In libreria
Aspiranti storici che vorrebbero crescere nelle arene bercianti dei social
Dalla fine della Repubblica di San Marco alla storia degli Stati Uniti, dalla cronologia dell’impero abbaside alle guerre contadine nei territori meridionali del Sacro romano Impero, non c’è ramo del sapere su cui i polemisti storici non riescano ad arrampicarsi. Ne parla la “guida semiseria” di Francesco Filippi
L’arte di avere torto. Alla faccia dell’eristica e di Schopenauer. Ma dopo aver letto “Guida semiseria per aspiranti storici social” di Francesco Filippi (Bollati Boringhieri, 121 pp., 10 euro), parrebbe l’unica attività sensata cui votarsi, soprattutto per noi che siamo immersi fino alle orecchie nel pimpante dopo Cristo disintermediato dell’èra sgorgata “con l’avvento dei social” (considerazione laterale ma mica tanto: perché un editore serio scrive tanto male i paratesti e li colma di “storia che fa capolino”, “il chiacchiericcio della Rete”, “interagire col mondo in cui si vive”?)
Avere ragione in rete significa quasi sempre avere torto, ma vincere, anzi, stravincere, nel pestaggio del Fight club tuittante, nelle echo-chambers degli psicomanichei di Facebook, nel fango citeriore dei forum per lottatori e cosiddetti addetti ai lavori (domenicali quando va bene, in realtà part-time anche la domenica) delle più disparate discipline, materie tanto eterogenee da coprire uno scibile vastissimo, un arco impossibile per gli umani ma possibile per i canguri spensierati della tuttologia, mostri mitologici con la digitazione più percussiva di tutto il regno animale e gli occhi sempre iniettati, che sopravvivono a mollo nel buio psichedelico di certi sottoscala intrisi di benaltrismo: dalla fine della Repubblica di San Marco alla storia degli Stati Uniti, dalla cronologia dell’impero abbaside alle guerre contadine nei territori meridionali del Sacro romano Impero, non c’è ramo del sapere su cui non riescano ad arrampicarsi, volteggiando e passando dall’uno all’altro, di liana in liana, di frasca in frasca, con scioltezza sinoviale e sventata intraprendenza.
Ovviamente per avere successo nei social è necessaria una conoscenza meticolosa non tanto della materia, quando mai, ma di tutte le clave della slealtà dialettica. Si caldeggia, per esempio, l’uso della reductio ad Hitlerum (ne parlò Leo Strauss: scovate l’appiglio per approssimare le idee del vostro interlocutore a quelle di Hitler e la demolizione è fatta). Necessario anche un reiterato e orgoglioso possesso di letture definitive su qualsiasi tema (sempre le tue, mai le altrui). Fondamentali anche una certa agilità nel gestire il “voi eterno” (“ma noi chi?”, “Voi!”), la prontezza nello sfoderare randelli di punti esclamativi digrignando in Caps Lock, e una disponibilità imbestialita, senza limiti e su più fronti, alla battaglia campale. Oppure, ma qui si parla dei mostri più pericolosi, bestie da Mekong social a proprio agio negli habitat più truculenti, all’escalation capace del meglio, ossia la distruzione dell’avversario in due mosse: far degenerare un disaccordo in un alterco, e l’alterco in un bombardamento trivialissimo a sorpresa, magari a danno dei cari del tuo sconosciuto ma odiatissimo interlocutore, che essendo in disaccordo con te merita di essere umiliato senza pietà e poi lasciato esanime a terra a scopo dimostrativo, dopo aver coventrizzato tutto il suo territorio di animali circostanti (ossia tutti coloro che sostengono costui, questo inenarrabile stronzo).
Tutte degenerazioni arcinote e orripilanti, che Francesco Filippi ha il pregio di sistematizzare riconducendo ogni polemista storico da social – di questa precisa categoria il suo saggio si occupa – a un piano rappresentativo, allestito con precisione e abilità. I fatti sono tutti realmente accaduti, le risse sono vere o comunque verosimili: potrebbe essere chiunque – noi compresi – lo scanzonato Catello che ha letto un volumetto di storia africana e sdottora su Dinga Cisse, imperatore ghanese del 750 d.C, per poi sbottare in conflitto sanguinoso con Maurilio, forte anch’egli di deboli letture, e ritrovandosi nel giro di poche battute in un verminaio di accuse e controaccuse da cui emergerà vittorioso solo chi dei due offenderà con volgarità più letale gli avi dell’avversario.
L’epilogo è un guaio: saremo obbligati a documentarci su Dinga Cisse perché nessuno dei due ne avrà più parlato, e lo faremo sbagliando, cioè su altri forum, presso altre arene bercianti, in cui due persone sole e furiose, tra tifosi che fischiano e applaudono e cuoricinano, stanno venendo alle mani da divani distantissimi.