facce dispari
Manuel Grillo: “Riscoprire grandi autori è come coltivare i grani antichi”
L'editoria come follia perseguibile. Gli insegnamenti paterni a saper giudicare le opere oltre le ideologie. E la capacità di guardare al futuro dei libri con ottimismo. Chiacchierata con il patron di Settecolori
Una pattuglia di amici riuniti attorno alla scommessa che l’editoria non sia un’impresa così folle, o che sia almeno follia perseguibile. Avvocati, architetti, dirigenti d’azienda convinti che il libro “difficile”, di grandi autori stranieri al di là del mainstream e della letteratura di consumo, possa trovare consensi di critica e lettori facendo persino quadrare i conti economici. Sorge così, anzi risorge la casa editrice Settecolori, nata negli anni settanta per volontà di Pino Grillo e alla sua scomparsa ereditata nel 2000 dal figlio Manuel, il cui biglietto da visita è abbastanza composito: calabrese che ha concluso la formazione scientifica a Strasburgo, esperto di grani antichi, titolare di un agriturismo tra Capo Vaticano e Vibo Valentia però cresciuto in mezzo a bozze e scrittori, leggendo autori francesi mentre allevava i cani da pastore della Sila e imparava a produrre le paste trafilate a bronzo tra una fiera del libro e un convegno letterario. Lui è amministratore delegato della Settecolori, rianimata grazie ai professionisti che se ne sono appassionati, con un’attività di 25 titoli finora pubblicati in due anni e mezzo.
Uno scouting tra autori misconosciuti in Italia? Una pesca di profondità tra le opere di grossi nomi sfuggite alla rete dei grandi editori?
Settecolori è frutto di una passione per i libri “che vanno pubblicati”. L’esempio cui sono più affezionato è “I due stendardi” di Lucien Rebatet, un capolavoro segreto della letteratura francese che secondo George Steiner è superiore ai romanzi di Céline. Uscì per Gallimard nel ’51/52 su consiglio di Camus e tradurlo in italiano fu sempre un sogno di mio padre e di Stenio Solinas. L’anno scorso ci siamo riusciti e abbiamo esaurito in sei mesi la prima tiratura di duemila copie, non poche per un’opera di 1.300 pagine che richiede una lettura impegnativa. “I due stendardi” è decollato grazie alle critiche entusiastiche e al passaparola, perciò a febbraio lo ristamperemo. Sulla fascetta è riportato quel che disse Mitterrand: “L’umanità si divide in due campi. Quelli che hanno letto ‘I due stendardi’ e gli altri”.
Un altro caso letterario è stato Maurizio Serra con “Fratelli separati”, uscito per Settecolori in prima edizione nel 2007 e ripubblicato nel ’21, sulle vicende intrecciate e contrastanti di Drieu La Rochelle, Aragon e Malraux.
È l’unico libro scritto da Serra in italiano e non in francese. Fummo noi a venderne i diritti di traduzione a Gallimard. Intanto Serra, che vinse il Prix Goncourt con la biografia di Malaparte, nel 2019 è stato il primo italiano a diventare membro dell’Academie Française.
Poi due libri dell’adelphiano Peter Hopkirk e un classico come “Baionette a Lhasa” di Peter Fleming, una vita di Lawrence d’Arabia scritta da Victoria Ocampo, i diari di Peter Handke ma in edizioni speciali con tirature numerate. Non rischiate lo snobismo?
Al contrario, ci ritagliamo un’identità nel mare magnum dell’editoria, perché alla scelta degli autori si deve accompagnare la cura del libro come oggetto di bellezza quasi sensoriale: brossure cucite, carte d’edizione, copertine dalla grafica semplice ma riconoscibile e le fascette che si possono collezionare. Un’idea apprezzata sia dai lettori sia dai librai.
Neanche nel suo settore la congiuntura è felicissima per il 2023. Quali sono i timori?
Chi punta su un’offerta di livello deve essere ottimista. Abbiamo riavviato Settecolori il 13 maggio 2020, in pieno confinamento per la pandemia, eppure abbiamo dimostrato che c’è spazio per la qualità e non le manca il pubblico. Proseguiremo sulla linea di testi significativi ma inediti in Italia, con la soddisfazione di aver fatto conoscere, ad esempio, “Il numero 31328” di Ilias Venezis, che racconta il genocidio greco a opera dei turchi nel centenario della tragedia. Su ventimila prigionieri ne sopravvissero diciotto dopo aver marciato nudi per centinaia di chilometri: la “soluzione finale” fu applicata nel percorso, non alla destinazione. Ne abbiamo esaurito due edizioni in pochi mesi. O “Speranza contro speranza”, primo volume delle memorie di Nadezda Mandel’stam sulle atrocità della dittatura stalinista, una testimonianza giudicata superiore a quella di Solgenitsin, tradotta negli Stati Uniti negli anni sessanta ma ignota in Italia nella versione integrale, di cui pubblicheremo il secondo volume in primavera.
Qualche altro titolo di prossima uscita?
“No me esperen en abril”, “Non aspettatemi ad aprile” di Bryce Echenique, un’opera importante dello scrittore peruviano inedita in Italia. E “Sui mari di Lord Jim. Un viaggio nel cuore di Conrad” del giornalista inglese Gavin Young con prefazione di Edward Said, che è un percorso sulle rotte del grande scrittore.
Che c’entrano i libri con la coltivazione dei grani antichi?
Il pregio di certe opere letterarie è comparabile a quello della rosìa, la varietà di grano documentata già in epoca aragonese ma probabilmente ancora più antica. E poi c’è la curiosità romantica di un ragazzo che amava Salgari crescendo nel cenacolo degli amici del padre, che allora erano tutti giovani in cerca del proprio destino.
Cosa le ha insegnato suo padre da editore?
A giudicare un’opera dal suo valore assoluto, che travalica sempre le passioni ideologiche. Malgrado lui stesso ne fosse animato, aveva già superato la facile dicotomia destra-sinistra.