la città nascosta
In “Natale nel Lower East Side”, Jacob Riis racconta gli ultimi che abitano i bassifondi
Il padre della fotografia sociale e scrittore della seconda metà dell’Ottocento, racconta il Natale della sua città adottiva – New York – e in particolare nei sobborghi poveri abitati dagli espatriati
Persino nella più brutta strada dei caseggiati, il Natale porta qualcosa di pittoresco e allegro. Il suo messaggio è sempre stato rivolto ai poveri e agli oppressi, e da costoro è compreso con un istintivo desiderio di rendergli onore”. In Natale nel Lower East Side (Mattioli 1885, 136 pp., 10 euro), Jacob Riis, padre della fotografia sociale e scrittore della seconda metà dell’Ottocento, racconta il Natale della sua città adottiva – New York – e in particolare nei sobborghi poveri abitati dagli espatriati nel Lower Est Side.
Immigrato di origini danesi e terzo di quindici fratelli, Riis arriva nella Grande Mela a vent’anni cominciando, dopo una serie di occupazioni di fortuna, a fare il giornalista di cronaca nera per il New York Tribune e successivamente il fotoreporter per l’Associated Press. L’oggetto principale della sua ricerca letteraria e fotografica sono i bassifondi cittadini, il racconto delle strade buie, degli appartamenti, dei caseggiati e delle bettole, fotografando con attenzione le difficoltà affrontate dai poveri e persino i criminali che in questi contesti si trovavano a delinquere.
Il Natale è un periodo particolare per tutti, compresi gli indigenti. E Riis porta nei suoi racconti le descrizioni particolareggiate di quanto accade nei quartieri poveri: bambini che ogni anno aspettano bramosi l’arrivo dei regali e appendono le loro calze (spesso destinate a rimanere vuote), genitori che conservano il vestito buono della festa per cercare, almeno un giorno all’anno, di affrancarsi dalla loro normale condizione. La miseria è impietosa, taglia le gambe e si insinua in ogni piccolo dettaglio, spesso corrodendolo quasi in modo sinistro. Ciò nonostante, a partire dai più piccoli ma anche per gli adulti, il periodo natalizio offre l’occasione per alzare la testa, per provare a non fermarsi alle personali circostanze. Offre, a volte solo per minimi squarci, una possibilità di speranza per l’avvenire.
“Ero io a essere cambiato, non il Natale. Ero qui, con la vecchia allegria, il vecchio messaggio di buona volontà, la vecchia strada maestra verso il cuore dell’umanità. Quante volte avevo visto la sua benedetta carità, che non si corrompe mai, illuminare i tuguri dell’oscurità e della disperazione?”. A volte basta un raggio di sole che penetra tra i caseggiati a dare nuova forma e sostanza alla realtà che si ha tutti i giorni davanti agli occhi. E non a caso la luce è un elemento così importante nella narrazione di Riis così come nella fotografia.
La ricchezza che può portare un fotografo che fa lo scrittore è quella di saper indagare, scandagliare la realtà per portare alla luce ciò che di solito è nelle tenebre. Tratteggiare i contorni di contesti e situazioni magari poco appetibili e desiderabili ma che possono nascondere pieghe impreviste. Per fare ciò, con le parole o le immagini, bisogna necessariamente sporcarsi le mani, implicarsi con la realtà che si cerca di conoscere e trasferire. Osservare con attenzione il Natale nel Lower Est Side per saper raccontare quello che si vede e per fare in modo che, come in controluce, emerga il non visibile che si sceglie di suggerire senza manifestare direttamente. Il racconto – o la fotografia – contiene così tutto, ciò che viene incluso e ciò che rimane fuori. Restituisce un sentire, nella sua pienezza. Non a caso Riis è stato definito dal presidente Roosevelt “il cittadino più utile di New York”. “Gli innumerevoli mali che si annidano negli angoli bui delle nostre istituzioni civiche, che si aggirano negli slum e hanno la loro dimora permanente nei caseggiati popolari, hanno incontrato in Mr Riis l’avversario più formidabile che abbiano mai trovato a New York”.