FACCE DISPARI

Diego Guida: “Per i piccoli editori grandi speranze in tempi difficili”

Francesco Palmieri

Discendente da una famiglia di editori e librai, si è ritrovato assessore alle biblioteche civiche e agli archivi di Napoli. Oggi è presidente del gruppo piccoli editori dell’Aie e chiede il ripristino del credito d’imposta per l’acquisto della carta. L'’impalpabilità di un mestiere che esiste e non esiste

Quest’anno il tempo è stato un gambero per i piccoli editori, dopo un 2021 che prometteva molto con il superamento della pandemia. Il record di presenze, oltre centomila, conseguito dall’annuale fiera romana “Più libri più liberi”, apre tuttavia spiragli di speranza per il 2023 che non s’annuncia facile.

  

Discendente da una famiglia di editori e librai napoletani, Diego Guida ha cominciato con i calzoni corti ad aiutare gli zii, da grande si è ritrovato assessore alle biblioteche civiche e agli archivi del comune di Napoli durante la sindacatura di Rosa Russo Iervolino, e oggi è presidente nazionale del gruppo piccoli editori dell’Aie, quelli che non stanno né con Amazon né con le librerie ma un po’ con tutti e due, e che in una crisi profonda e improvvisa come questa faticano a non sentirsi figli di un dio minore.

   

Cosa vi spaventa di più?

L’impennata dei prezzi energetici ha causato un incremento enorme del costo della carta che ci penalizza moltissimo. Chi di noi ha un contratto in corso con enti pubblici o con le università non può modificarlo e si sta facendo carico di tutti gli aumenti: materia prima, imballaggio, utilizzo macchine e trasporto. Tantomeno se ristampiamo un libro prezzato a 20 euro possiamo portarlo a 25. Ne consegue una drastica riduzione dei ricavi netti.

 

Ne soffrono anche i grandi editori.

In misura minore, grazie all’economia di scala: un conto è trattare per una tonnellata di carta, altro è se compri un quintale. Stiamo ipotizzando di costituire un gruppo d’acquisto collettivo tra piccoli editori per migliorare le condizioni negoziali con i fornitori.

 

Bilancio di quest’anno?

Un anno perso. Peccato, perché a fine 2021 i piccoli editori erano cresciuti e qualcuno aveva addirittura rimandato l’uscita di qualche romanzo dal Natale scorso a questo. Se ne riparlerà l’anno prossimo.

 

Quanto vi danneggerà la revisione del bonus cultura 18App?

Per noi era l’unica forma di aiuto indiretto ma concreto. Penso sia sbagliato modulare il bonus per i diciottenni a seconda del reddito. Era positivo che ne beneficiassero tutti, anche i cosiddetti figli di papà, perché si sentivano responsabilizzati negli acquisti e indipendenti nelle scelte senza aspettare la paghetta. Ricordo quando ne hanno usufruito i miei figli: il maschio comprava libri di autori dell’Europa orientale di cui era appassionato, la femmina lo spese in abbonamenti teatrali. I politici dovrebbero ascoltare di più gli operatori, che non si limitano a lavorare in un settore per la durata di un ministero o di un mandato parlamentare.

 

Cosa vorreste?

Non una mancetta come quella accordata durante il lockdown, che fu un palliativo emergenziale, né rivendichiamo crediti a pioggia, ma il ripristino del credito d’imposta per l’acquisto della carta, che è la nostra materia prima. E magari una misura analoga sulle spedizioni, considerando che se l’invio diretto di un pacchetto passa da 3 a 7 euro non possiamo scaricarlo su chi acquista. Altrimenti ci saluta e va su Amazon Prime.

 

Amazon però vi dà una grossa mano.

Sarebbe più grossa ancora se riuscissimo a essere proposti e non soltanto cercati: gli algoritmi non sono tanto democratici. Amazon ha aiutato i piccoli editori ma il rapporto si fa complicato quando siamo costretti a praticare sconti fuori norma, che talvolta contrastano con la logica distributiva. Si potrebbero utilizzare le librerie come punti di ritiro, ma i librai non accetterebbero mai. Soluzioni al momento non ne vedo.

 

Come stanno cambiando i lettori?

Lasciamo da parte le statistiche da pollo di Trilussa. La percezione è che la saggistica e la letteratura tradizionale per ragazzi si vadano riducendo a vantaggio dei comics e delle graphic novel. Chi è abituato a vedere il mondo sui pc e gli smartphone si sta spostando in una zona ibrida tra lettura e immagini.

 

Gli autori come reagiscono?

Con un po’ di ritardo sulla realtà, soprattutto chi è più âgé. Quando cominciai a fare l’editore la prima tiratura media era a tremila copie, oggi non supera le 500 perché grazie alla stampa digitale puoi produrre altre 500 copie in 48 ore evitando rotture di stock, costi di magazzino e scorte inutilizzabili. Purtroppo però risentiamo ancora dell’incognita del diritto di resa, che restando libero rischia di farti credere esaurito un testo e invece ti ritrovi, a tre mesi di distanza, una marea di copie indietro.

 

Cosa consiglia agli sparuti folli che intraprendono un’impresa editoriale?

Di tenere sempre una mano sul cuore ma l’altra sul portafoglio o, per dirla meno brutalmente, sul cervello. Ricordando la massima di Valentino Bompiani: l’editore non scrive il libro, non lo stampa, non lo vende e non lo pubblicizza. Fa tutto il resto. Il nostro mestiere vive di quest’impalpabilità che esiste e non esiste.

 

Ha qualche cruccio personale?

A sessantun anni, di cui quasi cinquanta trascorsi fra i banconi di una libreria e la scrivania di editore, mi cruccio che la mia città rappresenti solo il 5% del mercato nazionale contro il 22% della Lombardia. Su questo, purtroppo, le statistiche mi tornano. La colpa è anche degli autori napoletani, che al primo successo pubblicano altrove salvo accusare di incapacità gli editori locali. Sciascia e Camilleri hanno continuato a pubblicare anche con i siciliani anziché lamentarsene. Qui invece se ne vanno tutti.