Perdersi dietro Hieronymus Bosch. Chiacchiere dalla mostra a Milano
Che faccia aveva Bosch, il pittore più misterioso dell’altro Rinascimento? Fu un pittore molto famoso, ma di lui non sappiamo quasi nulla. Del “Giardino delle Delizie” non conosciamo nemmeno la datazione
Non c’è alcun dubbio: la più importante manifestazione al mondo per ciò che concerne l’illustrazione umoristica è l’Aydin Dogan International Cartoon Competition di Istanbul. Non a caso viene chiamata rispettosamente “L’Oscar dei Cartoon”. Uno dei rarissimi artisti italiani che, in due edizioni, ha ottenuto il prestigioso riconoscimento è Alessandro Gatto che un po’ di giorni fa ho casualmente incontrato a Milano, un poco piegato, come se soffrisse di lombaggine, lungo il percorso espositivo di “Bosch e un altro Rinascimento” a Palazzo Reale. Era in quella curiosa posizione perché con il naso sfiorava il plexiglass protettivo e contemplava da più vicino possibile un dettaglio in basso del “Trittico delle Tentazioni di Sant’Antonio” (un prestito del Museu Nacional de Arte Antiga de Lisbona), appunto di Hieronymus (o Jheronymus?) Bosch. Avvicinandomi con circospezione ho pure scoperto che teneva in mano una lente d’ingrandimento che gli permetteva di osservare i particolari più minuscoli senza far vibrare alcuna segnalazione acustica di protezione del dipinto. Alessandro Gatto e io ci conosciamo piuttosto bene, quel tanto che basta per evitare d’importunarlo in situazioni che hanno a che fare con la contemplazione delle opere d’arte e, soprattutto, con le tavole dell’artista preferito dalla maggior parte degli illustratori umoristici. Ma, intendiamoci subito, il fatto che un artista segua principalmente il filone umoristico non ne diminuisce affatto la qualità assoluta d’artista e, in secondo luogo, la genialità di Bosch non è soprattutto appannaggio di chi per esprimersi artisticamente ha scelto la vis comica. Giusto per mettere le cose in chiaro è opportuno rispolverare le parole di Keith Haring: “Quando sono arrivato a Madrid la prima cosa che ho fatto quando sono uscito dall’albergo è andare direttamente al Prado per vedere ‘Il Giardino delle Delizie’ di Hieronymus Bosch. Tantissimi artisti in America me ne avevano parlato con un così grande entusiasmo che non ho potuto farne a meno. Ma non ho visto solo ‘Il Giardino delle Delizie’, ho cercato tutto ciò che era vedibile di Bosch a Madrid. Ero esterrefatto dal senso d’irrealtà di quei dipinti e mi sono subito chiesto cosa significasse vedere e pensare in questo modo nel Cinquecento”.
Quando Alessandro Gatto ha distolto l’attenzione dal pannello a sinistra del “Trittico delle Tentazioni di Sant’Antonio” e mi ha notato, pur essendo compaesani che s’incontrano per caso a qualche centinaio di chilometri da casa, non m’ha salutato, niente affatto. Piuttosto mi ha porto la lente d’ingrandimento e m’ha ordinato: “Guarda là”, indicandomi un punto nel cielo del pannello centrale. “Per fare quegli uccelli così piccoli deve aver usato un pennello con una setola sola. Roba da miniaturisti medievali o da pazzi scatenati giapponesi che colorano le foto d’epoca. Però osserva bene: non gli interessa dipingere degli uccelli per davvero, sono solo delle strisce sottili che chi osserva percepisce come uccelli. In realtà sono solo delle suggestioni di uccelli. A lui non interessa un accidente la perfezione nel dettaglio che colpisce così tanto nelle grandi opere dei primitivi fiamminghi, che pure sono suoi contemporanei e che stanno appena di là del fiume. A lui interessa costruire il proprio mondo di suggestioni. E’ un pittore che è fuori da ogni scuola. E’ modernissimo. E’ formidabile”.
Doveva più o meno condividere la medesima opinione l’ecclesiastico veneziano Domenico Grimani, nominato cardinale nel 1493 da Alessandro VI Borgia, che commissionò e acquistò per la propria collezione diversi dipinti di Hieronymus Bosch, comprendendone già da contemporaneo l’incredibile peculiarità. Certo, doveva essere piuttosto curioso possedere una galleria d’arte in cui affiancava i trittici di strettissima osservanza religiosa a delle tavole che contenevano pesci che volano, strane figure antropomorfe che sbucano dalla polpa degli ortaggi e uomini mantellati con la testa d’uccello che pattinano sul ghiaccio, per tacere delle numerose raffigurazioni che a pieno diritto destinerebbero l’autore e il committente nel cerchio dei lussuriosi. Tuttavia, come allora molti sostenevano e altrettanti continuano a sostenere, amare l’arte d’un amore cristallino richiede anche la consapevolezza di incorrere in alcuni rischi che possono pericolosamente riverberare, oltre che in questa vita, pure nell’aldilà.
“Non avevo mai visto un quadro di Bosch dal vero. Ho decine di libri illustrati che parlano dei suoi lavori, ma vederlo così, a tu per tu, è tutt’altra cosa. Il ‘Trittico degli Eremiti’, quello dipinto a Venezia per il Cardinal Grimani, è composto da tre tavole che contengono così tanti dettagli che potrebbero riempire un’ala intera d’un museo. Son rimasto almeno mezzora a passarlo in rassegna e a pensare cosa gli passasse per la testa mentre lo dipingeva. Ma nonostante fosse pieno di scene allegoriche, ed è una cosa che non si riesce proprio a percepire dai libri, Bosch riusciva sempre a creare delle zone di tranquillità in cui gli occhi dell’osservatore potevano finalmente trovare un po’ di requie prima di affrontare dei nuovi guazzabugli”.
Poi Alessandro Gatto incide la frase definitiva, gravandola della solennità che meriva: “L’ho sempre pensato, ma adesso che ho visto finalmente dal vero le sue tavole posso dirlo: c’è la pittura prima di Bosch e dopo Bosch”.
E’ sempre consolante incontrare degli artisti che si sbilanciano in questo modo, perché è davvero difficile mettere ordine in tutto ciò che è arte, perciò imbattersi, di tanto in tanto, in dei punti di discontinuità è rassicurante. Personalmente una frase che uso molto è: “Il rock’n’roll (ma si potrebbe pure leggere la musica moderna) è cambiato quando Jimi Hendrix è caduto sulla terra”. Così mi viene spontaneo accomunare il chitarrista a Hieronymus Bosch, perché entrambi, a cinquecento anni di distanza l’uno dall’altro, sono cresciuti formandosi artisticamente in ciò che c’era prima: Hendrix nel solco del rhythm and blues e Hieronymus nella bottega del padre Anton e nelle gilde degli artisti fiamminghi. Poi un talento straordinario li portò a sviluppare un proprio originale e sconcertante linguaggio, ciò che potremmo definire un vero e proprio salto artistico, che ha la particolarità innata di rendere assolutamente ridicoli i tentativi di imitazione vicini e lontani.
La grande differenza è che, non potrebbe essere diversamente, di Hendrix si sa praticamente tutto della vita e delle opere, mentre Bosch è uno degli artisti del quale si hanno meno notizie, pur essendo vissuto in un’epoca di ritratti e autoritratti: ciò che serviva per lasciare ai posteri almeno le proprie fisionomie. Così anche i più importanti storici dell’arte, quando capita loro di affrontare l’opera del pittore olandese, sono costretti a rifugiarsi nel vero significato della parola “grattacapo” e nel balbettio. “Sicuramente Bosch (in realtà in Spagna lo chiamano “El Bosco”) è un pittore molto famoso. I suoi quadri, soprattutto il trittico del ‘Giardino delle Delizie’, sono la principale attrazione del Museo del Prado, ma di lui non sappiamo quasi nulla. Del ‘Giardino delle Delizie’ siamo all’oscuro pure della datazione e, detto molto francamente, osservandolo ci imbattiamo in scene di cui, per quanto siano passati cinquecento dalla sua morte e moltissimi esperti abbiano cercato delle chiavi di lettura, non capiamo assolutamente nulla. Quello che possiamo dire è che, nonostante sia contemporaneo di Leonardo e di Raffaello, la sua ispirazione pare venire da un altro mondo”. Non lo dice uno qualsiasi: lo dice Alejandro Vergara, il Curatore dell’ala del Museo del Prado dedicata all’arte fiamminga e dei paesi del Nord.
Tuttavia, di fronte a una disseminazione di presunti autoritratti dispersi qua e là nelle sue opere – tra l’altro alcuni catturabili fino al 12 marzo a Palazzo Reale – e alle incertezze di attribuzione e datazione, una cosa è certa: l’arte di Hieronymous Bosch continua a influenzare gli artisti contemporanei.
L’esempio più immediato si trova proprio alla fine del percorso espositivo di “Bosch e un altro Rinascimento”, quando viene proposta ai visitatori un’esperienza audiovisiva intitolata “Triptiko”, progettata dallo studio milanese Karmachina (la cui denominazione potrebbe avere a che fare con “Karmacoma”, il brano dei Massive Attack) e sonorizzato dagli spezzini Fernweh. E’ un attraversamento potremmo dire video-lisergico da sinistra verso destra del “Giardino delle Delizie”, commissionato originariamente a Karmachina dalla Fondazione Princesa de Asturias di Oviedo, che dimostra come l’apparentemente antica opera di Bosch sia in realtà composta d’una materia facilmente plasmabile dalle moderne tecnologie e integrabile con la musica contemporanea. Al tempo stesso Bosch è pure fomentatore di modernissime coreografie: “Le Jardin des Delices”, per esempio, è una delle opere più importanti della celebrata compagnia di danza contemporanea di Marie Chouinard.
Insomma, pur senza avere un volto di riferimento, né dei documenti che sanciscano con una buona approssimazione la cronologia delle opere, Hieronymus Bosch continua a risuonare forte anche nei tempi moderni. Certo non si può nascondere quanto sia acuta la curiosità lombrosiana di conoscere il vero volto del visionario creatore delle serie ininterrotte di figure bizzarre che compongono le opere esposte al Palazzo Reale di Milano e nelle sale dei fortunati musei europei che posseggono le sue tavole. Talvolta è così acuminata codesta curiosità da considerare fuori luogo il paragone con Jimi Hendrix.
In fondo quando, tanti anni fa, ascoltai per la prima volta “Electric Ladyland” sulla copertina del disco il gruppo, la Jimi Hendrix Experience, era immortalato in un’inequivocabile immagine triangolare, una fotografia che ricordava una pala d’altare: in alto Jimi Hendrix e ai lati Mitch Mitchell e Noel Redding. La musica che usciva dalle casse, non c’erano discussioni, proveniva proprio da questi tre musicisti.
Analogamente se si contempla “L’Ultima Cena” a Santa Maria delle Grazie si conosce la fisionomia di chi l’ha dipinto. E’ l’artista dell’autoritratto conservato alla Biblioteca Reale di Torino. Lo stesso vale per chi ha dipinto “La Scuola di Atene”. Anche stavolta c’è un autoritratto ed è perciò possibile immaginare il volto di Raffaello mentre dipinge.
Ma Hieronymus Bosch? Che fisionomie poteva avere l’uomo che ha dipinto “Il Giardino delle Delizie”? E, alla fine d’ogni cosa, chi era veramente Hieronymus Bosch? E’ davvero irritante incappare talvolta in domande alle quali non si sa, e forse non si saprà mai, dare risposta.