un apripista della pittura di genere
Santi e furfanti, animali e demoni: la vita quotidiana dipinta da Bosch
“Un altro rinascimento” è la mostra a Palazzo Reale di Milano che ospita le opere del pittore, diventato celebre per i mostri che popolano i suoi quadri
Un vagabondo con le scarpe spaiate, smunto, con lo sguardo incerto rivolto all’indietro sembra lasciare miseria e desolazione. È il simbolo dell’uomo nel suo percorso di vita, una sorta di “Everyman”, un racconto morale popolare della fine del XV secolo. Rappresenta l’“homo viator”, il pellegrino che attraversa la vita appesantito dal bagaglio della sua esistenza terrena. Affronta la sua sorte lungo un cammino pieno di tentazioni. Sembra che lo attenda un avvenire florido, sempre se riuscirà a proseguire senza troppi indugi.
Cambiamo scena. In un vasto paesaggio costellato di scene straordinarie (un uomo intento a impiccare un orso dopo averlo trafitto con la sua freccia, un altro, nudo, scappa inseguito da un cigno, un enorme pesce cerca di saltare oltre le mura di cinta di un castello…), il gigante pagano Reprobus trasporta un bambino attraverso un fiume. Durante la traversata il bambino diventa insopportabilmente pesante. È Gesù, che porta il peso dei peccati del mondo. Egli battezza il gigante Cristoforo (portatore di Cristo) che diventa il patrono dei viaggiatori.
E poi altrove, un barbone con un cesto sulle spalle sta per salire su un ponticello traballante. Tenta con un bastone di tenere distante un magro cane dai denti spaventosi. Dietro di lui, un uomo è legato a un albero, vittima di tre rapinatori in procinto di prendere i suoi beni. Apparentemente ignari della rapina, un pastore e una pastorella ballano in mezzo alle loro pecore al suono di una zampogna. In lontananza si è radunata una folla intorno a una forca.
Due pannelli, due scene. Quello di sinistra mostra una città in fiamme, il tutto brulica di figure diaboliche. Il pannello di destra raffigura il naufragio dell’Arca dove Noè e la sua famiglia sono sul ponte mentre le coppie di animali sbarcano attraverso una botola nella desolazione successiva al diluvio.
In tre medaglioni, vere e proprie visioni, ecco i diavoli attaccare e terrorizzare una fattoria. Il bestiame morto giace davanti alla casa. Una donna elegantemente vestita alza le mani al cielo e spicca il volo, mentre un uomo si inginocchia per pregare. Un diavolo si impossessa del raccolto del contadino mentre i demoni tirano fuori un uomo dalla casa per fustigarlo. Nel quarto medaglione, infine, Cristo porta la salvezza.
Scene che sembrano essere state prese dalla vita di tutti i giorni, arricchite da sogni o incubi dalla funzione allegorica. Il risultato è un costruito simbolico che usando un’immagine apparentemente veritiera del tardo Medioevo si fa ancora più pregnante nella coscienza di chi legge queste immagini. Leggere più che contemplare perché data la loro ricchezza e complessità scenica, le opere di Bosch si offrono a una lettura più che a una semplice visione. Ognuno, seguendo le immagini, crea la sua letteratura dove il profano è collegato in modo naturale al cristiano. Questa miscela di quotidiano e soprannaturale mostra fino a che punto l’artista si possa dire vicino al nostro attuale linguaggio visivo, modellato da un flusso costante di filmati (storie) e immagini (visioni).
Bosch, il grande pioniere della rappresentazione del quotidiano, nacque probabilmente intorno al 1450 da una famiglia di artisti: il suo bisnonno, il nonno, il padre e gli zii erano tutti pittori. Si chiamavano Van Aachen, dal nome della città di provenienza della famiglia. Solo Jheronimus portava il cognome Bosch, dalla sua città natale, ’s-Hertogenbosch. Forse si fece chiamare così per far capire alla sua clientela, la maggior parte della quale si trovava fuori dal comune, dove viveva. Dove si può trovare Bosch? A ’s-Hertogenbosch.
L’opera di Bosch (sono rimasti una ventina di dipinti) è animata da scene bibliche e scene di vita quotidiana, santi e furfanti, animali e demoni. È diventato celebre per i mostri che popolano in varie forme i suoi dipinti. Associato un po’ pigramente all’aggettivo passeparout “surreale”, in realtà le sue associazioni e riferimenti seguono un metodo e una direzione precisa, tesa non a stupire o fantasticare ma a insegnare, mostrando il senso delle cose ma voler andare oltre questo apprendimento. Più che un surrealista quindi, un apripista della pittura di genere.
“Bosch e un altro Rinascimento” è il titolo della mostra allestita a Palazzo Reale, a Milano. Inaugurata mercoledì scorso, sarà aperta al pubblico fino al 12 marzo.