I trucchi del Carroccio
Lega dirottata. “Il Veneto non farà la fine di Padova”, garantisce l'assessore ribelle Marcato
Al congresso provinciale di domenica, la base dissidente sfiora soltanto il colpaccio contro la brigata di Salvini. La furia dell’assessore di Zaia: “Colpa di 50 militanti creati ad hoc”. “Ora sfiderò Stefani in regione. E se non me lo consentiranno, Matteo in persona”
Niente ribaltone. Tutto è cambiato affinché rimanga com’era prima: Padova la roccaforte veneta dei salviniani. “Ma davvero possono cantar vittoria?”, incalza Roberto Marcato, l’assessore ribelle che si è fatto in quattro per portare aria nuova al congresso provinciale di domenica. “C’era un deficit enorme da coprire. Tutti ci davano per straperdenti, anche perché il partito su Padova ha investito ogni risorsa”. All-in sconsiderato. “Qui c’è il commissario regionale Alberto Stefani, più il commissario provinciale e quello cittadino nominati da Stefani. A Padova sono stati eletti quattro parlamentari del Carroccio: il numero più alto di tutte le province. Sempre a Padova c’è Arianna Lazzarini, responsabile governativo regionale. E Luca Pierobon, responsabile per gli enti locali e sindaco della vicina Cittadella, il comune che lanciò Massimo Bitonci. Lui e Andrea Ostellari”, sottosegretari allo Sviluppo economico e alla Giustizia, “rappresentano gli unici due incarichi di governo che abbiamo in Veneto. E di dove sono?”. Troppo facile ormai. “Appunto. Non è una fatalità, ma la precisa strategia in vista dei congressi provinciali e regionali. Nonostante questa potenza di fuoco, il loro candidato su Padova ha vinto per 29 voti. La cosa straordinaria è che alcuni giorni fa sono stati creati 50 militanti ex novo”.
Se la matematica non è un’opinione, figurarsi la rabbia di Marcato e soci. “I congressi sono sempre stati il momento più alto di democrazia all’interno di un partito”, dice il tenente di Zaia allo Sviluppo economico. “Sul più bello che siamo tornati a farli dopo un’eternità, succedono queste dinamiche non lineari”. Ci pensa un po’ per trovare l’eufemismo più consono. “Un candidato a piedi, l’altro in Maserati. È un dato che urla vendetta: io non ho visto 50 nuovi attivisti attaccare manifesti, presenziare i gazebo, organizzare comizi e feste in piazza. Cioè l’essenza della militanza. Noi”, il fronte dissidente, che da oltre un anno accusa la nomenklatura leghista di despotismo e abbandono degli ideali storici, “eravamo andati a conoscere i militanti casa per casa. E queste 50 persone non esistevano. Poi in sede di voto sì”. Magia verde. “Aggiungiamo pure che il nostro candidato”, Michele Giraldo, scelto in tandem con il consigliere regionale Fabrizio Boron, “è stato annunciato una settimana fa. Eppure è finita appena 419 a 390 per Nicola Pettenuzzo. Che se non altro è una persona per bene”.
Il problema è a monte. L’analisi elettorale di Bitonci, vecchio volpone, si limita a sottolineare “l’affluenza record dei militanti”. Mentre il commissario Stefani coglie la palla al balzo per sciorinare che “il dibattito è il sale del movimento, ma basta polemiche, la celebrazione dei congressi ora dovrà placare gli animi”. E che si candiderà a quello più importante: la partita per la regione. Marcato lo aspetta al varco. “Sfiderò Stefani con tutte le mie forze. La Lega è spaccata in due e questo era impossibile da nascondere. C’è una norma idiota”, già spiegata al Foglio da Boron, “che impedisce a consiglieri e assessori regionali di candidarsi ai congressi. Invece ai parlamentari che hanno governato il partito in solitaria è consentito farlo: c’è un evidente conflitto d’interessi”. Da qui il ringhio del bulldog. Sentite: “Salvini ha detto che quella norma non esiste. Ecco, se così non fosse sfiderò lui alla segreteria federale. Chi si rimangia la parola, che capo sarebbe?”.
Per questo l’anno nuovo vorrà dire resa dei conti. “Dopo tutto”, lo spirito dell’assessore, “sono quasi felice di aver perso a Padova: così un giorno potrò fare il ministro anch’io. Visto che dentro il partito fa strada soltanto chi perde e sperpera. E male, malissimo”. Si veda il suicidio alle ultime elezioni, comunali e politiche. Marcato si rifà serio. “Anzi, preoccupatissimo. Siamo nel pieno di un’emorragia di consenso, per strada incontro leghisti storici che mi dicono di aver votato FdI. E il problema non sono loro, ma noi che abbiamo annacquato l’identità della Lega”. Che con la premier poco c’azzecca. “E col sovranismo, ancora meno. Mettiamola così: i meloniani provengono dalla marcia su Roma. Noi invece, dalla marcia via da Roma. L’autonomia ormai è un totem, i veneti la vogliono più di prima, ma ho paura di come andrà a finire. In quest’ottica i congressi sarebbero l’unica, fondamentale occasione di rilancio interno. Ma se verranno utilizzati per mantenere lo status quo e congelare le careghe, le poltrone, è finita. Quindi sì: nel 2023 o si vince o si muore”.
Marcato alla ‘Che’. “Meglio bulldog, grazie. Sono fatto così: più cose strane noto attorno a me, più mi galvanizzo e trovo energie per difendere la vecchia Liga. È ciò che accadde anche in quell’epica sfida contro Flavio Tosi”, altra faida interna portata a casa dall’assessore di Zaia. “Io il nome di battaglia ce l’ho già. E me lo sono conquistato sul campo. Gli altri?”.