Il patto delle tre sedie nel Palco Reale alla Scala

Fabiana Giacomotti

I foglianti della moda a parlar di costumi e i retroscena della “Prima” di stasera

Da settimane, qualche cosa era filtrata anche dalla leggendaria riservatezza scaligera, il cerimoniale del Piermarini architettava soluzioni possibili per accogliere degnamente la presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen in un palco reale sovraffollato come mai nella sua storia recente. Oltre al Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, confermato da novembre e sempre molto atteso (lo scorso anno l’ovazione durò dieci minuti netti), la nuova maggioranza si era palesato con le richieste dei due presidenti delle Camere – la segreteria di Lorenzo Fontana pare sottolineando anche la “grande passione del presidente per l’opera”, fino a oggi a tutti ignota mentre non lo è quella di Ignazio La Russa, visto molto spesso alla Scala – che andavano quindi ad aggiungersi alle presenze ovvie del sindaco di Milano Giuseppe Sala e del governatore della Lombardia Attilio Fontana. Una settimana fa, a poche ore dalla pubblicazione del Foglio+Foglio della Moda di dicembre in cui Makkox – intuizione di vignettista - aveva immaginato Giorgia Meloni affacciarsi dal palco in una gustosa sovrapposizione fra il “Boris Godunov” di Modest Musorgskij e il “Boris” serial di Sky Italia, anche il/la premier aveva confermato la propria presenza, in una doppia rappresentatività istituzionale presidente-premier inedita dai tempi di Giorgio Napolitano e Mario Monti.

  

 

In sintesi, troppe persone, anche per un palco spazioso come quello. Troppe soprattutto per la “prima fila” che, da cerimoniale, prevede due sole coppie, e troppe anche per sottovalutare il rischio di un secondo “incidente della sedia” per von der Leyen, dopo i fattacci di Ankara lo scorso aprile, quando ci si avvide che il presidente turco Tayyip Erdogan aveva previsto una poltrona accanto a sé per il presidente del consiglio Europeo Charles Michel ma non per lei. Ma se i cerimoniali vengono in soccorso contro vanità e rivendicazioni, gli stessi cerimoniali possono essere rivisitati - Donatella Brunazzi che li sovrintende alla Scala ne sa qualcosa dai tempi in cui si occupava di moda ai vertici - e le signore che occuperanno il Palco Reale sono tutte adeguatamente sottili anche in tempi di body positivity.

 

Questione risolta, in prima fila saranno in tre: Mattarella, Meloni e von der Leyen. Gli altri dietro, come da cerimoniale classico, con tutta la loro passione per la lirica che, nel caso, verrà messa a prova inconsueta, trattandosi della prima versione dell’opera – l’Ur-Boris del 1869 con la sua partitura audace, urticante, visionaria, radicalmente diversa da qualsiasi titolo dell’offerta lirica coeva. Il lavoro venne infatti respinto dalla Commissione dei Teatri imperiali di S. Pietroburgo e da allora, attraverso la riscrittura dello stesso autore e le revisioni invasive di Rimskij-Korsakov e Šostakovič, il “Boris Godunov” è entrato in un “dedalo di versioni” che, racconta il musicologo Raffaele Mellace nell’introduzione al programma di sala “si sono avvicendate nel secolo e mezzo dalla sua concezione, rendendo di difficile decifrazione il profilo originario dell’opera e il suo stesso sound”.

 

Eppure, il fascino oscuro del “Boris”, quel cupo confronto fra il potere assoluto, conquistato con la violenza, l’oppressione popolare e il ruolo dell’informazione nella testimonianza (non sono molte le opere che prevedano la figura del cronista-testimone, nel caso il monaco Pimen), emana un fascino potente, dettato anche dalla magia dei costumi, di cui si è parlato ieri sera nel secondo appuntamento del Foglio della Moda con la partnership di Bellavista dopo quello dedicato al “Macbeth” dello scorso anno.

  

  

Per questa edizione, ospite la Scala che ha aperto il delizioso Ridotto delle Gallerie, elegantissimo e sobrio, hanno parlato del rapporto fra abito, costume e potere la costumista Ida Marie Ellekilde, il critico teatrale e drammaturgo Mattia Palma, curatore anche della Rivista della Scala, introdotti per la lettura di Paolo Besana da un testo di Giorgio Armani, cioè lo stilista che più di ogni altro, dalla metà degli Anni Settanta, ha destrutturato e rivisitato le insegne vestimentarie del potere – la panoplia giacca, cravatta, pantalone – fornendo soprattutto alle donne un guardaroba al passo con la loro affermazione professionale. Convitato di pietra, anzi di pietre finto-preziose, il grande basso Fyodor Chaliapin con la corona di Monomaco indossata per la prima edizione del Boris alla Scala, anno 1909, con la direzione di Arturo Toscanini. In prima fila l’ospite, la presidente di Terra Moretti wine Francesca Moretti, che ormai da molti anni affianca non solo la Scala come vin d’honneur delle “Prime”, ma va approfondendo sempre di più il rapporto e le interconnessioni fra “la cura per i dettagli e la visione di insieme che sono all’origine sia di uno spettacolo sia di una cuvée riusciti”, in sala ad ascoltare circa centoquaranta ospiti, qualcuno in più della capienza massima, oltre a un buon numero collegati in streaming. Tutti molto interessati al processo di creazione dei costumi per i quali Ellekilde è partita dal famoso libro di fiabe russe illustrato da Ivan Bilibin ai primi del Novecento sovrapponendovi elementi dell’abito tradizionale contadino, suggestioni della rivoluzione del 1917, elementi della moda aristocratica della fine del Cinquecento (la guarnacca, sopravveste di origine in realtà centro-asiatica, in grande uso anche in Italia) e della moda contemporanea perché, ha raccontato, “la storia, non solo russa, ci insegna che questi episodi possono ripetersi”.