Benedetto Croce (Olycom)

Il cristianesimo, la libertà, l'antifascismo. L'attualità di Benedetto Croce a 70 anni dalla morte

Giuseppe Bedeschi

Il 20 novembre cade l'anniversario della morte del filosofo: una occasione per ribadire la forza del suo pensiero, e per farlo conoscere alle giovani generazioni

Nel 1942, quando il nazifascismo stava conducendo una guerra mostruosa per asservire i popoli europei e per sterminare milioni di esseri umani appartenenti a “razze inferiori”, il più grande filosofo italiano, Benedetto Croce, pubblicò sulla sua rivista “La critica” un saggio stupendo, che recava il titolo: Perché non possiamo non dirci cristiani. “Il cristianesimo – egli scrisse – è stato la più grande rivoluzione che l’umanità abbia mai compiuta: così grande, così comprensiva e profonda, così feconda di conseguenze, così inaspettata e irresistibile nel suo attuarsi, che non meraviglia che sia apparsa o possa ancora apparire un miracolo, una rivoluzione dall’alto, un diretto intervento di Dio nelle cose umane, che da lui hanno ricevuto legge e indirizzo affatto nuovo”. Tutte le altre rivoluzioni che segnano epoche della storia umana, diceva ancora Croce, non sostengono il suo confronto, parendo rispetto a lei particolari e limitate. “La ragione di ciò è che la rivoluzione cristiana operò nel centro dell’anima, nella coscienza morale, e, conferendo risalto all’intimo e al proprio di tale coscienza, quasi apparve che le acquistasse una nuova virtù, una nuova qualità spirituale, che fin allora era mancata all’umanità”. E ciò perché il suo affetto fu affetto di amore, “amore verso tutti gli uomini, senza distinzione di genti e di classi, di liberi e schiavi, verso tutte le creature, verso il mondo che è opera di Dio e Dio che è Dio d’amore, e non sta distaccato dall’uomo, e verso l’uomo  discende, e nel quale tutti siamo, viviamo e ci moviamo”.
  

Non era certo questa la prima volta che Croce aveva fatto sentire la sua voce contro il fascismo: nel 1925 aveva redatto il Manifesto degli intellettuali antifascisti (pubblicato sul giornale di Giovanni Amendola, “Il mondo”), quale risposta al Manifesto degli intellettuali fascisti, redatto da Giovanni Gentile. Croce aveva definito il manifesto gentiliano “un imparaticcio scolaresco, nel quale in ogni punto si notano confusioni dottrinali e mal filati raziocinamenti”. E soprattutto il filosofo napoletano contestava la pretesa di Gentile di inaugurare una nuova religione, una nuova fede. “Per questa caotica e inafferrabile ‘religione’ – affermava Croce – noi non ci sentiamo di abbandonare la nostra vecchia fede: la fede che da due secoli e mezzo è stata l’anima dell’Italia che risorgeva, dell’Italia moderna; quella fede che si compose di amore alla verità, di aspirazione alla giustizia, di generoso senso umano e civile, di zelo per l’educazione intellettuale e morale, di sollecitudine per la libertà, forza e garanzia di ogni avanzamento”.
 

La libertà: ad essa Croce consacrerà il proprio lavoro con due grandi opere: la Storia d’Italia dal 1871 al 1915 (1928) e la Storia d’Europa nel secolo XIX (1932). Nella Storia d’Italia Croce illustrerà gli enormi progressi (economici, sociali, culturali) realizzati dall’Italia liberale, contro la rappresentazione che ne dava il fascismo come di una “Italietta” imbelle e ingloriosa. Mussolini non fece sequestrare il libro, ma dette ordine ai giornali di vilipenderlo quanto più possibile (La storia senza storia, Una cosa oscena, Come si mistifica la storia, ecc.). Ciò non impedì alla crociana Storia d’Italia di avere tre edizioni nel solo 1928, seguite da altre cinque nel periodo fascista. 
   

Nella Storia d’Europa nel secolo XIX Croce esaltò quella “religione della libertà”, alla quale dedicò il primo, famoso capitolo. Qui egli affermava che “la storia non appariva più deserta di spiritualità e abbandonata a forze cieche, o sorretta e via via raddrizzata da forze estranee, ma si dimostrava opera e attualità dello spirito, e, poiché spirito è libertà, opera della libertà. Tutta opera della libertà, suo unico ed eterno momento positivo, che solo si attua nella sequela delle sue forme e conferisce ad esse significato, e che solo spiega e giustifica l’ufficio adempiuto dal momento negativo della illibertà, con le sue compressioni, oppressioni, reazioni e tirannie, le quali (come altresì avrebbe detto il Vico) paiono ‘traversie’ e sono ‘opportunità’”. Con ciò Croce non intendeva certo dire (come gli è stato rimproverato da più parti) che anche i regimi autoritari, anche le dittature fossero espressioni della libertà; bensì intendeva dire che, anche quando i regimi liberali venivano sconfitti da regimi autoritari e dittatoriali, l’aspirazione alla libertà avrebbe operato dentro questi ultimi e li avrebbe corrosi, e la libertà “ne sarebbe tornata fuori più sapiente e più forte”. Con ciò il filosofo trasmetteva ai suoi lettori un messaggio dettato da profonda passione civile, e cioè che il fascismo prima o poi sarebbe crollato, e che quindi esso sarebbe stato solo una parentesi della nostra storia.
 

Questo messaggio fu colto da eminenti personalità straniere, come il grande storico americano Charles Beard, che, letta la Storia d’Europa, scrisse: “Finché Croce vive, l’Italia vive: la vecchia Italia del Rinascimento e di Mazzini. Benché abbia oltrepassato i sessantacinque anni, Croce cinge la corona dell’eterno mattino sulla sua fronte”.

 
Il 20 novembre cade il 70° anniversario della morte di Benedetto Croce: una occasione per ribadire l’attualità e la forza del suo pensiero, e per farlo conoscere alle giovani generazioni.

Di più su questi argomenti: