il libro
“Piccole cose da nulla” di Claire Keegan: vietato volergli male
Un romanzo “natalizio”, cinque figlie e tante notti insonni alla finestra nell’inverno irlandese
“Perdere tutto sarebbe stata la cosa più facile del mondo”. Bill Furlong, quarantenne titolare di una ditta di legname e carbone, lo sa benissimo. Gente con le case fredde, che dorme col cappotto e fa la fila per il sussidio. Gente che sta sveglia per i debiti e spera di poter pagare la legna che compra – legna per scaldarsi – “un po’ più in là”, il mese dopo. Ne vede ogni giorno, ci parla. E cerca di farlo capire a Eileen, moglie rettilinea, meno attenta di lui a queste cose da nulla che gli si agitano nella mente e parapigliano nei suoi pensieri sia di giorno quando gira col camion, sia di notte quando gira in mutande (per casa) e si piazza, insonne, alla finestra con una tazza di tè. E a noi lettori di “Piccole cose da nulla” di Claire Keegan (Einaudi Stile Libero, 92 pp., 13 euro), romanzo di cui Furlong è protagonista, racconta ciò che, da dietro quei vetri, vede: le strade, i fiumi, i cani randagi. E le frotte di barcollatori fuori dai pub, quelli che lui chiama “uomini che non ce la fanno”. “Sarà,” risponde Eileen storcendo la bocca, “ma ad avere un minimo di considerazione per i propri figli non si dovrebbe andare in giro in certe condizioni.”
A scatenare la discussione è stato il figlio di Mark Sinnot: andando su e giù in consegna lungo le strade di New Ross – siamo in Irlanda, la storia si svolge nel 1985, epoca di gramaglie economiche e poderose ondate migratorie verso Londra o New York –, Furlong ha incontrato il ragazzino. Pioggia e freddo, così gli ha dato un passaggio e una manciata di spiccioli. “Non si fa,” dice seccata Eileen, secondo la quale l’etilismo dei padri deve ricadere sui figli, Eileen rassicurata da un benessere che benessere non è ma è comunque qualcosa (spiffero più, spiffero meno), è poggiare i piedi sul pieno e sapere che ci possono contare anche le cinque figlie: Kathleen, la più grande, già in grado di dare una mano coi registri contabili; Joan, studentessa delle medie, star del coro della chiesa; Sheila e Grace, portenti delle tabelline, delle divisioni a più cifre, dell’idrografia e della fisarmonica; e poi Loretta, grande lettrice e disegnatrice di galline azzurre che incassano premi. Tutto bello. Tutto sereno. Tutto rassicurante.
Ma ogni storia è un “senonché”, e Bill Furlong – mai conosciuto il padre, madre rimasta incinta giovanissima – mentre porta un carico di carbone al convento delle suore del Buon Pastore fa una conoscenza inattesa. Un fatto imprevedibile non lascerà in pace la sua coscienza già sovrabbondante, di dubitatore morale, di strologatore infaticabile, di meticoloso indagatore della propria interiorità. Perché Bill Furlong è uno che si fa domande, uno che non si accontenta, uno che non riesce a star bene se ha il sospetto che qualcun altro, vicino a lui, sia nelle condizioni di navigare in cattive acque, torbide almeno quanto quelle del fiume Barrow, che attraversa la città con la sua scia di dicerie, compresa una maledizione che grava sui luoghi da decenni.
“Piccole cose da nulla” è un plaid matrimoniale che ospita una vera perla (a chi contesta a Bill Furlong il fatto che non sia il caso di mettersi contro chi conta perché “ha il potere”, lui risponde: “Ha il potere che gli diamo”) e una storia che è un panettone, nel senso in cui lo si dice di certi tabacchi da pipa non pregiatissimi ma di grande fumabilità. Un romanzo “natalizio” cui è vietato voler male, a meno di sentirsi Salvini che non fa sbarcare la Humanity 1. E che racconta l’etica circolarità di ciò che ci è dato e di ciò che dobbiamo restituire. Ma il tema scotta davvero: le Magdalene Laundry, finanziate dalla chiesa cattolica e dal governo e chiuse in Irlanda nel 1996, sono un buco nerissimo nella storia del paese – si parla di migliaia di neonati morti e di donne uccise o sfruttate. Per questo meritava di essere trattato in maniera più coraggiosa e diretta, pur nel quadro di una storia edificante. Poi certo, keep calm and down to earth – un Colson Whitehead non è che lo si incontri a ogni angolo di strada.