablo Schils e Joely Mbundu. I due sono diventati ‘fratelli’ quando si sono conosciuti in Sicilia dove sono sbarcati, ma per il governo francese, che ha fornito a lui i documenti da rifugiato e a lei no, quel legame non vuol dire nulla. Per questo motivo, ogni sera, nel centro di accoglienza si preparano all’intervista che dovranno sostenere con i servizi sociali, con gli impiegati che devono decidere del loro destino, alla continua ricerca di quei "papiers" per una nuova vita.
“Abbiamo voluto raccontare la storia di un’amicizia, un’amicizia speciale – aggiungono i registi, alternandosi nel prender parola – che è poi alla base di ogni storia di immigrazione. C’è la disperazione, la voglia di scappare per migliorare una propria condizione e la necessità di trovare e instaurare un’amicizia con chi è come te in situazioni così fragili e fragili. Senza, l’immigrazione stessa è impossibile, perché chi vi è coinvolto cerca sempre un contatto e un affetto di qualcuno. L’amicizia permette di superare certi ostacoli e di trovare, in senso lato, anche una certa serenità e piacere, perché essa è un territorio che non può essere corrotto. Ad aiutare ad esprimere ancora di più questo concetto nel film, ci pensa la musica, in particolar Alla fiera dell'Est di Branduardi, che i due ragazzini hanno imparato da una signora siciliana una volta sbarcati in Italia e che cantano al karaoke della pizzeria dove lavorano in nero”.
“Quando si parla di immigrazione, dunque, occorre fare molto attenzione, perché la faccenda è molto delicata”, aggiunge Jean-Pierre. “Non sono, quindi, d’accordo con le affermazioni del vostro nuovo Presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, che ha confermato la sua linea dura in proposito. Quando dice che negli ultimi anni abbiamo assistito a una gestione inadeguata del fenomeno e che lo stesso ha prodotto grandi ed evidenti disagi, come gli hotspot al collasso, gli sbarchi aumentati e le Forze dell’ordine allo stremo, arrivando a ‘un crescente clima di insicurezza generale’, non si rende conto di quello che dice. A mio parere, bisognerebbe riflettere meglio. Certo, questo caos totale che c’è va risolto, ma non bisogna utilizzare il proprio potere politico per incantare i propri elettori in tal modo”.
“Quello che ha affermato in qualità di rappresentante di un governo, è da irresponsabili ed è molto pericoloso”, continua Luc. “Le parole hanno il loro peso e bisogna saperle utilizzare, soprattutto in certi casi. Il potere fa considerare quelle persone come oggetti senza valore, ma non è così. Le parole iniziano con le parole e poi finiscono con gli atti, violenti o inefficienti nella maggior parte dei casi, facendoli così morire di fame. Il periodo storico è diverso, lo sappiamo bene, ma certe affermazioni ci fanno tornare alla mente, e non solo a noi, quelle della Germania di non troppi anni fa, quando in maniera silente si è assistito - attraverso proprio l’ascolto delle parole – alla de-valorizzazione degli esseri umani. È la prima volta che in Europa un presidente del Consiglio dice cose così gravi”.
Con i loro film, invece, i fratelli Dardenne hanno cercato sempre di raccontare storie di persone che la società non vuole vedere per molteplici ragioni, “le abbiamo messe al centro”, ci ripetono più volte. È successo 23 anni fa con Rosetta - che raccontava la storia di un'altra sedicenne, divisa tra l'alcolismo della madre, un lavoro precario e una vita in roulotte nella periferia di Liegi – e succede adesso con Tori e Lokita (splendido il poster italiano illustrato da Manuele Fior, nelle librerie con Hypericon, Coconino press), facendoli diventare così – come spiegano – “degli esseri esseri umani unici, usciti dal destino mediatico di questi giovani migranti che vengono chiamati Mena, 'les mineurs étrangers non accompagnés' (minori stranieri non accompagnati, ndr) per sfuggire all'illustrazione di un caso, di una situazione, di un tema, di un argomento”. “La loro situazione di adolescenti esiliati, soli, sfruttati e umiliati prende senso proprio dalla loro relazione, che si è rafforzata combattendo questa situazione e di punto in bianco, anche il nostro film è diventato così un film per denunciare questa situazione violenta e ingiusta vissuta dai giovani in esilio nel nostro Paese, in Europa. Vogliamo raccontare come va il mondo d’oggi e come funziona la nostra società, facendo riflettere invece su come dovrebbe essere. Qualcuno, ne siamo sicuri, ci ascolterà”.
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