la fotografia dell'istat
Lettori, editori e libri in Italia hanno una caratteristica comune: la vita breve
Si stampano più titoli ma il numero di chi li legge non aumenta e diminuiscono anche le case editrici. Avanza il disamore nei confronti della lettura, anche per via di un’offerta che risulta insoddisfacente
Carlo Dossi, che oltre un secolo fa lasciò monco un progetto narrativo sui lettori in Italia, trarrebbe giovamento e sconforto dal rapporto Istat su produzione e lettura di libri. Ne emerge l’idealtipo di un lettore che anzitutto è un non lettore – nel senso che il 59,2 per cento degli italiani non legge nemmeno un libro all’anno e solo il 15,3 per cento si degna di leggerne uno al mese – e che in subordine è una lettrice, dato che le donne staccano gli uomini di buoni dieci punti percentuali. Per il resto, l’italiano che legge abita a nord o al centro (al sud legge il 29,5 per cento), vive in città, è laureato, non va molto in biblioteca, è incuriosito da ebook e audiolibri, preferisce la narrativa, ed è a sua volta figlio di lettori.
Questi, però, sono dati tristemente noti non solo a chi è del settore ma anche a chi stocasticamente si metta a contare la gente con un libro in mano in metropolitana, al bar, nei parchi. Ciò che di più interessante emerge dal rilevamento Istat è che lettori, editori e libri in Italia hanno una caratteristica comune: la vita breve. I dati testimoniano infatti che da giovani molti italiani leggono, non solo per via della scolastica: il 54,7 per cento fra gli undici e i quattordici anni e il 62,6 per cento fra le ragazze appena maggiorenni hanno letto libri senza obblighi o minacce da parte di insegnanti. Poi, all’improvviso, il lettore sembra estinguersi.
Probabilmente per il maggior gravame di impegni fra lavoro e famiglia, per la distanza dall’abitudine quotidiana alla lettura che caratterizza gli anni sui banchi di scuola, forse anche per circostanze contingenti come l’accorciarsi della vista combinato alla predilezione degli editori per la maggior eleganza dei caratteri in corpo minuscolo. Ma, in generale, si può dedurre che il progressivo disamore nei confronti della lettura sia determinato anche da un’offerta che i lettori, per varie ragioni, finiscono per trovare insoddisfacente.
In termini qualitativi, non certo quantitativi. Qui viene il soccorso il dato più sorprendente del rapporto Istat: nell’ultimo triennio gli editori attivi sono diminuiti del 10,1 per cento ma la produzione libraria è aumentata dell’8,2 per cento quanto a titoli, del 3,7 per cento quanto a copie, dell’11,7 per cento quanto a tirature. Significa due cose. Primo, che aumentano titoli stampati in poche copie; secondo, che nell’editoria – attività ibrida fra umanesimo e capitalismo – vige una spietata selezione naturale. Non basta fondare una casa editrice perché sopravviva sulla sola scorta della buona volontà, bisogna vendere. Non basta imperniare una casa editrice su una brillante idea se non è di ampio respiro o non ha presa sul pubblico. A ciò si aggiunga la tendenza dell’editoria all’accorpamento: il 2,5 per cento di grandi editori (che tirano più di un milione di copie nel complesso) pubblica il 30,5 per cento dei titoli; oltre metà dei 1.534 editori attivi in Italia, invece, non raggiunge una tiratura complessiva di cinquemila copie annue e il 50,8 per cento di loro lamenta un calo del fatturato.
Corollario a questo dato, se intersecato col numero di lettori rimasto stabile – in realtà in calo di un insignificante 0,6 per cento - rispetto all’anno precedente, porta alla conclusione che stampare più libri, in termini di copie o in termini di titoli, non comporta un incremento dei lettori. È stata probabilmente raggiunta una saturazione, per cui librerie e siti traboccanti di opportunità di lettura non riescono ad accattivare una maggioranza orgogliosamente refrattaria, che va forse considerata irrecuperabile.
Anche i libri muoiono giovani: le prime edizioni sono aumentate del 13,5 per cento, quelle successive sono diminuite del 18,4 per cento. Ciò significa che un titolo approda in libreria, viene subito fatto smammare dall’arrivo delle novità successive e non lo si rivede fino a che non prende a circolare in edizione economica, destino che però tocca a una fortunata minoranza. Considerato che in Italia vengono pubblicati oltre 90.000 titoli all’anno, scrivere un libro è il miglior modo di non farsi notare. Se uno invece lo sta leggendo, ecco, allora sì che balza all’occhio.