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L'INTERVISTA ALL'AUTORE

McCarthy torna a parlare dopo quindici anni

Giulio Meotti

“Saremo ancora qui fra centomila anni, ma possiamo sempre autodistruggerci”, dice lo scrittore icona della letteratura americana al fisico Lawrence Krauss. Un colloquio sulla scienza e sugli ultimi due romanzi dell'autore, legati da un filo comune

L’ultima intervista che concesse, nel 2007, fu nel salottino di Oprah Winfrey. Stavolta Cormac McCarthy, che Harold Bloom definì uno degli ultimi grandi della letteratura americana, che non parla mai con i giornali e non va ai cocktail, ne ha rilasciata un’altra al fisico Lawrence Krauss. Per parlare di scienza, la grande passione dell’autore de La strada e Non è un paese per vecchi e che domina i suoi nuovi due romanzi. “Saremo ancora qui fra centomila anni, ma abbiamo tutte le possibilità per autodistruggerci”, dice McCarthy a Krauss. “Anche se la maggior parte delle persone non è interessata a niente”. 

Se c’è un messaggio in The Passenger, il primo romanzo di McCarthy in sedici anni, è che le cose sono finite molto peggio di quanto pensiamo. “Quando l’inizio della notte universale sarà finalmente riconosciuto come irreversibile, anche il più freddo cinico sarà stupito dalla rapidità con cui ogni regola e restrizione che sostiene questo edificio scricchiolante viene abbandonata e ogni aberrazione abbracciata”. In un’epoca in cui il filone dominante della letteratura è la borghesia laureata, trendy e progressista di Annie Ernaux, i racconti di McCarthy sono totalmente altro.

Sempre da The Passenger: “Siamo un po’ a pezzi. Ciò che ci minaccia non è la società giusta, ma quella in decomposizione. I veri guai non iniziano in una società finché la noia non è diventata la sua caratteristica generale. La noia guiderà anche le persone tranquille su strade che non avrebbero mai immaginato”. Nella conversazione con Krauss, McCarthy consiglia di leggere Oswald Spengler (“Ha detto che ci rimarrà la scienza quando tutto il resto sarà finito”). The Passenger e Stella Maris seguono una coppia di fratelli ebrei, Bobby e Alicia Western, il cui padre era un fisico che ha lavorato con J. Robert Oppenheimer alla bomba atomica. Alicia è un genio della matematica che si suicida. C’è anche un figlio afflitto da difetti alla nascita e che nel romanzo si chiama “Talidomide”, dal nome del farmaco che ha reso migliaia di bambini disabili alla fine degli anni 50 e 60 (fu inventato da ex scienziati nazisti). 

Ciò che tiene insieme i due romanzi di McCarthy è la sensazione che la scienza sia magnifica, come dice a Krauss, ma anche terribile. “Auschwitz e Hiroshima sono gli eventi gemelli che suggellarono per sempre il destino dell’occidente”. Alicia afferma: “Il mondo non ha creato alcun essere vivente che non intenda distruggere”. Se ne La strada il ragazzino, alla fine, porta con sé la luce del divino e la fiamma dell’umano (il mondo può essere riparato? C’è un disegno intelligente?), i nuovi romanzi danno una risposta decisamente austera e disillusa a entrambe le domande. In un mondo illuminato dal “sole malvagio” dell’invenzione nucleare, tutta la storia, pensa Bobby, non è altro che “una prova per la propria estinzione”. E, quando il mondo finalmente si ucciderà, non rimarrà nulla: né la scienza, né Dio e nemmeno il Diavolo. Ma sebbene a Krauss McCarthy confermi di essere un “materialista”, pur nutrendo qualche dubbio sulla vulgata atea dell’evoluzione, c’è un passaggio in Stella Maris in cui la terapeuta di Alicia le chiede: “Quale pensi sia l’unico dono indispensabile?”. Alicia risponde: “La fede”.

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  • Giulio Meotti
  • Giulio Meotti è giornalista de «Il Foglio» dal 2003. È autore di numerosi libri, fra cui Non smetteremo di danzare. Le storie mai raccontate dei martiri di Israele (Premio Capalbio); Hanno ucciso Charlie Hebdo; La fine dell’Europa (Premio Capri); Israele. L’ultimo Stato europeo; Il suicidio della cultura occidentale; La tomba di Dio; Notre Dame brucia; L’Ultimo Papa d’Occidente? e L’Europa senza ebrei.