il bisogno di raccontare
Promemoria per gli editori: i migliori aedi contemporanei passano da Netflix
Che cosa leggeremo? Sicuramente qualcosa fruiremo, in modo crossmediale. Perché una lezione per l'editoria è che lo stesso contenuto può prolungare la sua vita, su schermo, in cuffia, a fumetti
Che cosa regaleremo questo Natale? Perché cosa (e quanto) leggeremo l’anno prossimo è strettamente legato all’arrembaggio alle librerie di questo periodo. Le code lunghe, Mariah Carey onnipresente, tirare a indovinare sui titoli e scegliere dalla copertina, tutto questo comprare ci sarà utile? Qualcuno li leggerà quei regali? L’Osservatorio sul futuro dell’editoria di Fondazione Feltrinelli ha presentato il Rapporto 2022 dal titolo “Cosa leggeremo l’anno prossimo?”. Perché qualcosa leggeremo, e se non la leggeremo, la ascolteremo, o la guarderemo: insomma, andremo a rincorrere le storie nei loro viaggi transmediali. Il rapporto, curato da Paola Dubini, ha raccolto i contributi di Marino Sinibaldi, Paolo Costa, Jeffrey Schnapp, Gino Roncaglia, Lodovica Cima, Giulio Blasi, Marco Ferrario e Bruno Pischedda. Sebbene da angolazioni diverse, le evidenze sullo stato di salute dell’editoria e le panoramiche proposte sul mercato della narrazione sono allineate.
L’ecosistema si sta frammentando, stratificando, entropizzando, e mentre il lettore (pardon, lo user) ha le convulsioni da bulimia informativa, gli editori (pardon, le piattaforme dell’intrattenimento) si affannano in una corsa non contro, ma per il tempo. E non si tratta di un tempo monodimensionale ma multitasking, in cui comprimere le attività phygital, a metà tra il fisico e il digitale: un’abitudine che sta riducendo la qualità della nostra attenzione. Le alternative alla lettura sono numerose e lo stesso contenuto può avere vita crossmediale, cioè transitare su canali diversi: ciò significa che non solo il numero crescente dei contenuti inasprisce la contesa per le porzioni dell’immaginario collettivo, ma che le modalità di fruizione di questi segnalano alterazioni nella loro longevità.
Leggere su supporto digitale è un’attività cognitivamente diversa da non relegare a scelta mutualmente esclusiva rispetto al libro: anzi, è con l’agilità della smaterializzazione che si possono creare approfondimenti e prolusioni a libera scelta del lettore. Pardon, dello user, anzi, del prosumer, cioè il consumatore che propone il contenuto, nella cultura convergente paradigmaticamente preconizzata da Henry Jenkins nel 2006. Ecco l’altra lezione che l’editoria non deve dimenticare: le tecnologie intervengono sulle persone, ma le persone possono usare a proprio beneficio le tecnologie. Il dispositivo libro è una tecnologia, longeva e resistente, nonostante il pictorial turn dell’ultimo mezzo secolo abbia progressivamente imposto un’epistemologia che sacralizza l’immagine sul linguaggio.
Ma quella con gli schermi non deve necessariamente essere una lotta a somma zero: forse è più un dilemma del prigioniero, in cui gli anni di galera si possono spartire equamente e a beneficio unico dell’immersione del lettore-ascoltare-spettatore dentro la storia.
E allora ampio spazio ad audiolibri e podcast, ma anche a fumetti e graphic novel: formati molto popolari tra il pubblico più giovane e con elevato grado di istruzione, prevalentemente donna. Il mercato si affolla di proposte e di attori dal lato dell’offerta: le media company sono competitor alle prese con le proprie difficoltà, di mercati irregolari e con tassi di crescita imprevedibili.
L’editoria dovrà assumere cognizione del transito dalla narrativa tradizionalmente intesa (che vede proposte paraletterarie raccogliere largo consenso) a una sete di narratività: cioè il bisogno di raccontare le storie. Oggi alcuni dei migliori aedi contemporanei passano da Netflix, un contenitore trasversale capace di creare ponti di dialogo e di riconoscimento culturale transnazionale e transclassista. In effetti, Jonathan Gottschall ha scritto che il peso delle storie nell’influenzare e condizionare i comportamenti umani è aumentato nell’èra dei social: in alcuni casi, le storie hanno favorito lo spirito di comunità, in altre hanno creato smarrimento e fomentato la divisione. In entrambe le circostanze, le storie sono ancora i persuasori che in modo più o meno occulto sollecitano le emozioni, e questo storytelling ha assunto dimensioni mastodontiche con l’affacciarsi delle nuove piattaforme di condivisione. Ma non tutte le storie diventano letteratura.
Agli editori il rapporto sembra suggerire di non gareggiare con le altre storie, ma di ascoltarle, intercettarle, articolarle: farne letteratura.